Grattacieli, architettura moderna e nichilismo

L’anticristo abita al 53° piano

Ogni edificio più alto di un campanile è un assalto all’incarnazione e alla presenza di Dio nella città…

 

C’è una nuova religione che sta innalzando i suoi templi in Europa, e non sto parlando di moschee. I politici e gli elettori, poveri, credono siano grattacieli, musei, università, sedi di banche e di parlamenti, teatri, centri commerciali, e invece sono templi. Spesso pagati coi soldi dei contribuenti, gente perbene o anche permale però con moderazione, persone che non metterebbero mai la crocetta sull’otto per mille al fine di sostenere un culto dichiaratamente nichilista ma che, senza saperlo, versano ogni anno un obolo alla chiesa dell’Architettura Antiumana. Come ogni chiesa che si rispetti anche questa ha dei testi sacri, ovvero intangibili, sconosciuti non perché segreti (sono anzi diuturnamente proclamati dai sommi sacerdoti sui mezzi di comunicazione di massa) ma perché, storia e saggezza popolare insegnano, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Così come pochi non-nazisti negli anni Trenta lessero davvero il Mein Kampf, per poter continuare a pensare che Hitler si sarebbe accontentato di un pezzetto di Cecoslovacchia, così come pochi non-musulmani oggi leggono davvero il Corano, per poter continuare a figurarsi le religioni tutte uguali e ugualmente protese all’amore universale, allo stesso modo pochi non-architetti leggono davvero le interviste agli architetti antiumani, per poter continuare a immaginarseli come professionisti al servizio del funzionale e del razionale.

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Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese del Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: ‘Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco’. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: ‘Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome’”. (Genesi 11, 1-4).

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Non esiste né il buono, né il vero, né il bello. Sono un relativista. Sono un nichilista” dichiarò Philip Johnson, il re dei grattacieli, poco prima di rendere l’anima al diavolo. Omosessuale e nazista, il passaporto Usa gli evitò di fare la fine dell’omologo Ernst Röhm e continuò a lavorare per la propaganda del partito nazionalsocialista fino al 1939, quando descrisse estasiato l’incendio di Varsavia, anzi fino al 1940, anno in cui la posizione di americano crociuncinato divenne insostenibile perfino per un polivalente del suo livello, a proprio agio ai vernissage mondani del Moma di New York così come alle cerimonie pagane di Norimberga immortalate da Leni Riefenstahl. Se un nazista non può più fare il nazista può cominciare a fare l’architetto o meglio (essendo com’è ovvio un ardente ammiratore di Nietzsche) il super-architetto, l’architetto al di là del bene e del male. Nel ’49 costruisce la Glass House per distruggere l’idea di casa come guscio degli affetti. Dentro quattro pareti di vetro può vivere un’esibizionista, non una famiglia: l’assenza di intimità e la totale visibilità sarebbero piaciute all’orwelliano Grande Fratello ma pure a Jeremy Bentham, l’inventore del Panocticon, il carcere dove si vede tutto, “un nuovo modo per ottenere potere sulla mente”. La Glass House è un incunabolo dell’Architettura Antiumana che però offre il meglio di sé nel fuoriscala. Nel seguito di carriera Johnson si è dato ai grattacieli, il più famoso dei quali è l’At&t building di New York, riconoscibile fra mille per il timpano forato (oggi si chiama Sony Tower perché commissionare grattacieli non porta benissimo, anche a Milano c’è sempre il Pirellone ma non si sa dove sia finita la Pirelli).

Eppure il Sony è ancora troppo basso, solo 197 metri, poteva andar bene negli anni Ottanta ma oggi per farsi un nome bisogna spingersi oltre. “Per essere moderni bisogna progettare in verticale. Sopra i 400 metri” ha sentenziato Massimiliano Fuksas dall’ambone di Repubblica, nerovestito come Daniel Libeskind, come Rem Koolhaas, come Jean Nouvel (anche dal punto di vista degli abiti sacerdotali la chiesa dell’Architettura Antiumana è molto più rigida della chiesa cattolica, i cui preti vestono come gli pare e infatti hanno ormai meno ascendente degli adoratori del grattacielo). Il comandamento dell’altezza è una sfida malriuscita a Dio e un’aggressione riuscitissima alla sua creatura: più il grattacielo sale, più l’uomo si rattrappisce, ridotto al rango di formica laggiù sul marciapiede. Un grattacielo di 400 metri dialoga con la Muraglia Cinese, la Piramide di Cheope, le Linee di Nazca, non con bipedi 250 volte più piccoli e meno che meno con cuccioli di bipedi. Quando non si capisce se qualcosa è a misura d’uomo basta pensare se è a misura di bambino, e subito risulta evidente l’umanità o la disumanità dell’oggetto analizzato. E’ straziante solo immaginarlo, un bambino costretto a vivere in un appartamento al cinquantatreesimo piano. Secondo me Eric Clapton ancora si sveglia la notte per domandarsi come mai, quel maledetto giorno del 1991, suo figlio Conor fosse affacciato alla finestra di un edificio manhattaniano di altezza assurda e non giocasse invece con le papere davanti a un cottage negli Hamptons. Il teorico dell’architettura Nikos Salingaros ha individuato nel gigantismo il primo dei fattori disumanizzanti. Nemmeno facendosi venire il torcicollo si possono apprezzare forma e dimensioni di un grattacielo con mezzi naturali, c’è bisogno come minimo di un elicottero. Per innalzare e gestire centinaia di migliaia di metri cubi non bastano gli uomini ma occorrono società quotate in borsa e fondi di investimento meglio se degli Emirati Arabi perché il grattacielo è ritornato alle sue origini orientali, bibliche, e infatti nella lingua del culto non si chiama più building ma tower, come nel libro della Genesi: i primi sei edifici più alti del mondo si trovano in Asia (Dubai, Taipei, Shanghai, Kuala Lumpur…).

All’ombra della maggior parte di essi non esiste libertà religiosa: il dispotismo asiatico blandisce gli architetti, sempre al servizio del potere, e perseguita i preti, che servono i servi. Quando supera una certa dimensione l’architettura diventa totalitaria di per sé, indipendentemente dall’ideologia dell’architetto, del costruttore e perfino del regime politico del luogo. Il grattacielo babelico di Dubai è costruito da operai indiani, pachistani e bengalesi ridotti in semischiavitù, impossibilitati a tornare a casa per il fenomeno dell’indebitamento obbligatorio e il relativo sequestro dei passaporti, pagati un decimo degli impiegati arabi, senza diritti di alcun genere, falcidiati da incidenti sul lavoro il cui numero è tenuto segreto come segreta è l’altezza che sarà raggiunta dallo spaventoso edificio una volta completato (700 metri?). Sacrifici umani e misteri iniziatici: ecco altri due ingredienti tipici delle religioni precristiane.

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Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: ‘Ecco, essi sono un popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro’” (Genesi 11, 5-7).

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Un’esaustiva collezione di dogmi della chiesa dell’Architettura Antiumana è stata recentemente pubblicata da Mondadori Arte. L’autore, o meglio il raccoglitore, si chiama Christian de Poorter (deve trattarsi di un convertito: a giudicare dal nome è nato in ambiente cristiano). Il libro si intitola “Atlante dell’architettura contemporanea in Europa” ma qui più delle foto, tragiche e bellissime, è la prefazione che ci interessa. Oltre alla completezza e all’apparato iconografico, il valore di questo testo divulgativo risiede nella sua trasparenza. Ci fu in tempo in cui gli architetti cercavano di nascondere grandi masse di cemento e di metallo dietro il dito dell’ideologia: Renzo Piano si atteggiava a benefattore e demoliva antichi palazzi di Parigi in nome della partecipazione sociale. Vecchie fisime anni Settanta. Oggi gli alibi non servono più e De Poorter espone senza falsi pudori i malvagi obiettivi dei progettisti alla moda. “L’architettura contemporanea seduce, stupisce e conquista”. Insomma vuole stordirci, invaderci, come una droga, come una metastasi. “Il contenitore diventa più attrattivo del contenuto”. L’architetto è quindi un vampiro capace di svuotare di senso qualsiasi tipologia edilizia, anche una chiesa del culto concorrente vale a dire una chiesa cristiana (non è difficile: basta sabotare l’incarnazione mimetizzando l’esterno, come Piano a San Giovanni Rotondo, o rendendo astratto l’interno, come Meier a Tor Tre Teste). “Il Kunsthaus di Graz, un’enorme bolla blu aliena atterrata nel cuore della città austriaca”.

Finalmente ammesso che i capolavori dell’architettura contemporanea in Europa altro non sono che elefanti in cristalleria. “Rogers nel progetto della nuova sede londinese del Lloyd’s Register of Shipping estremizza il concetto della trasparenza offrendo una sorprendente leggerezza visiva, al limite della fragilità psicologica”. Così De Poorter dà ragione a Salingaros, secondo il quale i sacerdoti dell’antiumano stanno operando “una deliberata aggressione ai nostri sensi che usa il meccanismo percettivo per generare ansietà fisica e angoscia”. Io per esempio se per uno scherzo del destino fossi costretto ad abitare nel Turning Torso disegnato da Santiago Calatrava in Svezia, 190 metri dall’aspetto poco stabile, sicuramente mi imbottirei di psicofarmaci. Poi De Poorter cade in alcune ingenuità devozionali, tipiche dei neofiti o degli adepti di scarsa cultura. In Olanda gli edifici nevrotizzanti si espandono senza freni e allora la si definisce un “piccolo paese dinamico e anticonformista” quando a prescindere dall’architettura vi impera un conformismo terrorizzato, dove non si possono proiettare film critici verso il Corano, dove gli anticonformisti giacciono per lo più sotto terra (vedi Pim Fortuyn e Theo Van Gogh). Il vocabolario formale di Frank Gehry è descritto come “nutrito e variegato” a pagina 11 ma De Poorter si smentisce da solo, con il suo stesso libro: basta andare alle pagine 220 (Berlino), 242 (Dusselforf) e 310 (Praga) per constatare la monotonia dell’architetto canadese, sempre le stesse finestrelle esoftalmiche.

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Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra” (Genesi 11, 8-9).

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Gesù discende da Davide, il piccolo Davide che abbattè il gigante Golia. Nel discorso della montagna, che era poi una collinetta, Gesù non abolisce la Legge e non rinnega la punizione toccata a Babele (fra parentesi, nemmeno quella a Sodoma e Gomorra). Gesù proclama la beatitudine degli uomini miti. Gesù invita a imparare da lui, umile di cuore. Gesù dice che per convertirsi bisogna diventare come bambini. Gesù dice che per entrare nel regno dei cieli bisogna farsi piccoli. Gesù dice che gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi. Gesù entra a Gerusalemme su un asinello. L’Antico Testamento colpisce la superbia con una spada di fuoco, il Vangelo testimonia la modestia e la misura in ogni pagina, quasi in ogni versetto. Per questo i grattacieli non possono dirsi cristiani. Anzi, ogni edificio più alto di un campanile è un assalto all’incarnazione, alla presenza di Dio nella storia e nella città.

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Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Salmo 127, 1).

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Sul Corriere della Sera ho letto un articolo di Pierluigi Panza, vi ho colto uno stile (dote rara in chi si occupa di architettura) e quindi ho cercato notizie su di lui. Vagando per la rete ho trovato uno spezzone in cui Panza viene intervistato da un signore dal cranio perfettamente lucido che poi ho scoperto chiamarsi Pier Moro. Moro cerca di strappare a Panza un giudizio favorevole sui grattacieli della Fiera di Milano firmati Hadid, Isozaki, Libeskind, ed è penoso vedere l’intervistato barcamenarsi per cercare di salvare l’anima senza però scontentare l’intervistatore, un chierichetto del grattacielismo. Per ridicolizzare gli avversari dei tre moloch antiumani e antimilanesi, Moro la butta sul caratteriale: forse ce l’hanno con Libeskind perché è antipatico. Sarebbe una triste vicenda se una scritta alle spalle dei due interlocutori non la rendesse tristissima: Radioformigoni.it. No, non sto per cominciare un discorso morale, qui siamo tutti simoniaci. Come dice Julián Carrón, un prete che il presidente della Regione Lombardia immagino conosca meglio di me, “il problema non è l’etica, il problema è l’ontologia, è il rapporto con il reale”. Nella fattispecie il problema è rispondere alla domanda messa da Eliot in bocca alla Straniera: “Qual è il significato di questa città?”. Sconfortato mi chiedo: Formigoni è ancora cristiano o è passato armi e bagagli all’anticristianesimo militante e architettante? No? E allora: avrà mai letto il filosofo Roger Scruton secondo il quale le opere di Libeskind sono fra le più arroganti espressioni del nichilismo contemporaneo, costruite “come in assenza di gravità, stabilità e comunità”?

Terza domanda: E’ consapevole che Libeskind rigetta pubblicamente qualsiasi nozione di sacro, di inviolabile, e sta all’urbanistica come Jack Kevorkian, il dottor Morte, sta alla medicina? Io capisco che un politico non abbia il tempo di leggere filosofi e poeti, quei perdigiorno, ma i giornali richiedono meno impegno. Basta sfogliarli distrattamente per capire dove ci vuole portare il sinedrio dell’Architettura Antiumana. L’architetto Paolo Caputo, concelebrante del grattacielismo milanese, quando viene intervistato sguinzaglia la hybris: “Le torri andranno a dichiarare nuove centralità urbane”. Sono parole chiarissime che significano il progetto di strappare Milano a Milano, portando il suo cuore lontano da Piazza Duomo e Piazza Sant’Ambrogio, in nuovi quartieri dove i bambini cresceranno senza mai vedere un crocifisso, senza mai ascoltare le campane, e umiliando ulteriormente la Madonnina, via via sminuita a partire dal 1954 quando il grattacielo di Piazza della Repubblica superò per la prima volta la guglia maggiore della cattedrale. Ma non voglio più parlare, io non sono nessuno, dispero di poter convincere colui che la domenica va a messa e il lunedì guarda la Madonna dall’alto in basso, dal suo ufficio al Pirellone. La superbia è il peccato del primo uomo e lo sarà anche dell’ultimo. Io taccio per lasciar parlare qualcun altro.

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Un discepolo gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Gesù gli rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta” (Vangelo di Marco 13, 1-2).

di Camillo Langone
Il Foglio 20 settembre 2008