Africa: minaccia di nuovi scontri etnici

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Prove di genocidio tra Ciad e Sudan


In Africa c’è un conflitto tra dittature che può sfociare in una crisi enorme…



 

Nei giorni scorsi formazioni di ribelli provenienti e appoggiati dal Sudan hanno cercato di impadronirsi della capitale del Ciad, Ndjamena, ma sono stati respinti grazie all’aiuto determinante dei militari francesi. L’obiettivo dei miliziani era quello di impedire la celebrazione, il 3 maggio prossimo, delle elezioni del Ciad, boicottate dalle opposizioni, che sanciranno l’ennesima conferma del presidente Idriss Derby. Quest’ultimo ha deciso di riarmare le sue milizie, denunciando un piano sudanese per destituirlo. Mentre il Sudan sostiene che il vicino Ciad appoggi le popolazioni del Darfur sudanese, aggredite da tre anni dalla guerriglia islamica di Khartoum.
Né la mediazione libica né l’intervento francese e men che meno le truppe di interposizione inviate sul confine dall’Unione africana sembrano in grado di fermare l’escalation, che potrebbe dar luogo a un conflitto incontrollabile. L’affermazione del presidente, secondo il quale “il Ciad è un ponte, se il ponte cede, si può dire addio a tutta la regione. Potrebbe essere una situazione ancora più grave del conflitto dei Grandi laghi”, purtroppo è realistica. In queste zone, dove è endemico il conflitto etnico e religioso, due regimi deboli e autoritari puntano a salvarsi combattendo un “nemico” esterno. La scintilla di uno scontro militare può accendere il falò delle tensioni etniche, col rischio concreto di genocidi come quelli che hanno insanguinato il Ruanda. Non è un caso che nella benedizione pasquale Benedetto XVI abbia citato, tra le aree che destano preoccupazione, per prima quella africana. La comunità internazionale ha già mostrato tutta la sua impotenza durante i conflitti dei Grandi laghi e ora sembra avviata sulla stessa strada per quel che riguarda il Darfur sudanese e il Ciad. L’estensione di questi conflitti, considerati minori perché non intaccano aree strategiche, rappresenta invece un pericolo gravissimo e non soltanto sul piano umanitario.


Il Foglio (22/04/2006)