Architettura sacra odierna e ideologie teologiche

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Che Dio perdoni gli architetti

di ANDREA TORNIELLI

Chiese che assomigliano a enormi garage, chiese opprimenti appesantite da tetti di piombo, chiese che sembrano dei bunker o che s’incorporano a tal punto alle case circostanti da non essere neanche più visibili. L’architettura sacra nei decenni del post concilio ha fatto sorgere nelle nostre città una serie di edifici non solo decisamente brutti, ma soprattutto assolutamente inadeguati a esprimere il senso del sacro, come dimostrano alcune immagini di nuovi edifici di culto cattolici pubblicati in questa pagina. 
Al Sinodo dei vescovi che si sta svolgendo in Vaticano ed è dedicato all’Eucaristia, a questo argomento ha accennato nel suo intervento il vescovo Rino Fisichella, ausiliare di Roma e rettore della Pontificia università lateranense, l’ateneo del Papa. Fisichella ha insistito sulla necessità di una «educazione alla bellezza, che si articola in diversi piani: da una parte il celebrante, perché comprenda il valore dell’azione liturgica, dei segni che la compongono e il linguaggio evocativo che posseggono;  da parte di quanti hanno la cura della costruzione delle chiese – ha aggiunto il vescovo – perché non cedano a ideologie che tendono a oscurare la loro presenza nel territorio o a creare uno spazio ibrido che vanifica la percezione del sacro». «È determinante – ha concluso Fisichella – recuperare un linguaggio che per la sua stessa natura faccia comprendere il valore del luogo dove si celebra l’eucaristia e il suo senso profondo».
Certo le «ideologie» di cui parla il vescovo possono talvolta coincidere con certe mode dell’architettura, del tutto estranee alla tradizione liturgica cristiana. Le parole di monsignor Fisichella aprono finalmente il dibattito su un tema considerato «tabù»: da una parte ci sono i fedeli che subiscono le architetture più strampalate, i quali, se protestano vengono subito tacciati come «ignoranti» o «retrogradi»; dall’altra parte, le Curie diocesane o i responsabili dei grandi santuari che sembrano fare a gara per rincorrere l’architetto più famoso senza poi avere il coraggio di imporre alcune scelte di fondo. 
«Entrando in alcune delle chiese moderne – ironizza lo scrittore Vittorio Messori – viene davvero una gran voglia di pregare, ma di pregare che Dio perdoni l’architetto. Purtroppo dietro all’architettura c’è una teologia: quella della demitizzazione dell’Eucaristia. La chiesa deve essere soltanto un luogo di riunione, un salone dove ci si ritrova ad ascoltare il predicatore. Non si accentua più il sacrificio eucaristico, ma la dimensione del pasto comune».
«La posizione cattolica – spiega Messori – ha sempre tenuto insieme i due aspetti:  la chiesa è sì luogo di riunione e di predicazione, ma anche lo scrigno che custodisce l’Ostia Consacrata. Se si banalizza il contenuto, è naturale che si arrivi anche a banalizzare il contenitore. Ad esempio, dietro certe chiese che assomigliano ad anonimi capannoni, c’è la teologia del cristianesimo “anonimo” di Rahner».
Lo scrittore non risparmia critiche agli ecclesiastici: «Credo che i preti debbano essere gli ultimi a parlare perché sono stati loro a sostenere questa teologia e a ritenere che quanto più un architetto è ateo, o musulmano o ebreo, tanto più è titolato a costruire chiese. Vorrei ricordare che proprio a Roma si è voluto che l’architetto autore della chiesa giubilare di Tor Tre Teste non fosse cristiano». «Si costruiscono chiese che assomigliano a depositi industriali – conclude Messori – ma ci si dimentica che quando Stalin decise di costruire la metropolitana di Mosca, volle che fosse la più sfarzosa del mondo perché, disse, anche il popolo ha diritto alle colonne! Così il dittatore comunista, con il suo culto ateistico,  aveva intuito ciò che ha sempre spinto la Chiesa a costruire degli edifici belli e anche sfarzosi. Non soltanto perché sono il contenitore dell’Eucaristia, ma anche perché la maggior parte delle persone vive in architetture squallide e almeno nel giorno di festa, andando in chiesa, ritrova la bellezza e il colore dell’arte, le colonne, gli ori e gli stucchi».

Il Giornale n. 236 del 05-10-2005