Contro la sperimentazione sugli embrioni umani

1. Le tecniche di fecondazione artificiale, sia nella forma omologa che eterologa, possono comportare la produzione di embrioni in soprannumero, i quali vengono usati subito ovvero congelati e conservati. E’ questo uno degli aspetti della fecondazione artificiale – già eticamente censurabile sotto numerosi aspetti, con particolare gravità nel caso della fecondazione eterologa – che solleva le più gravi riserve e deve indurre ad una decisa presa di posizione, contraria a tutte le proposte che intendono gestire il destino degli embrioni: esseri umani fin dal primo momento della loro formazione, dotati di piena individualità personale e capaci di un completo sviluppo anche quando è temporaneamente arrestato dalle procedure di congelamento.

Per questi embrioni si prospettano plurimi destini: la sperimentazione (1) nel loro primo stadio di sviluppo siano essi freschi o congelati; l’eliminazione dopo un numero di anni fissato in modo convenzionale e arbitrario; il tentativo di trasferimento successivo nella madre genetica o in un’altra donna dopo la cosiddetta “donazione”.


La prospettiva di una tale sperimentazione – che comporta quasi sempre la soppressione dell’embrione – è quella che viene presentata con la maggiore insistenza e i proponenti, per superare le obiezioni di ordine etico che si frappongono al loro obiettivo, hanno fatto ricorso a sofismi filosofici e, soprattutto, biologici, la cui inconsistenza è facile da dimostrare a chiunque anteponga sinceramente i principi di difesa della vita umana a qualunque altra finalità utilitaristica. Basterebbe considerare quanto è stato fatto sul piano legislativo contro la sperimentazione animale ottenendo indubbi successi, per comprendere l’inaccettabilità della sperimentazione sacrificale sull’embrione umano.


2. La sperimentazione sull’embrione umano: perché?


Le tecniche di fecondazione artificiale, ed in particolare la fecondazione in vitro, costituiscono dunque – oltre che un mezzo di manipolazione della procreazione umana – anche l’occasione di strumentalizzazione e/o soppressione di individui umani. Oggetto di ricerca e di sperimentazione è l’embrione umano, fresco o congelato ottenuto mediante fecondazione in vitro – e non trasferito nell’apparato riproduttivo materno perché in soprannumero – o l’embrione umano prodotto appositamente in vitro per la sperimentazione.


In un primo periodo la sperimentazione sull’embrione umano – di per sè già eticamente inaccettabile perché in questo ambito risulta non terapeutica – si è indirizzata all’approfondimento delle conoscenze sulle prime fasi dello sviluppo embrionale, al miglioramento dei terreni di coltura, alla definizione delle migliori condizioni per il trasferimento dell’embrione nell’apparato riproduttivo della donna e il suo impianto ovvero per la sua conservazione in stato di congelamento, per una migliore conoscenza della realtà biologica dell’essere umano al suo inizio e delle cause ancora ignote della sterilità.


In un periodo successivo si è assistito ad un progressivo dilatarsi della ricerca sperimentale oltre questi ambiti.


Le linee di sperimentazione emerse in questi ultimi anni sono infatti:



a. lo studio dei meccanismi di differenziazione e di morfogenesi dell’embrione umano;


b. lo studio sulla possibilità pratica della diagnosi pre-impianto di malattie genetiche al fine di selezionare per il trasferimento in utero soltanto embrioni geneticamente sani;


c. lo studio delfficacia di nuove tecniche abortive;


d. lo studio delle proprietà delle cellule staminali di embrioni e della possibilità di una manipolazione degli embrioni in vista dell’uso per trapianto;


e. i tentativi di terapia genica embrionale per via sia somatica sia germinale, attraverso l’inserimento nel genoma dell’embrione di un gene – cioè di un frammento di DNA -, che dovrebbe prevenire il manifestarsi di una condizione patologica.


3. La sperimentazione sull’embrione umano entro i primi 14 giorni del suo sviluppo: perché?


Il profano si sorprende apprendendo che alcuni studiosi hanno proposto di stabilire un limite cronologico – i primi 14 giorni di sviluppo – entro il quale sarebbe eticamente lecito sperimentare sull’embrione umano. Questa proposta è contenuta nel documento pubblicato in Gran Bretagna nel 1984 dal Comitato Warnock ed è stata ripresa successivamente da altri organismi e gruppi.


Si tratta di una proposta priva di basi scientifiche, un vero e proprio espediente dialettico che ha un solo scopo: consentire la sperimentazione sull’embrione umano superando un limite etico che per chiunque abbia onestà intellettuale è invalicabile, cioè la natura di individuo umano irripetibile che l’embrione possiede sin dal momento della sua formazione per cui la sua utilizzazione in laboratorio è un crimine contro la vita e l’umanità.


Il periodo di “franchigia” calcolato in 14 giorni è stato variamente motivato: a. perché prima di tale termine non è completo l’impianto in utero; b. perché solo dopo tale termine le cellule embrionali perdono la cosiddetta “totipotenzialità”; c. perché intorno al 14 giorno è visibile nell’embrione la cosiddetta “stria primitiva”, considerata come “il segno” di un “nuovo” soggetto umano; d. perché dopo il 14 giorno finisce la possibilità che da un unico embrione si formino gemelli monozigoti.


Queste argomentazioni sono, però, incerte e arbitrarie sul piano biologico e inconsistenti sul piano filosofico per cui non consentono di trarre conclusioni di liceità etica della sperimentazione nei primi 14 giorni di sviluppo.


L’embrione, fino dal primo momento reca in sè un genoma irripetibile, diverso, nella sua globalità, da quello di qualsiasi altro essere umano passato e futuro e diverso perfino, in alcune sue parti, da quello di eventuali gemelli monozigoti che dovessero formarsi nei primi giorni dello sviluppo. La cosiddetta “stria primitiva” è già determinata geneticamente verso il 7-8 giorno e la gemellarità eventuale altro non è che la produzione di altri esseri umani, quasi uguali ma non identici per cui sopprimendo il primo embrione implicitamente si preclude la nascita anche di altri individui.


Del resto lo stesso Comitato Warnock nel decidere a maggioranza la possibilità di sperimentare sull’embrione aveva peraltro riconosciuto che “biologicamente non è possibile identificare un singolo stadio nello sviluppo dell’embrione oltre il quale un embrione in vitro non dovrebbe essere tenuto in vita”. Ciononostante ha adottato una posizione permissiva ritenendo che in quest’ambito dovesse essere presa una decisione al fine di tranquillizzare la pubblica ansietà(Department of Health and Social Security, Report of the Committee of inquiring into human fertilization and embriology, Her Majesty’s Stationary Office, London, 1984, chap. 11). Di tale “pubblica ansietà” non si è invero percepita l’esistenza.


4. Gli embrioni prodotti ad esclusivo scopo sperimentale: perché?


Da parte di alcuni ricercatori è stata avanzata in modo pressante la richiesta di poter sperimentare oltre che sugli embrioni in soprannumero anche su embrioni umani formati appositamente a scopi sperimentali. Il motivo di tale richiesta è il poter disporre di una maggiore quantità di “materiale biologico” non alterato dai processi di congelamento e di scongelamento.


L’opposizione prevalente a tale pratica tradotta in divieti espressi da organismi internazionali e nazionali, ha indotto all’ulteriore proposta di utilizzare a tali fini gli embrioni in cosiddetto “stato di abbandono”, cioè quegli embrioni crioconservati, prodotti in soprannumero in occasione di fecondazioni in vitro, e che non sono destinati al trasferimento in utero perché i genitori non li desiderano più o si oppongono alla “donazione”, pratica del resto del tutto opinabile. Analoga richiesta di utilizzo a fini sperimentali viene avanzata per quegli embrioni (freschi o crioconservati) che risultano inadatti al trasferimento in utero o che vengano giudicati non vitali.


5. Quali sono le condizioni proposte per l’utilizzo di embrioni in stato di abbandono?


Vi è la pretesa di valutare l’adeguatezza al trasferimento o la vitalità di un embrione umano fresco o previamente congelato con tecniche, che tuttavia sono riconosciute poco efficienti. Dimostrare che l’embrione è inadatto all’impianto non significa tuttavia che esso sia morto, per cui la sperimentazione, che di fatto ne determina la soppressione, è anche in questo caso illecita.


Qualora anche si riuscisse a raggiungere una decisione, questa resterà comunque sempre più o meno probabile, e inoltre l’eventuale perdita di vitalità reale degli embrioni comporterebbe l’assenza di interesse da parte degli sperimentatori i quali non a caso cercano di poter disporre di “materiale biologico” sempre più fresco (ovvero vivo) e abbondante.


In conclusione

 


Dal momento che:


a) è del tutto arbitraria e ingiustificata sotto il profilo biologico ogni ipotesi che fissi strumentalmente l’inizio dell’esistenza dell’individuo umano al di là della fecondazione;


b) l’embrione umano in quanto individuo umano ha fin dall’inizio della sua esistenza – cioé dal momento della fecondazione – il diritto alla vita e all’integrità e possibilità di sviluppo;


c) l’embrione umano, in virtù della sua dignità di essere umano, non può essere utilizzato come “materiale biologico” per una sperimentazione che non sia finalizzata al suo stesso bene;


d) l’embrione umano può, pertanto, essere utilizzato a scopi sperimentali solo dopo l’accertamento della morte e con lo stesso rispetto che si ha nei confronti di ogni altro essere umano morto;


e) la decisione, da parte della équipe che ha effettuato la fecondazione in vitro, che un embrione non è adatto al trasferimento nell’apparato riproduttivo della donna, non implica di per sè che esso sia un organismo morto o che lo diverrà in breve tempo, ma solo che – tra i diversi embrioni disponibili – esso presenta una probabilità di sviluppo e di impianto giudicata inferiore ad altri embrioni, per questa sola ragione ad esso preferiti;


è da ritenere eticamente inaccettabile sia la creazione di embrioni umani per utilizzarli nella sperimentazione ed anche ogni forma di sperimentazione su embrioni umani soprannumerari in “stato di abbandono” o giudicati non adeguati al trasferimento nell’apparato riproduttivo della donna.


Documento n. 1/1996
Centro di Bioetica
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