In Francia trenta anni dopo l’introduzione della legge che autorizza gli aborti il loro numero è restato stabile. Lo rivela “Le Monde” in un articolo dei giorni scorsi: ogni anno in Francia vengono praticate circa 200.000 interruzioni volontarie di gravidanza, proprio come alla fine degli anni ’70.
Invece di preoccuparsi dell’alto numero di aborti, il giornale riferisce che questa regolarità rivela un’evoluzione profonda nei comportamenti. Le donne che, finalmente avrebbero ottenuto la possibilità di disporre dei loro corpi, hanno guadagnato il controllo della procreazione. Infatti, la decisione di abortire corrisponderebbe oggi all’attenzione posta per accogliere il bambino e non ad una convenienza personale. Come è possibile credere ad una tale maturità? In attesa del momento giusto di avere un figlio, si decide la soppressione di tanti altri.
Secondo il giornale francese il forte tasso di aborti è dovuto al fatto che i mezzi contraccettivi non vengono utilizzati adeguatamente dalle donne: ma l’aborto non può essere considerato un mezzo di controllo delle nascite. Infine, il diritto all’interruzione di gravidanza sarebbe minacciato per la mancanza di motivazioni dei medici che praticano l’aborto: essi sarebbero pagati male e non adeguatamente riconosciuti all’interno del sistema sanitario francese. Quando la professione medica non si confronta più con la sacralità della vita, è costretta a fare i conti con altre preoccupazioni, non ultima delle quali quella economica.
Questi dati testimoniano come l’aver legalizzato l’aborto abbia portato a stravolgere la visione della vita e della procreazione.
Opportunamente nota Giovanni Paolo II che “assistiamo oggi al consolidarsi di una mentalità che, da un lato, appare quasi intimorita di fronte alla responsabilità della procreazione e, dall’altro, vorrebbe come dominare e manipolare la vita” (Discorso 28/01/04). È urgente, pertanto, insistere in un’azione culturale che aiuti a superare, in questo ambito, luoghi comuni e mistificazioni.