Cari Signori, giù le mani dal segreto della Confessione !

Corte di Cassazione


Il prete deve svelare i peccati


Quel che vale per il diritto canonico e in ambito ecclesiastico, cessa di aver valore dinanzi a un magistrato italiano…

La questione tecnicamente è complicata. C’entra la Sacra Rota.  Vi risparmiamo gli svolazzi degli azzeccagarbugli. Sintetizziamo noi, sicuri che saremo tacciati di grossolanità.
La sostanza però è questa:
il prete, dinanzi al giudice, non è più tenuto al “segreto professionale”.

Quel che vale per il diritto canonico e in ambito ecclesiastico, cessa di aver valore dinanzi a un magistrato italiano.
Gli ermellini si limitano per altro a sancire che il sacerdote “può” parlare. Figuriamoci. Conoscendo l’andazzo, è chiaro come sarà interpretata ed estesa la faccenda. Se un prete può parlare, vuol dire che, in certi casi, deve.

Abbiamo in mente un caso preciso. A Palermo, padre Frittitta, un carmelitano scalzo, si recava da un mafioso per dargli i conforti religiosi e confessarlo. Fu arrestato. Ed allora la norma del segreto connesso al ministero non era ancora stata mai messa in dubbio.
Chissà da domani che accadrà, dopo che è stata aperta una falla nella giurisdizione.

Siamo certi che qualsiasi sia la legge, un ministro di Dio non svelerà mai ciò che gli è consegnato in segreto. Qualunque sia lo Stato: islamico o democratico.
I preti non parlano: in quel momento – secondo la dottrina cattolica – essi non sono don Piero o padre Gino, ma semplicemente ministri “in persona Christi“.

Dunque, potremmo replicare alla Suprema corte, con un bell’amen, e via.
Ci domandiamo questo però. Possibile che, con tutto quanto accade nel mondo, si prendano decisioni giuridiche che hanno peso materiale nullo, ma simbolicamente umiliano quel che resta della tradizione cristiana?
Dobbiamo proprio rinunciare a qualsiasi traccia della nostra identità cattolica?

Libero, 15 maggio 2004