Feto con handicap, non esiste il diritto all’aborto

Milano. Non esiste, secondo il nostro ordinamento giuridico, un «diritto a non nascere», nemmeno per una persona portatrice di handicap. Lo ha detto la Corte di Cassazione con una sentenza (n. 14488) che ha negato il risarcimento per la nascita a una bambina affetta da talassemia, la cui madre non ha potuto ricorrere all’aborto perché non informata adeguatamente dai medici.

La Cassazione ha sottolineato che alla donna spetta il risarcimento per la mancata informazione: danni morali, biologici e patrimoniali (e la Corte ammette che devono essere più dei 350 milioni di vecchie lire che furono stabiliti); ma al neonato non può essere riconosciuto il risarcimento per essere stato privato del «diritto a non nascere».


La sentenza, non autorizzando il ricorso all’aborto eugenetico (cioè per selezionare i sani a danno dei malati), ricorda che secondo la legge 194:
1)«l’interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni) o grave (successivamente)»;
2)«trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla donna»;
3)«le eventuali anomalie del feto, rilevano solo nei termini in cui possano cagionare il danno alla salute della gestante e non in sé considerate con riferimento al nascituro».


I giudici ricordano anche che, secondo le nostre leggi, viene tutelato «il concepito e quindi l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita e non verso la non nascita, per cui se di diritto vuol parlarsi, deve parlarsi di diritto a nascere».


La Cassazione quindi nega che sia configurabile un diritto della persona nata con handicap «a non essere nata poiché non sana».
«Sostenere che il concepito abbia un diritto a non nascere, sia pure in determinate situazioni di malformazione – chiariscono i giudici – significa affermare l’esistenza di un principio di eugenesi o di eutanasia prenatale, che è in contrasto con i principi di solidarietà dell’art. 2 della Costituzione, nonché con i principi di indisponibilità del proprio corpo di cui all’art. 5».


(En.Ne.)
Avvenire, 31-7-2004