Brunetta: ci si ricorda dei talassemici solo adesso, in chiave anti-legge 40

Scrive Angelo Loris Brunetta (Associazione Ligure Talassemici)


Al direttore – Spero di essere stato in qualche modo utile, anche grazie all’attenzione che lei e il suo giornale mi hanno dedicato (Il Foglio, 23/10/04), alla maggior comprensione di alcuni problemi che una categoria spesso dimenticata, quella dei malati, si trova ad affrontare con la quotidianità della propria malattia. Non ritengo di possedere requisiti tali da potermi confrontare sul piano politico con le tante voci che si sono pronunciate sul tema. Mi lasci però ribadire che troppo spesso la palese disinformazione, o meglio l’informazione di parte, hanno causato danni incalcolabili ai malati, spesso incapaci di far sentire il proprio disagio, proprio per quel tentativo di allontanare da noi tutto ciò che rappresenta la sofferenza.

Le scrivo mentre sto guardando “Primo Piano”, sui Raitre, dove sul tema della legge 40 sulla procreazione assistita si sono espressi tutti: mamme, testimonial, medici, ricercatori, ma nessun paziente affetto da qualsivoglia patologia, e la talassemia ritorna sempre come leit-motiv di questa aspra battaglia.Credo che il problema sia sempre lo stesso, quello della disinformazione o meglio di un’informazione parziale. L’esempio palese è quello di continuare a sostenere la ricerca sulle staminali embrionali, che sembrano più promettenti delle altre per curare patologie come l’Alzheimer o il morbo di Parkinson. Non vi è nulla di dimostrato scientificamente in queste affermazioni, anzi.


Come malato vorrei dire che è profondamente ingiusto creare false aspettative in persone che già vivono in sofferenza. E’ facile ottenere il consenso della gente dicendo che usando questo o quel sistema cureremo questa o quella malattia, ma è morale tutto questo?Informare, o meglio disinformare, in questo modo è un comportamento criminale nei confronti dei malati, che trovano la forza di tirare avanti nella speranza che qualcosa si faccia per loro, ma che difficilmente sono disposti a tollerare che ci si prenda gioco della loro condizione o che si cerchi di illuderli con false promesse.


Io sarei quello nel lavandino


E’ difficile trovare il coraggio di dire a un malato che sarebbe meglio che non fosse nato, perché questo è quello che si cerca di ottenere eliminando ogni limite alla legge sulla procreazione assistita. E questa è eugenetica, non esiste altro modo per dirlo e non è né falso né suggestivo. La diagnosi reimpianto è molto più inaccettabile della legge 194, quella sull’aborto, perché mentre la scelta di procedere all’interruzione di gravidanza è fatta dalla coppia, che si spera consapevole, (ricordiamo tuttavia che le disposizioni contenute nella legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza stabiliscono -all’articolo 5, comma 1 e 2- che per procedere all’aborto non è necessario il parere concorde del padre del concepito, le cui opinioni -qualora  ascoltate- hanno valore puramente consultivo, ndr) la selezione genetica in laboratorio viene fatta da una persona esterna alla coppia, che prenderà la decisione di tenere il buono e il bello, ovvio, buttando nel lavandino il brutto e lo sfigato, altrettanto ovvio.


Il risultato in evidenza è quello che nasce perché dell’altro preferiamo non parlare, io l’ho già detto e scritto, sarei quell’altro, quello nel lavandino, e non mi si può chiedere di accettarlo.


Qui prende corpo uno dei problemi più importanti nell’ambito della corretta informazione che dovrebbe essere data da medici competenti della malattia in questione che ne abbiano maturato un’esperienza di cura clinica. Oggi la talassemia, mi scusi l’insistenza ma questo è il mio terreno, è una patologia che ha una prognosi aperta, non più a termine come trent’anni fa. I pazienti, pur vivendo una realtà di malattia, quindi con necessità di cure, hanno una qualità di vita confrontabile con quella dei loro coetanei.Ben diversa purtroppo è la nozione di talassemia come malattia terribile che costringe a una vita da incubo. Chi potrebbe biasimare coloro i quali sceglierebbero di non volerne aver a che fare ?


Esiste una ricerca eticamente accettabile (se ne è fatto un breve cenno anche nella trasmissione su Raitre), peccato che non venga finanziata da denaro pubblico ma dalle campagne di raccolta fondi promosse dalla fondazione italiana sulla talassemia. Perché, se questa malattia è un “incubo”, non si trovano i soldi per questi progetti?


Tento una risposta: la talassemia sta vivendo oggi il suo quarto d’ora di popolarità. Una volta finita la campagna referendaria tornerà nell’angolo in cui è stata relegata per anni, allora la polemica si sarà spenta ma i malati resteranno, anche se, forse, non ne nasceranno più. Perché, allora, investire denaro per un problema risolto?


Ci sono settemila talassemici in Italia, di cui non possiamo dimenticarci, che hanno diritto a essere curati al meglio delle possibilità che la scienza offre. Ma quale struttura ospedaliera sarà disposta a consolidare i centri di cura per questa patologia se la tendenza è questa? Sa che una statistica dimostra che un talassemico curato al di fuori di un centro specializzato ha un’aspettativa di vita di 24 anni? Non mi interessa il dibattito referendum sì o no, modifiche alla legge o no. Osservo semplicemente che vincerà la linea della quasi totale indifferenza al significato della vita, contrariamente a ogni morale, e, al di là delle ideologie laiche o cattoliche che siano, contraria al buon senso.


Angelo Loris Brunetta – Associazione ligure talassemici


(C) IL FOGLIO – 2 novembre 2004 – Prima Pagina