Esce il «Libro nero di Cuba»

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Il «Libro nero di Cuba»


Artisti e poeti, ma anche economisti e giornalisti: una mappa dettagliata degli intellettuali perseguitati da Fidel Castro. La stretta repressiva si abbatte su riviste e agenzie di stampa. Il caso più clamoroso riguarda il grande poeta Rivero Castañeda

Samizdat all’Avana

Cuba è una repubblica fondata sulla repressione. L’articolo 35 della Costituzione recita: «Nessuna delle libertà riconosciute ai cittadini potrà essere esercitata contro l’esistenza e gli obiettivi dello Stato socialista». Quello di Fidel Castro è un regime illiberale e non c’è “aggressione” americana che tenga. Al più, l’aperta ostilità degli Stati Uniti aiuta Castro a trovare alibi, prontamente accolti da certe sinistre europee, per la sua macchina repressiva. Ma sull’isola la pressione sugli oppositori, sui dissenzienti o anche semplicemente su chi non si allinea integralmente è costante, tra illusorie distensioni e repentini irrigidimenti. L’ultimo giro di vite, nel marzo 2003, è al centro dell’analisi del Libro nero di Cuba, curato da Reporter senza frontiere e ora tradotto da Guerini (pagine 202, euro 17,50). Nessuno dei settantacinque condannati del 2003 si era macchiato di reati violenti. Erano sindacalisti e intellettuali, soprattutto giornalisti. Molte le condanne a diciotto, venti anni di reclusione; è stata la più grande retata per reati d’opinione – denuncia Reporter senza frontiere – dell’intera storia del continente americano. Tutti accusati di complotto con gli Stati Uniti, al termine di processi sommari i condannati sono stati rinchiusi in condizioni tali da violare perfino le norme cubane: celle infestate di topi e insetti, acqua inquinata, cibo scarso, cure mediche insufficienti. Frequente il ricorso a vere e proprie torture, come tenere i prigionieri sempre al buio, privarli del letto, sigillare le celle torride e infestate, impedire indefinitamente le visite dei famigliari. La stretta repressiva si è abbattuta sugli ideatori, sui sostenitori e sui collaboratori di due riviste, De Cuba e Luz cubana, che per la prima volta dall’ascesa di Castro avevano osato sfidare il monopolio da parte del regime della cultura e dell’informazione. Sempre in ossequio alla Costituzione, secondo la quale (art. 39c bis) «la creazione artistica è libera, a condizione che il contenuto non sia contrario alla Rivoluzione». Cioè non libera. Gran parte degli artisti cubani è già esule all’estero, soprattutto negli Stati Uniti dove lavorano, per esempio, i pittori Carlos Alfonzo e Casimiro Gonzales. Gli intellettuali promotori delle due riviste non se ne sono dati per inteso e il loro primo delitto è stato di lesa maestà, anche perché non hanno affatto sferrato attacchi diretti al regime. «Niente nel contenuto di De Cuba e nessuno degli obiettivi dichiarati e rispettati dagli editori della rivista erano tali da impensierire un regime – osserva il Libro nero – nessuna polemica, nessun insulto, ma, al contrario, la pratica della tolleranza, le inchieste sul terreno, il semplice resoconto di una realtà sociale contraddittoria e di una vita culturale forzatamente “underground” a Cuba». Luz cubana sopravvisse un solo numero, De Cuba, miracolosamente, riuscì a stamparne due prima che gli arresti colpissero i suoi collaboratori a partire dal direttore, Ricardo Gonzalez Alfonso, e delle più importanti figure della cultura dissidente cubana fino ad allora rimasta in patria. Come Manuel Vazquez Portal, filologo, poeta e scrittore, un tempo giornalista della rivista culturale ufficiale Caiman barbuto e poi fondatore dell’agenzia stampa clandestina Cuba Press. Come gli economisti Oscar Espinosa Chepe e Marta Roque Cabello, i giornalisti Jorge Olivera Castello e Ricardo Gonzalez Alfonso, il pedagogista Juan De Miranda Hdez. E come il più grande poeta cubano di oggi, Raúl Rivero Castañeda. Tra le accuse imputate a Rivero c’era anche la collaborazione con Reporter senza frontiere, definita una «organizzazione terrorista francese manipolata dal governo degli Stati Uniti». Aveva dichiarato: «Io non cospiro, scrivo». Nel 2002 gli era stato negato il visto per il Messico, dove avrebbe dovuto presentare la sua ultima raccolta di poesie; l’unico visto che poteva ottenere, osservava, sarebbe stato quello per l’esilio definitivo. Ma Rivero non voleva spezzare il legame con la sua terra. «Sono solo un uomo che scrive nel Paese dov’è nato», ribadiva il poeta che non temeva la tirannia in quanto, recitano i suoi versi, «è passeggera / perché castiga il corpo / ma non ha agenti né risorse / per toccare il mio spirito». Grazie a una delle frequenti oscillazioni del pendolo repressivo di Castro, Rivero è tornato in libertà alla fine dell’anno scorso, insieme agli altri arrestati del 2003. La sua permanenza sull’isola è però diventata impossibile e un mese fa, insieme alla sua famiglia, si è trasferito a Madrid.


di Edoardo Castagna

Avvenire 10 maggio 05