L’autorevolezza della Chiesa Cattolica in tema di morale si esplica sia nell’ambito della morale individuale che nella morale sociale, quella cioè che riguarda il comportamento degli uomini in quanto essenzialmente e storicamente “associati” in forme di convivenza e di collaborazione, per la realizzazione del bene comune.
Per questo i principi della morale naturale che la Chiesa da sempre professa e difende attraverso il Decalogo trovano puntuale applicazione nell’ambito ambito sociale, e proprio all’interno dell’esposizione dei dieci comandamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 2052-2557) colloca la sua costante dottrina sociale, che la cultura secolarizzata ha troppo spesso sminuito e ridotto a “insegnamento” su questioni particolari e transitorie.
Il Magistero della Chiesa ha inteso al contrario ribadire l’universalità e l’immutabilità della sua dottrina sociale attraverso la pubblicazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, ad opera del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004).
In esso si chiarisce come tale dottrina rappresenti effettivamente un insegnamento costante che trae le sue radici dalla Rivelazione contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, e a cui le varie scienze, tecniche e discipline dell’età moderna forniscono semmai un contributo in termini di approfondimento sulle questioni specifiche, ma “si tratta di una maggior comprensione che non comporta assolutamente una mutazione né del contenuto né, tanto meno, della natura del deposito” (G. Cantoni, La dottrina sociale della Chiesa: natura e storia ).
Basta uno sguardo al Magistero dell’ultimo secolo per rendersi conto di tale continuità di prospettiva. Il primo utilizzo del termine dottrina sociale risale alla Lettera enciclica Quadragesimo anno (1931) di papa Pio XI “e designa il ‘corpus’ dottrinale riguardante temi di rilevanza sociale che, a partire dall’enciclica Rerum Novarum [1892] di Leone XIII, si è sviluppata nella Chiesa attraverso il Magistero dei Romani Pontefici e dei Vescovi in comunione con essi” (Compendio …, n. 87). Pio XII, che pose grande attenzione all’insegnamento in materia sociale, introduce nell’esortazione apostolica Menti nostrae (1950) l’espressione dottrina sociale della Chiesa, che Giovanni XXIII mantiene nelle encicliche Mater et Magistra (1961) e Pacem in terris (1963).
Nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes (1966), il Concilio Ecumenico Vaticano II affronta “organicamente i temi della cultura, della vita economico-sociale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e delle comunità dei popoli, alla luce della visione antropologica cristiana e dalle missione della Chiesa” (Compendio … cit., n. 96). Il tema economico-sociale è approfondito dal Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio (1967), mentre l’enciclica Octogesima adveniens (1971) riprende a ottant’anni di distanza le linee della Rerum Novarum.
Nel Magistero di Giovanni Paolo II sono numerosissimi gli interventi di carattere sociale e socio-culturale. Fra tutti si ricordano le tre encicliche sociali: la Laborem exercens (1981), sulla spiritualità e l’etica del lavoro, la Sollicitudo rei socialis (1988), sul tema dello sviluppo, e la Centesimus annus (1991), che ripropone tutto l’insegnamento sociale della Chiesa, mettendo “in evidenza come l’insegnamento sociale della Chiesa corra lungo l’asse della reciprocità tra Dio e l’uomo: riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio è la condizione di un autentico sviluppo umano” (ibid. , n. 103).
Questo punto si pone come fondamentale elemento di raccordo fra la dottrina sociale della Chiesa e la riflessione bioetica che si è venuta a sviluppare dagli anni Settanta, a causa dei grandi progressi determinati dallo sviluppo tecnologico nelle scienze della vita e della salute. A fronte di tali progressi, infatti, si collocano “il recepimento, talora oggettivamente secolarizzante, delle acquisizioni scientifiche e le dimensioni sociologiche delle mutazioni tecnologiche, soprattutto di quelle relative agli strumenti di comunicazione sociale. Così si spiegano — fra l’altro — le prese di posizione del Magistero della Chiesa, autentici presidi, sulle nuove frontiere della bioetica e dell’ecologia” (G. Cantoni, La dottrina…cit.).
La bioetica condivide appunto con la dottrina sociale della Chiesa il carattere morale e sociale-comunitario: “La natura di morale sociale della dottrina sociale della Chiesa ne fa alimento indispensabile per la formazione della coscienza sociale, in quanto tale dottrina contiene i princìpi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione per la coscienza del singolo fedele” (ibidem ).
Tre sono in particolare le aree di specifico interesse bioetico sviluppate dal Compendio , ciascuna delle quali richiederebbe un’approfondita considerazione in separata sede: la persona umana (cap. terzo), l’ambiente (cap. decimo), la famiglia (cap. quinto; cfr., La famiglia è “al centro della vita sociale”, secondo il magistero della Chiesa , ZENIT, 28 ottobre 2004 ).
Per i limiti della presente trattazione mi limiterò alla riflessione sul concetto di persona (Compendio …cit., nn. 105-159), che viene introdotta come elemento fondante della dottrina sociale stessa: “Tutta la dottrina sociale si svolge, infatti, a partire dal principio che afferma l’intangibile dignità della persona umana. Mediante le molteplici espressioni di questa consapevolezza, la Chiesa ha inteso innanzitutto tutelare la dignità umana di fronte ad ogni tentativo di riproporne immagini riduttive e distorte” (n. 107).
L’imprescindibile realtà personale dell’uomo, di ogni uomo, si esplica nella sua dimensione relazionale e sociale, i cui segni più significativi sono la differenza sessuale e la “vocazione alla vita”. L’essere umano è cioè capace di donare se stesso, come eminentemente avviene nell’unione sessuale, realizzando quella “comunione personale” che fonda l’ordinata convivenza civile; a lui, inoltre, è affidata la vita dell’altro uomo come bene da proteggere e servire. È cioè responsabile di quanto accade agli altri uomini e a tutte le creature (cfr. nn. 113 e 149-151).
Il Compendio si sofferma sulle altre ineludibili caratteristiche proprie della persona umana: l’unità di anima e di corpo, l’apertura alla trascendenza, la singolarità (cioè la sua unicità e irripetibilità), la fondamentale dignità di tutte le persone (nn. 127-134 e 144-148). Proprio la separazione di queste caratteristiche o la sottolineatura ipertrofica di una di esse a scapito delle altre ha prodotto e continua a produrre quelle concezioni aberranti e riduttive della persona con le quali la bioetica si scontra quotidianamente, e che nascono tutte in ultima analisi dalla rottura del vincolo che la libertà umana ha con la verità e con la legge naturale (cfr. nn. 138-143).
Dal nesso con la giusta concezione di dignità umana discende l’adeguatezza della teoria dei diritti umani (nn. 152-159): “la radice dei diritti dell’uomo, infatti, è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano. [..] La fonte ultima dei diritti umani non si situa nella mera volontà degli esseri umani, nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell’uomo stesso e in Dio suo Creatore” (n. 153) ), che garantisce l’universalità, l’inviolabilità e l’inalienalibilità di tali diritti.
Fra i diritti umani enunciati dal Compendio emergono quelli già indicati nella Centesimus annus, 47: “Il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale favorevole allo sviluppo della propria personalità; […] il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere ed educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità” (n. 155). Il diritto alla vita, in particolare, rappresenta il primo diritto, in quanto condiziona l’esercizio di tutti gli altri, e va inteso “dal concepimento fino al suo esito naturale” (ibidem ), il che implica evidentemente “l’illiceità di ogni forma di aborto procurato e di eutanasia” (ibidem).
Un approccio davvero onesto e fondato alle problematiche bioetiche, dunque, richiede innanzitutto un’appropriata definizione e spiegazione del concetto di persona, quale punto di partenza irrinunciabile per ogni riflessione e discussione in questo campo, anche in vista di un’azione socialmente organizzata, pedagogicamente accorta e forse giuridicamente rilevante in difesa della vita umana.
Agenzia di notizie www.zenit.org – 31 ottobre 2004