Risponde una esperta di bioetica, la dottoressa Claudia Navarini
ROMA, mercoledì, 19 gennaio 2004 (ZENIT.org).- Ha destato molto scalpore la notizia diffusa il 17 gennaio di una donna romena di 67 anni, di nome Adriana Iliescu, la quale dopo 9 anni di cure ormonali e una inseminazione artificiale ha dato alla luce due gemelle, di cui solo una è poi sopravvissuta.
Il fatto, salutato con entusiasmo dai sostenitori delle tecniche di fecondazione assistita, è stato largamente criticato da medici, autorità civili e religiose.
In una dichiarazione rilasciata all’ANSA (17 gennaio 2005), il Vescovo Ciprian Campineanul della Chiesa ortodossa di Romania ha detto che: “La pratica utilizzata da questa donna è contraria alle leggi della morale cristiana”.
Per analizzare le implicazioni scientifiche, etiche e sociali di tale evento, ZENIT ha intervistato la dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Cosa pensa del parto della donna romena, sessantasettenne?
Navarini: È un esempio delle aberrazioni cui può condurre lo smarrimento del senso e della dignità sulla procreazione umana; è una dimostrazione di come nel mondo dell’artificio contino di più le spinte egoistiche di soddisfazione dei propri desideri che il bene del bambino desiderato; è uno strumento di pressione culturale volta a sgretolare la percezione dell’ordine naturale, e dunque della costitutiva dimensione etica, nella questione della generazione.
Quali tecniche sono state utilizzate?
Navarini: I dati forniti sul caso sono vaghi e frammentari. Per quanto riguarda la tecnica utilizzata, la fonte ANSA parla di “inseminazione artificiale” e di “inseminazione in vitro”. Si tratta in realtà di fecondazione extracorporea, in vitro, con trasferimento embrionale (FIV-ET).
Il riferimento alla semplice “inseminazione”, però, riduce la sensazione di paradosso e di forzatura che spontaneamente coglie chiunque provi, per un solo istante, ad immaginare le implicazioni di una gravidanza e di una nuova maternità a sessantasette anni.
La donna, sempre secondo le notizie diffuse dalla stampa, si era sottoposta per nove anni a “cure ormonali”. Nove anni di tentativi di fecondazione artificiale andati a vuoto, su una donna che, alla “partenza”, era già sulla soglia dei sessanta: ci vuole una notevole dose di “accanimento”, anche da parte dei medici che l’hanno seguita.
Di ciò che ha fatto prima, in età fertile, non sappiamo: se e quando abbia avuto una diagnosi di sterilità, se avesse compiuto tentativi precedenti di concepimento, naturale o artificiale, se abbia mai pensato alla nobile via dell’adozione.
Chi è il padre?
Navarini: La figura del padre è completamente assente dai mezzi d’informazione. Nei servizi che ho letto si mette a confronto il caso record di Adriana Iliescu con quello dell’indiana Satyabhama Mahapatra, divenuta mamma a 64 anni, osservando che le donne sono “entrambe sposate da lunghissimo tempo”.
Dobbiamo inferire da ciò che esiste anche un papà-nonno, dietro le quinte. Il quale però non sembra significativamente coinvolto nel “successo” dell’operazione. Sembra che importi più che altro il “primato”, e non le condizioni familiari che avrà questa bimba già segnata da disagi, visto che è nata prematura di otto mesi – a soli un chilo e 400 grammi – poco dopo avere perso la gemella di 700 grammi e un altro embrione gemello in precedenza, a nove settimane di gestazione.
È poi scontato che molti altri suoi fratelli e sorelle siano caduti, vittime della provetta, e che dunque la piccola figlia-nipote sia una triste sopravvissuta di un processo davvero costoso in termini di vite umana (cfr. Benoît Bayle, L’embryon sur le divan, psychopathologie de la conception humaine, ed. Masson, 2003).
Quali potranno essere in futuro i problemi per la bimba nata?
Navarini: In effetti viene da chiedersi quale sia il privilegio di questa drammatica selezione, oltre al privilegio della sopravvivenza. Nascere da genitori che non sarebbero giovani neppure come nonni comporta per il futuro rischi seri: un senso di isolamento ben maggiore di quello del “normale” figlio unico, la verosimile possibilità che questi genitori non abbiano le forze fisiche e psichiche necessarie a seguire la figlia in tutte le fasi cruciali della crescita.
Inoltre, questa bambina soffrirà inevitabilmente di uno scarto generazionale eccessivo e innaturale, e potrà di conseguenza avere maggiori difficoltà di comunicazione all’interno della famiglia, o stentare nel processo di identificazione con la madre (e di emulazione) che secondo gli psicologi è fondamentale per l’acquisizione dell’identità propria e per una crescita interiore equilibrata.
I mass media hanno presentato l’evento come la realizzazione di un sogno, che in Italia non si potrà avere perché la legge 40/2004 lo impedisce. Qual è il suo parere in proposito?
Navarini: In Italia il sogno è avvenuto, nel 1994, quando una donna di 63 anni ha partorito grazie alla fecondazione artificiale. E tutti, anche gli attuali promotori del referendum, si sono indignati, ritenendo la gravidanza in menopausa aberrante, rischiosa per la donna e dannosa per il bambino.
Tant’è che nei quesiti referendari non è previsto questo ampliamento del limite di accesso alle tecnologie riproduttive. È interessante notare il commento che la mamma-nonna italiana ha rilasciato al “Giorno” il 18 gennaio, nel corso di in un’intervista: “Mi ha impressionato vederla; così anziana, così diversa da me”. La donna, che aveva perso il primo figlio in un incidente stradale, ha voluto a tutti i costi un nuovo bambino, che ha chiamato con il nome del primo.
Il prof. Antinori, artefice del “miracolo”, ha pubblicato nel 2003 uno studio sulle madri attempate, in cui esamina i dati raccolti su 1150 donne che, dopo attenta selezione (originariamente le donne erano 2729), sono state ammesse alla fecondazione artificiale e, nel 28% dei casi, hanno partorito nonostante l’età avanzata. Il 23.6% dei bambini partoriti ha avuto complicazioni prenatali, e il 75% di loro è nato con parto cesareo.
Eppure, secondo Antinori, non ci sarebbero grosse differenze fra una primipare ordinaria e una primipara anziana (S. Antinori et al., Obstetric and prenatal outcome in menopausal women: a 12-year clinical study, “Reproductive BioMedicine”, 6, 2, 2003, pp. 257–261). Al contrario, tutta la ginecologia attuale mostra come già dopo i 35 anni via sia un’incidenza sensibile di complicazioni della gravidanza. Dopo i 40 anni l’incidenza è ancora maggiore, e netto l’aumento di anomalie genetiche.
L’organismo femminile che si trova a svolgere per la prima volta a 40 anni il compito che fisiologicamente dovrebbe svolgere a venticinque è sottoposto ad uno stress notevole, e reagisce con maggiore fatica.
Ma il problema è anche psicologico e relazionale. Per un bambino il ruolo dei nonni è molto importante, e spesso proprio con i nonni i nipoti hanno un rapporto unico e privilegiato, che i nonni ricambiano con grande entusiasmo e vitalità. È tuttavia un ruolo diverso da quello dei genitori, che hanno il compito di portare avanti gradualmente il progetto educativo sui figli, e per questo resteranno per molto tempo il loro punto di riferimento e la loro guida.
Escludendo la maternità tardiva, dunque, la legge 40 non fa altro che tutelare l’integrità e la salute della famiglia, dalla quale dipende la forza di tutto il corpo sociale.
Per quanto il desiderio di procreare possa essere comprensibile, non crede che tali tecniche violino dei principi etici fondamentali?
Navarini: Le donne che sono disposte a tutto pur di avere un figlio, che arrivano a tentare la via della fecondazione artificiale quando l’età fertile è finita, andrebbero aiutate diversamente; soprattutto avrebbero bisogno di accettarsi di più, di comprendere meglio i compiti e il valore che sono loro propri.
La cosiddetta “terza età” è certamente un’epoca feconda, ma non in senso fisico. Ci sono altre più autentiche modalità di mettere a disposizione la propria esperienza, la propria voglia di vivere, i propri valori.
La piccola romena, Eliza Maria, già messa così a rischio dalla sua nascita prematura, potrà forse un giorno sentire di essere stata “trascinata” nel mondo come un trofeo, piuttosto che accolta con un atto di amore.
In effetti, pur invocando il desiderio del figlio come persona su cui riversare un amore rimasto inespresso, questi genitori anomali (in particolare queste mamme) smentiscono nei fatti l’amore che dichiarano. Perché dono e pretesa sono inconciliabili, e un figlio voluto a tutti i costi è in fondo preteso, prodotto, fabbricato.
La maternità in menopausa non fa che svelare una volta di più la radicale distanza della fecondazione artificiale dall’amore per la vita. Se desidero il bene di un bambino non lo metto premeditatamente in condizioni di maggiore debolezza. Anche la legislazione sull’adozione, infatti, vieta un eccessivo scarto di età fra genitori e figli, prudenzialmente anche maggiore di quello che può verificarsi in natura.
La manipolazione dei processi riproduttivi come in questo caso non rischia di aprire la porta a derive di tipo eugenetico?
Navarini: Nella fecondazione artificiale, in effetti, il passo dal desiderio del figlio al figlio del desiderio è breve. Lo dimostrano i tentativi di inserire nella legge 40 la selezione preimpianto.
Anche qui la giustificazione è quella di soddisfare un desiderio legittimo, cioè il desiderio di un figlio sano; ed è anche quella di compiere un “atto d’amore”, evitando di mettere al mondo un figlio malato.
Ma la modalità di realizzazione di queste aspirazioni è completamente distorta, perché non tiene conto della realtà, e cioè del fatto che per “ottenere” quel figlio sano sono stati uccisi molti altri figli (forse) malati, ed è stato messo in condizioni di rischio a breve e a lungo termine anche il figlio (forse) sano.
In pratica, si accetta un pericoloso principio di discriminazione fra sani e malati (da scegliere o da scartare), e fra deboli e forti (cioè fra chi può e chi non può decidere).
In realtà, nella maternità tardiva, e nelle tecnologie riproduttive in genere, il fulcro non è la giovane vita che si va a “creare”, ma la volontà tirannica di una coppia (o magari solo della donna) di soddisfare un sordo desiderio di maternità e di paternità. Costi quel che costi. Anche a costo di stravolgere la maternità e la paternità stesse.