”Con Kyoto l’Italia dice addio alla crescita”

«L’applicazione del Protocollo di Kyoto potrebbe costare all’Italia una riduzione del Pil fino al 3% nel 2025, con una perdita di 280mila posti di lavoro». È quanto sostiene l’economista americana Margo Thorning, direttrice dell’International Council for Capital Formation (Iccf).

Signora Thorning, le cifre che lei fornisce sono allarmanti. Ma sono davvero affidabili?

Certamente. Sono stime che si basano sia su parametri oggettivi legati agli obiettivi del Protocollo di Kyoto sia sul Piano di azione che lo stesso governo italiano ha approvato nel dicembre 2002. Chi volesse approfondire la ricerca svolta, la può trovare su Internet all’indirizzo www.iccfglobal.org.
La questione è che i governi europei stanno sottostimando l’impatto economico del Protocollo.

In che modo inciderebbe sulla nostra economia?

L’Italia potrebbe raggiungere il 43% della riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2010, praticamente senza costi aggiuntivi. Ma per ottenere l’ulteriore riduzione richiesta dovrà necessariamente ricorrere a un aumento generalizzato di tasse per poter acquistare i crediti di emissioni secondo il meccanismo previsto da Kyoto. Questo avrebbe una immediata ricaduta negativa sulla produzione industriale, sul potere d’acquisto dei consumatori e sulla crescita
occupazionale. E questo vale anche per gli altri Paesi europei.

Qualcuno sostiene che un prezzo va pagato per tutelare l’ambiente.

Ma Kyoto non è un buon meccanismo per proteggere l’ambiente. Pur ammettendo che il problema sia fermare l’emissione di gas serra – ma già qui c’è molto da discutere – il problema nei prossimi decenni riguarderà soprattutto i Paesi in via di sviluppo: Cina, India e Brasile in testa, cioè proprio quelli a cui il Protocollo di Kyoto non impone alcun vincolo. Perciò la vera sfida è nel garantire il trasferimento di tecnologia pulita ai Paesi in via di sviluppo. Non è pensabile che questo avvenga con massicci trasferimenti di risorse da parte degli Stati; piuttosto si deve puntare sulla cooperazione bilaterale con i Paesi in via di sviluppo incentivando l’industria privata.

E le emissioni dell’Occidente?

L’obiettivo deve essere quello della riduzione dell’intensità energetica (rapporto tra unità di energia e Pil, ndr). Ma in un caso e nell’altro è necessario incentivare ed accelerare la crescita economica, perché questo vuol dire più risorse da investire e per sviluppare la tecnologia necessaria. È la strada imboccata dagli Usa, ma è opposta a quella di Kyoto.

Se le cose stanno così, perché l’Europa è così decisa a sostenere il Protocollo?

Credo le ragioni principali siano due: l’influenza del movimento ambientalista, che non tiene conto della crescita economica; e l’obiettivo politico di avere una leadership mondiale su un qualche tema.
A questo proposito c’è chi conta sul “no” americano per poter poi imporre delle sanzioni agli Usa e avvantaggiarsene sul piano commerciale.

Riccardo Cascioli


Da SviPop (Magazine su ambiente, sviluppo e popolazione),
21 Dicembre 2004

http://www.svipop.org