Fo lancia calunnie. Il ministro Rutelli fa finta di niente

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FO CALUNNIA CALABRESI.
LO STATO NON BATTE CIGLIO

Il poliedrico Premio Nobel per la letteratura Dario Fo a teatro non risparmia nemmeno i morti. Questa volta se la prende con Luigi Calabresi. Al Teatro Leonardo di Milano, dal 31 ottobre è di scena “Morte accidentale di un anarchico“, opera appunto del Nobel, datata 1970, che si gioca su un falso: il commissario spinse e uccise l’anarchico Pinelli. La produzione è di Teatridithalia. Sul sito internet lampeggiano anche i marchi del Comune e della Provincia di Milano oltre che della Regione Lombardia

1) Rutelli sveglia: ferma lo scempio di Dario Fo di RENATO FARINA

2) Rutelli, dì qualcosa di sensato su Calabresi di RENATO FARINA

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Rutelli sveglia: ferma lo scempio di Dario Fo

di RENATO FARINA

Ministro Rutelli, come niente fosse, a Milano si continua a inchiodare Luigi Calabresi alla calunnia. Per favore, dica una parola. Le tocca. Anzi chieda conto a Dario Fo delle sue parole. Queste, che cito dalla Stampa di Torino di ieri: «Luigi Calabresi sapeva che lo avrebbero ucciso, gli avevano tolto anche la scorta. Lui stesso lo aveva preannunciato. Sono state le polizie segrete, organizzazioni parallele che volevano impedirgli di rendere noto tutto quello che sapeva». Non è tutto. Verso chi ha fatto un gesto di tardivo pentimento per aver firmato l’appello dell’Espresso che aveva il sapore di una condanna a morte, l’attore prova disprezzo: «Mi stupisco di questi ripensamenti. Bella dignità che hanno». Dove nascono queste demenzialità? Dal silenzio colpevole con cui si può uccidere tranquillamente Calabresi con i soldi dello Stato, tutti i giorni, alle nove della sera. Chieda di chiudere il teatro, o almeno tolga le sovvenzioni. Ci vuole un gesto. Uno piccolo, minimo, ma scandito. Chi pugnala la salma impugna la bandiera dell’arte, dello scandalo teatrale, e può permetterselo con i denari del suo ministero, quello dei Beni culturali. Faccia una ricerca e ci dica lei quanti euro ogni sera servono a oliare questa macchina dell’odio postumo, che poi sputa contante anche nelle tasche del primo calunniatore: Dario Fo. Al Teatro Leonardo di Milano, dal 31 ottobre è di scena “Morte accidentale di un anarchico”, opera appunto del Nobel, datata 1970, produzione Teatridithalia. Sul sito internet lampeggiano anche i marchi del Comune e della Provincia di Milano oltre che della Regione Lombardia. I rispettivi assessori alla Cultura è possibile che mentre con la destra posano la corona sulla lapide, con l’altra mano finanzino i nuovi killer di un uomo innocente? Non riusciamo a crederci, eppure ci sono addirittura biglietti omaggio messi a disposizione dalle istituzioni. Quel 31 ottobre Libero mostrò come il Corriere della Sera si prestasse alla réclame: rendeva onore ai teatranti sostenendo che quello spettacolo «rinfresca la memoria». Quale memoria? Dario Fo non ha dubbi: il commissario Definestra detto anche Cavalcioni, insomma Calabresi, ha spinto con le sue mani l’anarchico Pinelli, dopo averlo colpito con mosse da karate. Lo spettacolo è una farsa giocata intorno a questa certezza verminosa. La lettura di questo testo (ripubblicato da Einaudi nel 2007) ne mostra anche la povertà letteraria. Ci sono trovate da guitto impalcate sulla miseria morale di chi taglia la pancia di un uomo mite, senza offrirgli alcuna possibilità di difesa. Perché tutti tacciono e tutti finanziano? Non dico a sinistra, ma anche a destra? Cos’è questa sorta di patto trasversale? Il libro del figlio di Calabresi, Mario, ha permesso di aprire un attimo il sipario sull’orrore di quel tempo. Lavora a Repubblica: pensavamo che almeno i suoi colleghi protestassero, facessero non dico un sit-in per chiedere il rispetto di una famiglia davvero torturata, ma almeno una letterina sulle pagine locali del loro giornale. Macché. Devono aver sistemato la pratica una volta per tutte con l’anticipazione di qualche pagina del libro di Mario. Ho chiesto si alzasse una voce tra gli 800 intellettuali che confezionarono e firmarono sull’Espresso il manifesto dove Calabresi veniva bollato, dieci mesi prima dei due proiettili, dall’in chiostro di una lettera che lo definiva «commissario torturatore». Un piccolo modo di mostrare una faccia un poco rossa di vergogna, un gesto minimo. In quella famosa lettera c’erano le stesse parole che guidarono i killer. Zero, niente. Nemmeno il capo della Polizia (Calabresi era il commissario Calabresi!) ha rilasciato una dichiarazione amara, il senatore Gerardo D’Ambrosio, che come pm certificò l’innocenza totale di Calabresi, trova sempre parole contro Berlusconi, ma contro questa vigliaccheria, zitto e Mosca. Ecco, dica lei una parola. Chieda a Dario Fo di ritirare la commedia, offra denaro a lui e alla compagnia per un altro spettacolo, magari in cui si esaltino Lenin e Diliberto, ma guai a chi tocca Calabresi.
TEATRO E POLITICA
Il poliedrico Premio Nobel per la letteratura Dario Fo che a teatro non risparmia nemmeno i morti. Questa volta se la prende con Luigi Calabresi, accusato di aver spinto fuori dalla finestra della Questura l’anarchico Giuseppe Pinelli, allora presunto complice di Pietro Valpreda nella strage di Piazza Fontana. La commedia s’intitola “Morte accidentale di un anarchico”, in scena dal 31 ottobre al Teatro Leonardo di Milano LAPRESSE

LIBERO 9 novembre 2007

2)

Rutelli, dì qualcosa di sensato su Calabresi

di RENATO FARINA

Due notizie a proposito di Calunnia Continua contro Luigi Calabresi.
1) Nessuna risposta dal vicepremier Francesco Rutelli all’appello affinché faccia o almeno dica qualcosa perché l’arte non sia un martello in testa a un servo dello Stato morto per dovere.
2) Il Corriere della Sera insiste imperterrito a consigliare l’acquisto di biglietti dello spettacolo “Morte accidentale di un anarchico”.
A proposito del primo punto. Che peccato. Da Rutelli mi aspettavo una vibrazione di indignazione. Niente. Ma sarà contento: non è solo. Volevo scrivergli una lettera: «Caro ministro della Cultura, la maggioranza è con lei, anzi a quanto pare l’unanimità. Complimenti». Sono tutti quanti della stessa pasta complice. Nessuno ha mosso un dito per difendere la memoria di Luigi Calabresi. Sullo spettacolo di Dario Fo, in scena a Milano fino al 25 novembre, continuano così tranquille a piovere le sovvenzioni del ministero dei Beni culturali, di Comune, Provincia e Regione. Dài Rutelli, chiama l’Ansa, mandaci una missiva, un fax, paghiamo noi il pony-express. Parla però. Dissociati. Scandalizzati. Non è questione di libertà dell’arte, ma di diritto a non essere appesi per i piedi anche dopo morti con la beffa che la corda è pagata dalla Repubblica Italiana, sezione Cultura. Sulla seconda notizia, siamo un pochino più stupiti. È da dieci giorni che cerchiamo di convincere qualcuno ad aiutarci a levare i chiodi dalle mani e dai piedi del commissario assassinato e riassassinato tutte le sere. Accade – com’è risaputo – al Leonardo, 498 posti, parecchi biglietti omaggio dell’as sessorato alla Cultura. E il Corriere della Sera, voce di Milano e della legalità della Procura? Non basta il si- lenzio. Ci vuole pure la tromba per richiamare le folle: venghino. Il suo direttore ha chiesto scusa una volta per l’appello dell’Espresso in cui si forniva ai killer il movente per sparare al «commissario torturatore», e Paganini non ripete. Così appare quotidianamente o quasi sul quotidiano di Via Solferino l’invito a godersi questo linciaggio postumo scritto dal Nobel. Il 30 ottobre il Corriere ricordava come questa farsa dove Calabresi è chiamato Commissario Definestra (oh che allusione fine, che genio quel Fo) è stata messa in scena «a Londra per cinque anni consecutivi, rappresentato da sessanta compagnie diverse». Poi la recensione di Claudia Canella emette la sentenza: «Il testo rinfresca la memoria». Ma sì che è stato Calabresi, vero? Ieri è toccato alla titolare della rubrica Magda Poli invitare ad affollare la platea: «Un divertente spettacolo dal forte impegno civile». Posso dirlo: andate al diavolo. Ieri le dichiarazioni di Fo assolutamente demenziali, apparse sulla Stampa, sono passate senza alcun segnale di indignazione. Nessuna replica. Neanche sulla Repubblica dove è autorevole corrispondente da New York Mario Calabresi, il figlio. Fo ha detto, a proposito di chi si è pentito di aver sottoscritto quel manifesto: «Mi stupisce di questi ripensamenti. Bella dignità che hanno… Sono state le polizie segrete, organizzazioni parallele che volevano impedirgli (al commissario Definestra, ndr) di rendere noto tutto quello che sapeva. Lui avrebbe potuto tirarli dentro e riferire. Traduzione: assassino e potenziale delatore. Dunque eliminato dalla polizia. È questa la verità accettata come espressione artistica? Per questo il Corriere appoggia la ripetizione eterna di questo spettacolo? Se un vescovo calabrese è trasferito, per il Corriere è la chiesa che fa un piacere alla ‘ndrangheta. Se invece a Milano si dà dell’assassino a Calabresi, e il Corriere fa il finto tonto e a pagina 24 del “Tempo Libero” applaude, che cos’è? Ministro Rutelli, o se lei non può per motivi che non sappiamo – a questo punto – qualcuno del governo, un Massimo D’Alema, un Enrico Letta, un Arturo Parisi, un Giuliano Amato, dicano qualcosa. Ministro Amato, il commissario Calabresi è una medaglia d’oro su cui qualsiasi cane può alzare la gamba? Rutelli, il Nobel dà la licenza di uccidere?

LIBERO 10 novembre 2007