Identità cristiana e Stato laico
del Card. Giacomo Biffi
Parole sempre attuali, che illuminano anche i nostri giorni confusi….
Non svolgerò il tema che mi è stato assegnato presentando una mia riflessione personale, ma rifacendomi a una serie di interventi del cardinal Giovanni Colombo, che per lucidità, vigore di pensiero, lungimiranza patiscono pochi confronti nell’ambito del magistero ecclesiale.
Sono stati svolti in occasione della festa di sant’Ambrogio, negli anni che vanno dal 1974 al 1978. I cinque discorsi non obbedivano a un progetto predefinito: ognuno di essi rispondevano a una necessità pastorale giudicata di volta in volta emergente: il risultato complessivo è però un disegno ideale, articolato ma al tempo stesso fortemente unitario, una risposta organica all’interrogativo (attuale oggi come allora) di quale debba essere la presenza e l’azione della Chiesa e dei cattolici dentro la società civile, nella concretezza storica della nostra epoca.
Mi limiterò a presentare questi interventi così come si sono succeduti, senza alcun commento da parte mia, lasciando agli ascoltatori di giudicare della loro oggettiva validità e della loro permanente incisività sulla problematica propria dei giorni che stiamo vivendo.
1 Il discorso del 1974 era una lucida diagnosi dei mali del momento, condotta sotto l’ispirazione non di una facile misericordia o di quell’ottimismo di maniera così frequente nei pronunciamenti ecclesiastici di questi ultimi decenni, ma della verità, che sola può sorreggere ogni pietà autentica e fattiva.
Decadenza morale, assenza di ideali, sentimenti di sfiducia spesso giustificati verso la classe politica e gli organi dello Stato, crisi della scuola e della famiglia, perdita della consapevolezza di avere dei doveri: ecco i principali elementi di questo quadro desolato.
Inoltre “alla crisi morale della nostra società si congiungono una certa stanchezza d’animo e una rassegnata passività, purtroppo molto diffuse tra la gente. Stanchezza nell’opporsi al sopruso e alla intimidazione fatta con “slogan’ minacciosi gridati nelle piazze o scritte sui muri; stanchezza nel reagire alla pressione psicologica esercitata da certa stampa con informazioni parziali e distorte che sviano e indeboliscono la capacità critica dei lettori e ne condizionano le scelte. Rassegnazione di fronte al male, la cui vittoria sembra ineluttabile, mentre per i cristiani che credono in Cristo risorto, il male non può essere invincibile e certamente l’ultima parola non sarà sua; rassegnazione anche di fronte ai segni premonitori di una possibile perdita di quel supremo bene morale e civile che è la libertà democratica”.
Nella comunità cristiana il male è rappresentato soprattutto da “una lunga e penosa contestazione ecclesiale”, originata da una distorta interpretazione del Concilio, che lo legge “in maniera unilaterale, ritenendo solo quelle parti che reputa nuove e progressiste, respingendo le altre, considerate concessioni tattiche alla minoranza conciliare”. Più che tutto, è una contestazione che non nasce da un amore sincero per la Chiesa.
Di fronte a questi mali, l’arcivescovo chiama a raccolta i cristiani: “Chiediamo a tutti di superare quello stato d’animo di smobilitazione che nasce o dalla sfiducia nella perenne forza creativa del Vangelo o dalla inesatta convinzione che tutto quanto è stato operato dai cristiani nel mondo, sia più o meno una supplenza a una società civile immatura”.
E propone un impegno che nasca dall’atto di fede e sia sorgente di un’azione anche comunitaria nella società: “Il cristiano non può presentarsi isolato, sorretto solo dalla sua personale religiosità, ma deve mirare alla convergenza con i suoi fratelli nella ricerca delle finalità cui tendere e dei mezzi più confacenti. Anche se ovviamente non è né giusto né opportuno che sia la Chiesa come tale a impegnarsi in tutti i settori della vita associata, è necessario che in tutti i settori i cristiani si riconoscano fra loro e ricerchino per quanto è possibile e conveniente, una azione concordata, nel rispetto della libera opinione altrui e dell’autonomia delle realtà temporali”.
Infine, “i cristiani, anche in campo politico, devono ricercare quali siano le ispirazioni dell’atto di fede. I credenti possono e devono presentarsi come tali anche in questo campo, e si comportino in modo che la loro azione sia sempre intonata ai princìpi ideali di cui fanno professione”.
2 Il discorso del 1975 affrontava esplicitamente la questione della presenza dei cattolici nella società civile, alla luce di due concetti fondamentali: la laicità dello Stato e la legittimità di una piena esperienza sociale cristiana.
a) La laicità dello Stato è affermata con una forza assolutamente eccezionale.
“Lo Stato moderno non può essere “confessionale’ in nessun senso: non in senso religioso, per esempio cristiano; non in senso materialistico e ateo, per esempio marxistico; e nemmeno in senso laicistico, se per laicismo intendiamo – come spesso è dato di riscontrare di fatto – una particolare concezione del mondo e dell’uomo d’ispirazione immanentistica e illuministica, che nega i valori trascendenti o li confina nel segreto della coscienza individuale”.
Pertanto, “non sarà lecito alle amministrazioni dello Stato e degli Enti locali operare discriminazioni di nessun genere: perciò essi non possono né privilegiare con favoritismi né privare nessuno dei propri diritti in forza del suo credo religioso, delle sue scelte politiche o delle sue opinioni filosofiche”.
b) L’esperienza sociale cristiana: “In alcuni campi l’esperienza cristiana sarà doverosa e non rinunciabile: pensiamo, per esempio, alle varie forme di educazione alla fede e di elaborazione di una cultura ispirata al Vangelo (scuole di ogni ordine e grado, biblioteche, stampa, oratori, associazioni cattoliche, ecc.) e alle varie forme pratiche della carità (aiuto alle famiglie mediante adeguati consultori, aiuto agli anziani, ai malati, ai poveri, ai minorati. Con troppa disinvoltura si è talvolta parlato a questo proposito di “forme di supplenza’, che oggi sarebbe opportuno, anzi necessario abbandonare.
Nessun settore e nessuna attività, dove sia in gioco qualche valore umano (come l’arte, la cultura, lo sport, il divertimento, ecc.) possono essere esclusi a priori dalle esperienze rinnovatrici della fede, benché non sia detto che tali esperienze debbano essere attuate tutte e sempre”.
Anche in questo intervento i cristiani così venivano energicamente ammoniti: “Nessuna rassegnazione passiva alla vittoria della prepotenza; nessun cedimento ad altre concezioni della vita e della società incomponibili con il cristianesimo; nessuna imprudenza nel giuoco ambiguo tra le collaborazioni in azioni concrete e i sostegni dati a ideologie che per esperienza finora mai contraddetta sappiamo che conducono a sistemi totalitari e oppressivi. Per i cristiani questo è tempo di vigile ardimento e di impegno concorde nell’intento di affermare la propria identità e di contribuire con un proprio specifico apporto allo sforzo comune per l’edificazione di un mondo migliore. Nel fare questo, i credenti dimostreranno non solo di saper difendere i diritti propri, ma di assumere coi diritti anche i corrispettivi doveri”.
3 La libertà è oggetto di appassionata attenzione nel 1976; e di un’attenzione non “teoretica”, ma concretamente connotata.
La libertà può sussistere se lo Stato è davvero “laico” e tiri di fatto tutte le conseguenze logiche da questa sua fondamentale caratteristica. “Noi chiediamo allo Stato che non faccia sua nessuna particolare ideologia, che non imponga i dogmi di nessuna cultura, che non si identifichi con nessun partito”. “Compito essenziale e irrinunciabile dello Stato è di assicurare ai singoli e ai gruppi la libertà di esistere nella identità culturale prescelta, di proporre agli altri le proprie convinzioni, di educare secondo i propri principi, di fare esperienze di vita associata in coerenza alla loro matrice ideale e alle loro tradizioni, sempre nell’ambito del bene comune e nel rispetto delle libertà altrui. Le leggi e i pronunciamenti della pubblica autorità devono esprimersi entro questa area, altrimenti diventerebbero prevaricazioni”.
La libertà è salvata non solo formalmente ma nella sua sostanza se si rispetta il “principio di sussidiarietà”, per il quale lo Stato “deve attuare le sue finalità stimolando, favorendo e orientando efficacemente i cittadini, non sostituendosi a essi e non eliminando la loro iniziativa, eccetto il caso in cui il bene comune, e specialmente il bene dei più deboli e indifesi, suggerisca particolari interventi pubblici, i quali sempre dovranno avere il riguardo dovuto alla persona e alla libertà”.
La libertà può esistere dove c’è il rispetto delle leggi: le leggi siano chiare e non ambigue; e non si lasci mano libera ai trasgressori “quale che sia la loro parte e il colore della loro bandiera”.
E qui vengono denunciati senza mezzi termini gli assalti alle istruzioni, cattoliche e non cattoliche, e tutte le violenze impunite. Si lamenta l’assenza di una vera libertà della scuola e dei consultori. Si svela all’opinione pubblica il pericolo che corrono gli spazi e le attrezzature delle comunità cristiane di essere assorbite dalla gestione pubblica: “Più di una clausola della variante generale del piano regolatore, attualmente in discussione, ci ha lasciati preoccupati per il pericolo in cui potrebbe incorrere il diritto di proprietà e la libertà d’uso e di autonoma gestione dei propri beni, sia nel presente che nel futuro, sia per le strutture già esistenti che per quelle che potrebbero venire sviluppate”.
Ed è noto che il Comune di Milano, dopo la ferma ed esplicita presa di posizione dell’arcivescovo abbandonò i suoi primitivi disegni. Infine, e non è la meno interessante delle riflessioni che qui vengono proposte, a difesa della libertà si raccomanda di saper preservare l’uso della ragione: “I primi e più sottili attentati alla libertà sono rivolti alla ragione: troppi interessati maestri mirano oggi a toglierci l’abitudine della riflessione o mediante la martellata e gratuita ripetizione di parole e di frasi o per mezzo della deformazione dei fatti e della manipolazione delle notizie”.
4 Il 1977 porta alla piena consapevolezza una convinzione che già era stata ripetutamente affermata: la posta in gioco nei conflitti sociali, politici, culturali della nostra epoca è l’uomo. “Quando l’uomo è “padrone’ e “despota’ dell’uomo, si profilano due sbocchi fatali: o si approda a sistemi in cui la persona umana è sfruttata quale strumento di produzione e di consumo in una collettività – socialista o capitalista non importa – dove il primato è conferito all’economia; oppure si arriva alla celebrazione esasperata di una libertà individualistica senza scopo e senza norma, socialmente sterile e personalmente alienante”. “Una feroce logica dissacratoria e aggressiva della vita si dilata a macchia d’olio nella società… Ma uno Stato che consente di sopprimere la vita indifesa e innocente racchiusa nel seno materno, non potrà illudersi di ricuperare la forza morale per difenderla quando, adulta, cammina per le vie o si trova nelle banche e nei negozi oppure tramonta ottenebrata nell’infermo inguaribile”.
Solo dalla concezione dell’uomo “immagine di Dio” discende la possibilità di difendere i nostri giusti diritti e di accertare i nostri giusti doveri.
Questa concezione dell’uomo si compone – anzi è la sola che davvero sia in armonia – con uno Stato laico, democratico, sociale:
a) laico, cioè uno Stato che nelle sue scelte fondamentali si ispira ai valori emergenti dalla natura dell’uomo, senza privilegiare nessuna ideologia e nessuna fede religiosa;
b) democratico, cioè uno Stato che determina la propria legislazione e la propria linea di governo secondo la volontà popolare, espressa da libere elezioni indette a ragionevoli intervalli, e offre al governo della nazione la reale possibilità di alternanze di maggioranza e di opposizione;
c) sociale, cioè uno Stato che non si limita a garantire i diritti in termini formali, ma si impegna a creare condizioni concrete per cui, chiunque lo voglia, possa esercitare i suoi diritti e partecipare in modo responsabile e solidale al progresso della società.
“È doveroso che tale Stato esista. È doveroso che esca da tutte le assenze e le latitanze”.
A conclusione si nota che nella difesa dell’uomo la Chiesa, che possiede la conoscenza del Signore Gesù nel quale tutta la ricchezza ideale dell’umanità si raccoglie, può incontrarsi con le aspirazioni fondamentali di tutti. “La Chiesa è impegnata ogni giorno a vivere il mistero di Cristo nella sua totalità e ad annunciarlo al mondo. Lo propone a tutti, non lo impone a nessuno. I discepoli del Signore tuttavia sanno che i non credenti non possono percepirne le radici profonde. Ma Cristo è anche uomo, e in lui risplende la verità dell’uomo, risplendono i valori, i doveri e i diritti umani, comprensibili a ogni ragione”.
5 Il discorso del 1978 ripropone le stesse convinzioni alla luce del concetto di cultura.
Anche qui le idee fondamentali sono due:
a) La piena apertura ai valori veri di tutte le culture, nella consapevolezza che, se sono veri, sono anche cristiani: “Dovunque questi valori si trovino, vanno riconosciuti, onorati e riportati alla loro origine: quando sono autentici, sono in se stessi riverberi dell’eterna verità, dell’eterna giustizia, dell’eterna bellezza, che in Cristo ha assunto volto e cuore di uomo, così da poter essere personalmente contemplata e amata”.
b) La forte affermazione della identità culturale cristiana: “Quando con la parola “cultura’ si indica una concezione della realtà che sia criterio e misura delle cose e degli eventi e si arroghi il compito di guida dell’uomo, allora il nostro dovere di credenti diventa quello di affermare senza equivoci la identità culturale cristiana. Le altre culture infatti – come la cultura liberal-borghese, la cultura marxista, la cultura radicale – in quanto pretendono di essere una interpretazione esauriente e totalitaria della storia umana e dell’intera realtà – si pongono in alternativa alla cultura cristiana e sono con essa incompatibili. A queste culture il credente non si apre. Anzi le contesta senza ambiguità, ne proclama l’aridità e la natura illusoria e dannosa”.
“Nel proporre, difendere, estendere la cultura cristiana, egli sarà mosso dalla convinzione che solo in essa i veri valori si salvano. Solo dalla certezza dell’unica paternità di Dio, si può far dedurre agli uomini l’impegno a vivere da fratelli e non da belve che si sbranano reciprocamente. Solo con la persuasione che l’uomo è modellato su Cristo, si possono scoraggiare manipolazioni (come la sterilizzazione, l’aborto, l’eutanasia) che stanno avvilendo la dignità umana, esposta senza difesa allo scatenarsi di feroci egoismi. Solo nell’attesa di un giudizio trascendente che valuterà tutte le nostre azioni e le nostre segrete intenzioni, si può sperare che l’uomo faccia sforzi sinceri per vivere e operare secondo giustizia. Solo nella visione della realtà ispirata al Vangelo c’è possibilità di salvare l’uomo”.
C’è al termine anche una parola schietta per gli uomini di cultura, “i nostri fratelli più inquieti e in fondo più bisognosi”.
“Sovente nelle vicissitudini della storia, piegandosi al vincitore del momento,… essi hanno dimostrato che una cultura sradicata da Cristo non si regge nella tempesta e contro l’arroganza del potere non riesce a mantenersi inflessibile nella rettitudine. Proprio per questo, più forte dobbiamo sentire il dovere di offrire loro nel clima di una disinteressata e sincera amicizia la parola e la grazia del Vangelo di Cristo”.
Una parola di conclusione
E’ straordinario che né il mondo cosi detto laico né il mondo così detto cattolico (quello, per esempio, delle riviste più diffuse e di quelle più acculturate), abbia mostrato di accorgersi adeguatamente della rilevanza di questo insegnamento, preferendo l’ascolto di altre voci ritenute più aperte, (cioè, nella sostanza, meno critiche nei confronti della mentalità mondana imperante), ma certamente meno profonde e meno consonanti con l’autenticità del Vangelo.
C’è da augurarsi che l’anno prossimo, nel centenario della sua nascita, la cristianità e l’opinione pubblica ecclesiale riscopra l’importanza di questo magistero e l’eccezionale figura di vescovo del cardinal Giovanni Colombo, se non altro rendendosi conto che dalla sua scuola di formazione sacerdotale la Chiesa italiana ha ricevuto una larga schiera di pastori di non poco rilievo.
Intervento del Card. G. Biffi in occasione delle “Celebrazioni dell’Osservanza”
Sabato 12 maggio 2001 – ore 17,00 – Convento dell’Osservanza, Bologna