Chi appoggia in Italia la pillola che uccide?…

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Trasparenza e vigilanza

Desideriamo sapere chi protegge la pillola Ru486

Questa volta è vero: la Exelgyn, l’azienda che produce la pillola abortiva Ru486, ne ha chiesto la registrazione all’Aifa, l’ente italiano di controllo dei farmaci. Non avendo fiducia nella sicurezza del proprio prodotto, la Exelgyn ha cercato, come sempre, l’appoggio dei politici, e alcuni hanno risposto


Questa volta è vero: la Exelgyn, l’azienda che produce la pillola abortiva Ru486, ne ha chiesto la registrazione all’Aifa, l’ente italiano di controllo dei farmaci. Negli ultimi due anni lo stesso annuncio è stato fatto almeno una decina di volte; poi, regolarmente, il grande evento non si verificava.
La Exelgyn diffida dei Paesi in cui esiste un’opinione pubblica vigile, capace di intentare cause legali o di aprire il dibattito su questioni imbarazzanti. È per questo che la ditta francese non ha mai voluto commercializzare la Ru486 in America, nonostante il presidente Clinton l’abbia pregata insistentemente di farlo. Queste pressioni sono ormai pubbliche, grazie all’apertura degli Archivi Clinton, e altrettanto pubbliche sono le lettere di risposta inviate al presidente americano dalla Exelgyn, in cui si afferma chiaramente che l’azienda sarebbe entrata nel mercato Usa solo se l’amministrazione Clinton le avesse garantito una sorta di immunità giudiziaria. Alla fine, piuttosto che cedere, la ditta ha preferito regalare il brevetto a un’organizzazione antinatalista americana, sottraendosi così a ogni responsabilità legale.
La Exelgyn aveva visto giusto: è negli Stati Uniti che lo scandalo delle donne morte –15, a tutt’oggi – e degli eventi avversi provocati dal farmaco è finalmente approdato sui mass media, con un giornale ‘liberal’ come il New York Times a fare da battistrada.
Tutt’altra storia in Europa, dove le morti non hanno mai avuto l’onore di un titolo di cronaca, nemmeno quando la vittima era figlia del presidente del Comitato nazionale di bioetica francese. L’Italia, però, è un Paese anomalo. Ci sono i cattolici, c’è una parte di laici che si rifiuta di aderire alle banalizzazioni del dogmatismo scientista, c’è stata una vittoria significativa al referendum sulla legge 40. Così la Exelgyn ha preso tempo. Non avendo fiducia nella sicurezza del proprio prodotto, ha cercato, come sempre, l’appoggio dei politici, e alcuni hanno risposto.
Inizia quindi la campagna a favore della pillola, che prosegue nonostante il fallimento della sperimentazione aperta nel settembre 2005 all’ospedale torinese Sant’Anna. Qualche assessore regionale alla Sanità, come Enrico Rossi in Toscana, decide di promuovere l’importazione diretta del farmaco. Ma l’azienda esita ancora, vuole impegni più circostanziati, o forse a livello più alto. Le garanzie evidentemente arrivano, se la Exelgyn dichiara oggi ad ‘Avvenire‘ che la richiesta di registrare il farmaco proviene da «autorità italiane».
Quando e da chi arriva la richiesta, e perché la politica è così interessata a un metodo abortivo? Quando, non lo sappiamo. Sappiamo però che l’azienda ha mutato atteggiamento dopo il convegno romano della Fiapac, la Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, tenuto un anno fa e sponsorizzato proprio dalla Exelgyn. In quell’occasione il ministro Emma Bonino e Maura Cossutta, consulente del ministro della Salute, portarono ai convegnisti il proprio benvenuto. Il perché, invece, lo sappiamo benissimo: la Ru486, sinonimo di aborto a domicilio, serve a scardinare l’attuale legge sull’aborto senza passare dal Parlamento, dove non c’è una maggioranza per modificarla.
Il ministro Livia Turco ha garantito che, nel caso la pillola fosse autorizzata dall’Aifa, si adopererà «affinché l’impiego del farmaco avvenga nel totale rispetto delle esigenze di tutela della salute della donna, garantite dalla legge 194». Noi le crediamo, ma che «autorità italiane» abbiano sollecitato la Exelgyn desta serissime preoccupazioni. Introdurre la pillola abortiva è una scelta etica e politica grave. E noi non staremo a guardare.

di Eugenia Roccella

Avvenire 8 novembre 2007