I martiri muoiono ma non uccidono

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Ormai non sono più divisi da noi da un confine di stato. Vivono gomito a gomito con noi, i terroristi musulmani.

Organizzano gli attentati a punti significativi della cultura e della religione in Italia, dentro le nostre case: passaporti validissimi – e magari ne hanno una dozzina di scorta -, permessi di soggiorno, libretti di lavoro perfetti ecc. Ormai è un ritornello oltre che una constatazione: non si può parlare degli islamici come se fossero persone violente, pronte a tutto, pur di condurre alla vittoria la causa di Allah. Ve ne sono di quelli che pure vivono accanto a noi, pagano le tasse, lavorano con coscienza, tiran su i figlioli secondo ciò che pensano essere giusto, vanno alla preghiera il venerdì e così via.



D’accordo, distinguiamo fin che si vuole. Le scoperte di spionaggio hanno messo in evidenza anche vere e proprie scuole di formazione a diventare kamikaze. O, più che di scuole, si tratta di lavaggi del cervello a cui vengono sottoposte queste persone – anche donne -, che si preparano a esplodere.



Ormai sembra invalso l’uso di denominare “martiri” questi volontari che seminano terrore e si danno la morte esattamente mentre la disseminano attorno a sé. E che qualcosa di pseudomistico giri tra queste reclute dev’essere vero. Se è vero per esempio che, in una lettera indirizzata alla mamma di un kamikaze, di questi si legge: “Mamma, qui tutti lo ammirano e lo invidiano. Tutti dicono che l’hanno sognato di notte”. E il sognare di notte una persona conosciuta segna la riprova che questa è nel novero degli eroi e, appunto, dei “martiri”. I cattolici sono quasi costretti a verificare l’uso di questo termine come se il fenomeno della persecuzione colpisse questi infelici che, invece, a loro modo provocano una persecuzione. A leggere gli “Atti dei martiri” dei primi secoli cristiani, ci si imbatte invece in tutt’altra atmosfera.



Chi va a morire vi è portato quasi a forza; non ci va, solitamente, di sua spontanea volontà. E viene trascinato al martirio perché afferma la verità di Cristo, che crede essere causa di salvezza per tutti. Cose anche attuali, se è vero che, da uno studio che sembra attendibile, pure oggi il cristianesimo in tutto il mondo conta ogni anno qualcosa come diecine di migliaia di vittime. I martiri della fede cristiana subiscono violenza, accettano perfino la morte: non infliggono né violenza né morte. Cattivo uso del termine martire applicato ai due casi. E lasciamo a lato la storia dei crociati che non pare imperversino ancora. Per i violenti islamici si fanno collette clandestine anche nelle sinagoghe. Per sostener questi suicidi-omicidi che servono alla “causa”. Essi guadagnano 8000 euro quale ricompensa per il loro “martirio”. Triste.


+ Mons. A. Maggiolini
Vescovo di Como


il giorno 27/02/2004