I vescovi giuliani, dalmati e croati denunciarono più volte gli orrori commessi dai titini. E anche papa Pacelli intervenne.
La denuncia dei cattolici inglesi e USA contro i silenzi della “Cortina di Ferro”.
Come presidente della più antica associazione di esuli giuliano-dalmati e promotore della Legge n. 92/2004 sul Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’esodo di 350.000 italiani (in gran parte autoctoni) dalle province del confine orientale, sento il dovere di intervenire nella polemica aperta dal periodico «Panorama» sull’atteggiamento di Pio XII nei confronti di questa tragedia che direttamente ci riguarda e mi riguarda, poi ripresa dal «Corriere della sera» e dallo stesso «Avvenire».Da quanto è a comune conoscenza di noi esuli, per esperienza diretta e per le ricerche compiute sulla base della documentazione in nostro possesso, la Chiesa cattolica fu molto vicina al nostro dramma sia nell’immediatezza delle stragi ad opera delle formazioni comuniste di Tito (dal settembre 1943 alla primavera 1945) sia nelle operazioni di accoglienza dei profughi nel territorio italiano liberato.I nostri vescovi, e precisamente monsignor Doimo Munzani, arcivescovo di Zara, e mio concittadino, monsignor Raffaele Radossi, vescovo di Pola e Parenzo, monsignor Ugo Camozzo, vescovo di Fiume, e monsignor Antonio Santin, vescovo di Trieste e Capodistria, si adoperarono a rischio della vita sia nei confronti delle autorità tedesche di occupazione tra il 1943 e il ’45, sia nei confronti delle truppe partigiane jugoslave che avevano invaso le nostre province a partire dal 30 aprile 1945 disarmando la Resistenza italiana e sciogliendo il Cln.È certo da testimonianze documentate che i vescovi fecero pervenire al Vaticano, attraverso i suoi canali riservati, le notizie degli eventi, chiedendo l’intervento della Santa Sede. Questo intervento si esercitò in due direzioni: l’aiuto nella ricerca degli scomparsi nel gulag jugoslavo e le proteste diplomatiche presso i comandi militari e i governi alleati occidentali, i cui servizi segreti erano perfettamente a conoscenza di quanto stava accadendo. Le forme adottate per questa azione di denuncia ci possono essere rivelate solo dagli archivi vatic ani, inglesi e americani, da poco messi a disposizione degli studiosi.È altrettanto vero che a sollevare il velo su questi tragici fatti, oltre alla stampa italiana, informata dai profughi stessi, furono negli Stati Uniti e in Gran Bretagna proprio gli ambienti della Chiesa cattolica, impressionati dall’alto numero dei sacerdoti italiani tra le vittime, costringendo così i rispettivi governi alle prime prese di posizione contro i crimini di Tito a danno degli italiani della Venezia Giulia.Del silenzio che, nonostante tutto ciò, cadde su di noi non mi sembrano responsabili i pastori della Chiesa cattolica. Una «cortina di ferro» si era abbattuta su tutta l’Europa centro-orientale. E le nostre province purtroppo coinvolte in questa nuova ondata di barbarie che seguiva a quella nazista. Le scelte politiche dei Grandi erano state adottate a Teheran e a Yalta. E Stalin le interpretò come meglio credeva facendosele ratificare nell’incontro di Postdam. E altrettanto fece Tito violando ogni precedente impegno. Nessuno glielo ha fatto pagare. Anzi fu onorato da presidenti e sovrani e al suo funerale…Una memoria personale mi sembra illuminante. Nella primavera del 1943 una delegazione di giovani dell’arcidiocesi di Zara si recò in visita ad limina. Alla notizia che venivano da Zara il Papa accarezzò una ragazza, Maria Perissi, che poi diventerà speaker della Rai, posando la mano sul velo che le copriva il capo ed esclamando: «Povera piccola! Che Dio vi benedica!». La tempesta non si era ancora abbattuta sulla città, ma il Papa forse «sentiva» e «sapeva». Dopo pochi mesi infatti cominciarono i 54 bombardamenti e la città fu rasa al suolo dai bombardamenti alleati.E anche allora il Papa fece giungere ai cittadini di Zara, nel febbraio del 1944, il suo messaggio di conforto e di solidarietà attraverso don Giuseppe Della Valentina, che l’arcivescovo aveva mandato in missione a Roma per esporre al Pontefice la situazione della città, sotto occupazione tedesca, ingombra di macerie, devastata dagli incendi e minacciata dai partigiani jugoslavi.La cosa più grave e più incredibile è che la comunità croata di oggi tende a nascondere ai cittadini dell’Istria e della Dalmazia queste verità storiche, adagiandosi sulla propaganda nazionalista dell’ex regime comunista. Migliaia di morti dei bombardamenti e delle foibe giacciono in fosse comuni negli angoli dei cimiteri senza una lapide che dica chi sono e soprattutto chi erano: gli abitanti italiani di Zara, di Fiume, di Pola.
Lucio Toth,
Avvenire 22 luglio 2006