I teologi del «dissenso cattolico» non vogliono Wojtyla santo

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«Stop alla beatificazione di Papa Wojtyla»


Un gruppo di teologi del «dissenso cattolico» ha lanciato un manifesto intitolato «appello alla chiarezza», per invitare chi ne sia convinto a fornire la propria «testimonianza contraria» alla «postulazione» della beatificazione di Giovanni Paolo II.
L’«appello alla chiarezza» è stato presentato alla stampa – presso la sede dell’agenzia «Adista» – dall’ex abate di San Paolo, Giovanni Franzoni (sospeso a divinis e ridotto allo stato laicale, oggi sposato con una psichiatra giapponese) e dall’ex docente salesiano Giulio Girardi…. E l’illuminato Alberto Melloni sul Corsera afferma enigmaticamente: «la complessità del governo wojtyliano non è stata un momento di mera restaurazione, ma una lunga tappa nella quale si sono intrecciate santità e miseria, martirio e meschinità…».

Un documento presentato da alcuni esponenti del dissenso
«Stop alla beatificazione»
«Papato contraddittorio». Küng non firma


di Luigi Accattoli
ROMA – Il movimento «santo subito» – per la beatificazione di papa Wojtyla – ha ora un pugno di oppositori: tredici esponenti del dissenso cattolico, teologi e scrittori, hanno lanciato un manifesto intitolato «appello alla chiarezza», per invitare chi ne sia convinto a fornire la propria «testimonianza contraria» alla «postulazione» della causa. L’appello è rivolto a «donne e uomini cattolici che danno una valutazione per molti aspetti negativa dell’operato di Giovanni Paolo II». Il tono non è oltranzista. Si afferma di non «voler ignorare gli aspetti positivi del pontificato, come l’impegno per la pace o il tentativo di ammettere le colpe storiche» e non si negano «aspetti virtuosi della sua persona». Ma si afferma che la causa avviata il 28 giugno non può non tener conto di decisioni di Wojtyla che «dovrebbero essere d’ostacolo alla beatificazione» e se ne elencano sette, dalla condanna della «teologia della liberazione» alle riaffermazioni dei tradizionali precetti sessuali, alla tolleranza verso le «torbide manovre» finanziarie dello Ior.
I PUNTI – L’«appello alla chiarezza» è stato presentato alla stampa – presso la sede dell’agenzia «Adista» – dall’ex abate di San Paolo Giovanni Franzoni e dall’ex docente salesiano Giulio Girardi. Tra i firmatari, oltre a loro, figurano: Jaume Botey, Casimir Martì e Ramon Maria Nogues (Barcellona), Josè Maria Castillo (San Salvador), Rosa Cursach (Palma de Mallorca), Casiano Floristan (Salamanca), Filippo Gentiloni (collaboratore del manifesto) e Josè Ramos Regidor (Roma), Martha Heizer (Innsbruck), Juan Josè Tamayo (Madrid), Adriana Valerio (Napoli).
Il primo dei sette punti è così formulato: «Repressione ed emarginazione esercitate su teologi, teologhe, religiose e religiosi, mediante interventi autoritari della Congregazione per la dottrina della fede». Segue la «tenace opposizione a riconsiderare, alla luce dell’Evangelo, delle scienze e della storia, alcune normative di etica sessuale che in 26 anni hanno manifestato contraddittorietà, limitatezza e insostenibilità». Per terza viene posta la «dura riconferma della disciplina del celibato ecclesiastico obbligatorio», ignorando «il diffondersi del concubinato fra il clero di molte regioni» e «celando, fino a che non è esplosa pubblicamente, la devastante piaga dell’abuso di ecclesiastici su minori». Quarto il «mancato controllo su manovre torbide compiute in campo finanziario da istituzioni della Santa Sede». Quinta «la riaffermata indisponibilità ad aprire un serio dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa». Sesto «il rinvio continuo dell’attuazione dei principi di collegialità». Infine «l’isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia vaticana e la Santa Sede hanno tenuto mons. Romero, arcivescovo di San Salvador» e la «politica di debolezza» verso le dittature latino-americane.
PARERE CRITICO – Pare che i promotori dell’appello abbiano chiesto anche la firma di Hans Küng, che non l’ha data, pur avendo un parere critico sul pontificato del papa polacco. Il movimento «Noi siamo Chiesa», che ha una posizione simile a quella di Hans Küng, al momento della morte di Giovanni Paolo II pubblicò un comunicato intitolato «Un papa e un pontificato pieni di contraddizioni», ma fino a oggi non ha fatto opposizione alla beatificazione.
Corriere della Sera, 6 dicembre 05


DOTTRINA
Il primo punto contesta la repressione e …


DOTTRINA Il primo punto contesta la repressione e l’emarginazione che sarebbero state esercitate, durante il pontificato di Wojtyla, su teologi e religiosi, mediante interventi autoritari della Congregazione per la dottrina della fede
REGOLE
Viene contestata l’opposizione di Giovanni Paolo II a riconsiderare alcune normative di etica sessuale e ad aprire un dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa cattolica romana. Criticata anche la riconferma della disciplina del celibato ecclesiastico
COLLEGIALITA’
E’ contestato il continuo rinvio dell’attuazione dei principi di collegialità nel governo della Chiesa romana e il mancato controllo sulle manovre compiute in campo finanziario dalla Santa Sede
ISOLAMENTO
Viene condannato l’isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia vaticana e la Santa Sede «hanno tenuto monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador»
Corriere della Sera, 6 dicembre 05



NO A WOJTYLA BEATO
La complessità del governo wojtyliano non è stata un momento di mera restaurazione. Farne lo specchio di una reazione che non ci fu, aiuta coloro che ne sognano l’avvento.
Un grande repressore? No, un grande abbaglio


di Alberto Melloni
È stato reso noto l’appello di un gruppo di teologi ostili alla beatificazione di Giovanni Paolo II. Un documento apparentemente di protesta, ma che si inserisce in una logica «papista», come se il Papa fosse la Chiesa, ne interpretasse debolezze e virtù, e fosse consapevole di tutto ciò che accade nella sua corte. L’invito a deporre contro il Papa repressore, conservatore in materia morale e indulgente verso i mascalzoni in talare non avrà altro effetto che eccitare chi invece trova proprio in quelle presunte linee d’azione la prima santità di Giovanni Paolo II: e alla fine, gli uni e gli altri, potranno festeggiare l’abrasione dalla memoria della Chiesa e dalla consapevolezza storica di un pontificato nel quale hanno convissuto complessità, spessori, contraddizioni impresse in un cattolicesimo che pare ancora attendere che la successione inizi.
In realtà la beatificazione «indiscriminata» dei pontefici è una questione recente, con la quale s’è misurato ciascuno dei papi del secondo Novecento. Il Papa che giudica la santità d’un Papa sa che in teoria deve sottoporre a valutazione solo le sue virtù interiori e non il suo governo: ma nel concreto del fare s’è operato un bilanciamento variabile. Quando Pio XII ha canonizzato san Pio X, Pacelli indicava un modello nel repressore del modernismo. Quando i padri del Vaticano II chiesero di poter votare in Concilio la santità di Giovanni XXIII, volevano indicare non solo le sue virtù private, ma anche l’intuizione profetica del Concilio stesso. In quella occasione la minoranza conciliare minacciò di raccogliere per rappresaglia le firme per beatificare papa Pacelli: e Paolo VI decise di avviare per entrambi i predecessori un procedimento ordinario, tormentato ma basato sugli strumenti dell’indagine, delle testimonianze e del lavoro storico.
Quel che Benedetto XVI ha fatto per Wojtyla rassomiglia un po’ alla scelta montiniana. Pressato dall’entusiasmo focolarino e dalla vox populi, Ratzinger è stato gentilmente evasivo. Non ha concesso una beatificazione per acclamazione regolata dagli intimi che hanno già gestito il tramonto wojtyliano, ma un processo che dovrà pesare fonti e testi, virtù private e stile di governo, contesti storici e azioni personali, meccanismi decisionali e scenari complessivi. Un processo nel quale il miracolismo che è già affiorato sarà compensato (speriamo) da un lavoro storico rigoroso e documentato, necessario almeno per evitare che la causa si fermi alla baruffa fra chi vuol far Wojtyla santo con l’applausometro e chi confonde la pensosità storica con un confuso j’accuse.
In realtà il nodo soggiacente alla baruffa è un altro: e il recente documento che annuncia per il 2007 a Brasilia la V assemblea generale dell’episcopato latino-americano lo dimostra. Ché la complessità del governo wojtyliano non è stata un momento di mera restaurazione, ma una lunga tappa nella quale si sono intrecciate santità e miseria, martirio e meschinità, fedeltà e inadeguatezze personali, collettive, storiche, sotto la luce del Vaticano II. È adesso, in quest’inizio di una stagione che sarà quella davvero postconciliare, che si compiono le vere scelte: fare dell’era wojtyliana non un coacervo di impulsi e pulsioni da decantare, ma il nero specchio di una reazione che non ci fu, significa aiutare coloro che ne sognano l’avvento.
Corriere della Sera, 6 dicembre 05