Figlio nasce zoppo: la mamma non potè abortire ed ora chiede i danni

La notizia è di quelle che sembrano inventate. Dinanzi al Tribunale di Udine dal 1994 pende una causa di risarcimento intentata da una coppia di genitori contro la locale Asl 5, accusata di non averli informati, in tempo utile per poter ricorrere all’interruzione di gravidanza, di un’anomalia del figlio nascituro. Il bambino, oggi un ragazzo sedicenne, è nato con un’ipoplasia del femore sinistro: ha, cioè, un difetto dell’accrescimento dell’osso, una gamba più corta dell’altra. Un difetto fastidioso, certamente invalidante rispetto ad alcune attività, che però può essere curato e può consentire una vita normale. Ma per quei genitori costituisce motivo sufficiente per affermare che, se l’avessero saputo, quel loro figlio “difettoso” non sarebbe mai nato.

Della vicenda si riparla in questi giorni perché se ne sta tuttora occupando la Corte costituzionale, che dovrà pronunciarsi su un’eccezione di incostituzionalità sollevata dal Tribunale di Udine. Il quale, lungi dall’assecondare la richiesta di risarcimento della coppia, ha ritenuto la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza incompatibile con l’articolo 27, con l’articolo 32 e soprattutto con l’articolo 2 della Costituzione, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, primo tra tutti quello alla vita, da riconoscere anche al “bambino non ancora nato”.

Al di là del merito giuridico, la storia di Udine è indicativa di come si stia affermando, assecondata dall’offerta tecnologico-medica, un’idea eugenetica della procreazione, che fa apparire accettabile, e fa addirittura rivendicare, l’eliminazione dei non-conformi. Altro che riconoscere che “ogni bambino entra nella vita come un unico, inatteso, e per-ora-misterioso estraneo, dotato sia dell’universale potenziale di attività umana, sia della sua propria, unica versione di essa, senza precedenti” (Council of bioethics Usa).


Non sappiamo quanto peserà nella vita di quel ragazzo la triste riprova che, per mamma e papà, la sua è una “vita ingiusta”, una “wrongful life”, come una recente letteratura bioetica dice di persone che, si sostiene, non sarebbero dovute nascere. Sappiamo però che sono stati eliminati feti in previsione di bassa statura e che c’è chi giustifica la selezione del figlio già concepito sulla base del sesso. Nell’ideologia della programmazione che domina la sfera procreativa, il figlio non esiste di per sé, ma è solo strumento dei desideri e misura delle paure altrui.


(C) IL FOGLIO – 9 marzo 2005 – Editoriale pag. 3