I cristiani perdonano, ma gridano contro l’orrore

  • Categoria dell'articolo:Dal mondo

Nessuno tocchi Caino, di Abele chi se ne frega


di ANTONIO SOCCI

Il figlio di Fabianus Tibo, uno dei tre martiri indonesiani, ha detto: «Mio padre, prima di morire (fucilato dal regime islamico, nda), ha chiesto di non vendicarlo. Ha detto che dovevamo perdonare».Questo sono i cristiani. Un miracolo nel mondo della violenza: il perdono delle vittime ai carnefici. Noi però abbiamo il dovere di gridare contro l’orrore, l’arbitrio e l’ingiustizia finché si ha voce. Spero che ci sia tanta gente, lunedì (25 settembre) alle 17.30, a Roma, davanti all’ambasciata indonesiana (via Campania 55) dove Pier Ferdinando Casini ha proposto di manifestare silenziosamente, accendendo una candela in memoria dei tre cristiani, tre poveri contadini massacrati dal regime indonesiano a causa della loro fede, perché il loro sangue era stato preteso dai fondamentalisti islamici. Probabilmente è stata l’ennesima vendetta – come suor Leonella – contro il Papa reo di aver detto al mondo che non s’impone la religione con la violenza. È importante che abbia annunciato la sua presenza anche il sindaco di Roma Walter Veltroni – che contro la pena di morte usa giustamente il Colosseo, testimone antico della barbarie del potere perché sia evidente che non è una manifestazione di una parte politica o solo di cattolici, ma di tutti, una questione di giustizia e di umanità. Che riguarda il destino dei nostri figli. E spero infine che sia anche un’occasione di riflessione autocritica per tanti. Sono pronti a protestare solo contro gli Stati Uniti Il nostro è un Paese che scopre la pena di morte solo se si parla degli Stati Uniti. In quel caso ecco le campagne fotografiche di Oliviero Toscani, gli appelli, i servizi ai Tg e gli articoli sui giornali. Difficilmente si parla della Cina che ogni anno si aggiudica il primato assoluto e là si tratta di condanne a morte elargite per reati assolutamente assurdi, oltretutto senza alcun serio processo e magari (come dicono alcune denunce) con espianto e vendita degli organi delle vittime. Ma la Cina non si tocca: bisogna farci affari, guai a criticarla. Prodi è appena andato là col cappello in mano a leccare la pantofola, con una comitiva di industriali e politici, figurarsi se ha osato parlare di diritti umani e pena di morte. Perfino la Bonino (non più di lotta, ma di governo) ha evitato di sollevare lo scandalo. Eppure qualche volta della Cina si parla. Il vero “buco nero” dell’informazione sono i regimi islamici e specialmente la condizione dei cristiani. Il caso dei tre contadini cattolici dell’Indonesia (oltre a Tibo, Marianus Riwu e Domingus Silva) ha potuto “bucare” l’indifferenza dei media grazie alle informazioni dell’agenzia missionaria Asianews. Ma per salvare quei tre innocenti non c’è stata una vera mobilitazione di nessuno nonostante che il processo fosse stato vergognoso e i tre fossero detenuti da anni. Nemmeno “Nessuno tocchi Caino” si è data da fare per loro (che io sappia). Evidentemente le energie radicali vanno soprattutto per Caino, per Abele non si ha tempo. Infatti nel sito dell’organizzazione di Pannella e D’Elia attualmente c’è in evidenza la campagna “Nessuno tocchi Saddam”. Tuttavia la più grande autocritica dobbiamo farla noi cattolici. Se si eccettua il prodigarsi solitario di Luca Volonté e i tentativi della Comunità di S. Egidio, ancora una volta abbiamo lasciato il Papa solo a chiedere indulgenza alle autorità indonesiane. Sembra che il mondo cattolico neanche si sia accorto del macello in corso da decenni. È del tutto sconosciuto proprio il “caso Indonesia” che oggi sale ai disonori delle cronache per l’assassinio dei tre cristiani. Mai sentita una veglia di preghiera nelle chiese italiane, un ricordo in una messa, un convegno (tipo quelli di Assisi), una raccolta di firme per quei poveri cristiani. Nulla di nulla. Anche quando, il 29 ottobre scorso, a Poso, tre ragazze cristiane di 15, 16 e 19 anni, furono sgozzate e decapitate da uomini mascherati, e i corpi buttati davanti a una chiesa, non accadde quasi nulla. L’Indonesia è il Paese musulmano più popoloso del mondo. È islamico il 75 per cento della popolazione, con un 13,1 per cento di cristiani. In teoria appartiene all’ “islam moderato”. Se non fosse per qualche “piccolo” particolare. Come il genocidio dei cristiani di Timor Est. La regione di Timor Est, prevalentemente cristiana, è stata per tre secoli una colonia portoghese. Nel 1975 diventa indipendente, ma viene subito invasa dall’esercito indonesiano e annessa a quello Stato sebbene l’Onu si opponesse. I 25 anni di occupazione militare – secondo monsignor Carlos Belo, premio Nobel per la pace – hanno fatto 200.000 vittime e 250.000 profughi su una popolazione totale di 900 mila persone. Quindi un vero genocidio. Perpetrato fino al 30 agosto 1999 quando – grazie alla pressione americana – il regime indonesiano fu costretto a concedere un referendum e ovviamente vi fu un plebiscito a favore dell’indipen denza. Visto l’esito delle urne i “bravi musulmani” si vendicarono con un ennesimo massacro di cristiani. Quindi, sempre nel 1999, cominciò il macello di cristiani da parte dei fondamentalisti islamici in un’altra parte dell’Indonesia: l’arcipelago delle Molucche. Il 19 gennaio del 1999 ad Ambon iniziano le violenze che in tre anni hanno provocato almeno 13.500 vittime e hanno costretto circa 500mila persone a fuggire dalle loro case. Inoltre più di 6.000 cristiani delle Molucche sono stati costretti a convertirsi all’islam con circoncisioni forzate fatte con il rasoio, senza anestetici, e asportazioni del clitoride per le donne. Altri sono stati uccisi per il loro rifiuto di convertirsi. Vi furono episodi particolarmente feroci. Ad Ambon sei bambini cristiani furono uccisi, in un campo di catechismo: furono inseguiti, sventrati, evirati e decapitati dagli islamisti che fendevano le Bibbie con la spada. In altri casi gli attacchi degli islamisti ebbero l’aiuto di truppe militari regolari, come nell’isola di Haruku il 23 gennaio 2000, quando furono uccisi 18 cristiani.
L’islamizzazione forzata portò, per esempio, all’espulsione delle Suore Poverelle di San Giuseppe e la conseguente distruzione di scuole, ospedali, lebbrosari, centri medici. Nel Natale del 2000 una serie di attentati colpì la cattedrale di Giakarta e chiese in altre dieci città, provocando 17 morti e circa 100 feriti. Morì anche un giovane musulmano che tentò di gettare una bomba fuori da una chiesa, rimanendone dilaniato. Perché vi sono tanti musulmani in Indonesia schierati in difesa dei cristiani. Mentre a volte sono i cristiani d’Occidente che si dimostrano quasi ostili ai fratelli perseguitati. In ogni caso le violenze sono continuate. Il 9 novembre 2001 l’agenzia Fides dava notizia di nuovi attacchi di guerriglieri islamici nell’isola di Sulawesi, con scene di vera e propria caccia al cristiano, alcuni morti e molti costretti alla fuga. Aggressioni e morti anche a Makassar, a Giava e nelle Molucche. Un gruppo di cristiani indonesiani diffuse un messaggio: «Preghiamo per i cristiani di Indonesia. Preghiamo per la loro fede durante gli attacchi e per quanti subiscono la tentazione di nascondere la loro identità di fedeli a Cristo. Preghiamo per il mondo perché prenda provvedimenti contro la persecuzione, dovunque essa si verifichi». Spero che lunedì pomeriggio vi siano tanti cattolici romani e che nelle messe domenicali vi siano preti che ricordano i tre contadini cristiani e tutti gli altri martiri e perseguitati. A cominciare dal Papa, insultato e condannato a morte per aver invitato alla ragionevolezza.

LIBERO 24 sett. 2006