Nessuno ha diritto di sopprimere un altro individuo umano
Mancano milioni di persone nel mondo della produttività, perché soltanto in Italia in questi 30 anni della 194 gli individui soppressi con l’aborto sono stati quasi 5 milioni…
di Mons. Elio Sgreccia,
Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
Caro direttore, due fatti positivi e carichi di novità hanno rischiarato il cielo di speranza in queste giornate natalizie sempre cariche di attese ma anche di sofferenze in varie parti del mondo. Due notizie che interessano il nostro Paese, l’Italia, ma si stanno ripercuotendo nel mondo intero: la moratoria sulla pena di morte che, partita dall’iniziativa laica e cattolica, dall’Italia ha raggiunto un giudizio positivo nell’Assemblea delle Nazioni Unite e la richiesta, sempre partita dall’Italia, di una nuova riflessione sull’aborto che susciti un nuovo atteggiamento in tutto il mondo ove sono in vigore leggi simili alla nostra 194 e, più ancora, ovunque sia praticato l’aborto clandestino o legalizzato che sia.
«Che nessuno uccida Caino!»: con questa parola biblica è partita la prima vittoriosa protesta in favore della vita di chi si fosse reso colpevole anche di delitti gravi. Che non si versi più il sangue di Abele, si è ripetuto, che «grida verso il cielo». Questo secondo messaggio è pure esigenza del diritto alla vita di ogni essere innocente. A mio avviso, nonostante qualche protesta e accusa di ritorno al passato per la cosiddetta «intangibilità» della legge, questa ondata a favore del diritto alla vita non si fermerà e dobbiamo fare del tutto perché si affermi in Italia e nel mondo: è un impegno degno di ogni uomo di coscienza e doppiamente doveroso per ogni coscienza religiosamente ispirata. Le motivazioni e le radici che danno vigore a questa speranza sono molte. Anzitutto è una questione di giustizia! Nessuno—è stato detto e ripetuto da parte di laici di chiara notorietà—ha diritto di sopprimere un altro individuo umano e se è giusto rispettare la vita del colpevole, sia anche e ancor di più rispettata quella dell’innocente. Se è vero, come sembra, che in Italia la maggior parte delle interruzioni di gravidanza sono dovute a motivazioni di controllo delle nascite, perché non ritoccare la legge, affinché sia più coerente con se stessa e più vicina alla giustizia? In secondo luogo è un’esigenza della pace: la prima pace, quella che si fonda sulla giustizia (opus iustitiae pax), è quella che rispetta la vita, ferma la mano del boia e arresta anche l’atto che strappa alla vita un bimbo innocente che attende di nascere.
La decisione di chi rispetta la vita e di chi aiuta a rispettare il diritto alla vita è il primo no alla guerra. Sarà più facile, dopo, insegnare il rispetto dell’innocenza, della fragilità dei bambini e dei malati gravi, sarà più facile e logicamente spiegabile il rispetto dell’ambiente che è la casa e il patrimonio delle generazioni future e di ogni cittadino. C’è un’istanza di solidarietà. Si dice che la nostra Costituzione, quella italiana che ha compiuto in questi giorni 60 anni, è una Costituzione ispirata alla solidarietà e più articoli confermano questo carattere; allora per tutti gli aborti che sono suggeriti dalla miseria o dalla mancanza di lavoro, perché non far agire la solidarietà dello Stato e almeno le organizzazioni del volontariato. Queste morti provocate riguardano spesso specialmente gli ambienti dell’immigrazione e della emarginazione. C’è una ragione più concreta ancora che è quella della economia e della sopravvivenza demografica delle nostre popolazioni occidentali. Il primo «capitale» che serve per l’economia —lo hanno scritto economisti premi Nobel come Beker— e che garantisce una buona economia, è costituito dal «capitale umano». L’Europa (e non solo l’Italia) è demograficamente in declino ed economicamente è a rischio. Dobbiamo ringraziare gli immigrati che in qualche misura rallentano questo declino.
Mancano milioni di persone nel mondo della produttività, perché soltanto in Italia in questi 30 anni della 194 gli individui soppressi con l’aborto sono stati quasi 5 milioni. C’è anche un dovere verso la scienza che porta a modificare la legge non soltanto perché la legge è inadeguata nel definire la vivibilità del feto, ma perché la scienza conferma che l’essere umano dal momento del concepimento è un individuo umano. Ci sono ragioni cogenti per chi ragiona con la testa, con il cuore, con la coscienza ed anche con l’economia. Ma si dice che c’è l’istanza della libertà della donna, dell’autonomia della madre: noi sappiamo — tutti lo sanno —che per la donna l’aborto è una sofferenza e una sconfitta della sua maternità. Chi aiuta la libertà della donna ad accogliere liberamente e responsabilmente la vita del figlio, lavora anche e prima di tutto a vantaggio del bene della donna. Perché la libertà vera è quella che rispetta il bene di tutti, adulti e nascituri. Peraltro sopprimere la vita è togliere le radici della libertà di chi viene soppresso. È questo il momento in cui la legge può e deve incoraggiare l’uso responsabile della libertà. Non si tratta di un ritorno indietro, ma di un camminare avanti: come è stata combattuta la schiavitù, la discriminazione tra bianchi e neri o tra ricchi e poveri, si deve continuare a riconoscere il diritto alla vita anche in senso verticale per i nascituri e i nati, i colpevoli e gli innocenti.
Giovanni Paolo II in uno dei suoi ultimi discorsi tenuti alla Pontificia Accademia per la Vita ha detto: «La vita vincerà: è questa per noi una sicura speranza. Sì, vincerà la vita, perché dalla parte della vita stanno la verità, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della Vita è Dio, che ama la vita e la dona con larghezza» (Discorso ai Partecipanti alla VII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, 3-III-2001) e Benedetto XVI ha ricordato che «l’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26)… Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l’uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione». (Discorso ai Partecipanti alla XII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, febbraio 2006).
Corriere della Sera 05 gennaio 2008