IL SACRIFICIO DEI MARTIRI E L’ODIO DEI KAMIKAZE
Il confronto fra l’immolarsi dei santi cristiani e quello islamico; la testimonianza di padre Muresan, perseguitato da Ceausescu Un uomo sente bussare alla cita: si alza, lentamente, sa già che cosa lo aspetta, di fuori, nella notte. C’è la “macchina nera”, nella Romania del’48, tutti hanno imparato a conoscerla. Quando arriva, è segno che sei stato colpito, che la tua vita di sempre è finita, che sarai portato chissà in quale stanza oscura, in quale prigione nascosta. Di te non si saprà più nulla e se morirai, nessuno potrà venire a piangerti su una tomba, perché “loro” faranno in modo che di te non rimanga nessuna traccia neppure dopo la morte.
Dunque, nessuna lapide, nessuna lastra di marmo, nessun nome da ricordare. La colpa è quella di essere cristiano, di essere prete, o suora, o semplicemente madre di famiglia, o studente, ma cristiano. E di non voler venire meno alla fede, professata sempre e comunque. Diventerai un martire e nessuno lo saprà, morirai per il tuo Dio e magari per aver aiutato qualcuno in nome di quel Dio.
Due ragazzi, in Medio Oriente, sognano di diventare “qualcuno”, di sfuggire così alla fatica quotidiana, all’anonimato, alla vita che non ha prospettive grandiose, segnata com’è dalla miseria. Il nemico? E’ facile da individuare: il sionismo, Israele, gli americani, l’Occidente. Tutto questo è il Grande Male, quello che Allah chiede di estirpare, come dicono gli imam, i “maestri”. Ci vuole coraggio, ci vuole un gesto enorme, che faccia paura, che terrorizzi, che faccia capire chi è il più forte. E’ bello morire per questo, diventeranno eroi, in molti li chiameranno “martiri” per la gloria di Allah, per sconfiggere il Grande Satana, gli Usa, l’Occidente corrotto. Moriranno e porteranno con sé molte vittime senza volto. Innocenti? Chi lo sa, ma se sono ebrei, se sono occidentali, tanto innocenti non potranno essere, neppure i bambini. In un solo colpo, con un’unica esplosione, si realizzerà il sacrifico perfetto, il messaggio che il mondo deve ricevere. E subito, in un istante, arriverà il premio, il paradiso.
Queste sono storie diverse, lontane nel tempo e nello spazio, con un minimo comune denominatore: andare incontro al la morte, per un motivo preciso, per la testimonianza. Ma tra i due “modelli” c’è un evidente abisso. Da un parte, la testimonianza della fede, sì, ma per la vita. Dall’altra l’ebbrezza della morte, per una fede che esige il sacrificio. Sono le storie presentate ieri a Venezia, per dare il via all’edizione di quest’anno dei Dialoghi di San Giorgio organizzati dalla Fondazione Giorgio Cini. Lo scopo è avviare riflessioni e dibattiti su temi di grande attualità alla presenza di intellettuali e studiosi che arrivano da tutto il mondo. Quest’anno si parla di “Martiri. Testimonianze di fede, culture della morte, nuove forme di azione politica”. Sono invitati, tra gli altri, l’islamista Gilles Kepel, l’induista Charles Malamoud, la storica della civiltà arabo islamica Anna Bozzo e lo storico delle religioni Giovanni Filoramo. E per cominciare è stato invitato padre Lucian Muresan, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica di Romania. Perseguitato per 19 anni durante il regime di Ceausescu perché cattolico. Un martire. Insieme a questa testimonianza è stato proiettato il film “Paradise now” del regista Hany Abu-Assad, ambientato nella Palestina di oggi e incentrato sulle vicende di due ragazzi che diventeranno kamikaze.
L’arcivescovo parla lentamente, racconta dei milioni di perseguitati nell’allora cortina di Ferro, e in particolare in Romania, persone uccise, torturate, umiliate dallo Stato ateo comunista che «proprio in nome del popolo ha distrutto la libertà e la coscienza del popolo».
Subito dopo averlo ascoltato, e da, aver seguito le vicende dei due palestinesi, ci appaiono più chiare alcune questioni fondamentali che i “Dialoghi” hanno voluto mettere sul tappeto. Il martirio che noi occidentali conosciamo è proprio quello di padre Muresan, il sacrificio di sé fino allo stremo, e nel silenzio. Tanto in silenzio che nel Ventesimo secolo si sono consumati a milioni martirii come questo, nel cuore stesso dell’Europa. Non ci abbiamo più pensato, offuscati da un senso della vita che nega il valore della sofferenza e della morte. In questa società anestetizzata hanno fatto irruzione i “ nuovi martiri”, che incarnano una testimonianza offensiva, dando la morte a se stessi e agli altri. Alla luce tenebrosa dei nuovi kamikaze riscopriamo la luce splendente di uomini e donne che sono morti in silenzio e in silenzio ci mostrano la strada per rispondere a questi clamori di morte.
Caterina Maniaci – LIBERO 13 settembre ’06