Adulte 58, embrionali 0: tra staminali non c’è partita

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Se le pesiamo sulla bilancia dei fatti e non su quella della propaganda, le staminali embrionali rivelano un’imbarazzante inferiorità rispetto a quelle adulte. Nei laboratori di tutto il mondo, infatti, dalle staminali adulte sono stati ottenuti benefici – di gradi diversi – per 58 tipi di malattie. E le cellule tratte da embrione, quelle che – prevalessero i «sì» ai referendum – ci farebbero guarire da infermità di ogni tipo, stando ai suggestivi ma ingannevoli slogan della campagna pro-referendum? Allo stato attuale, la loro utilità clinica è pari a zero. Allora, perché insistere? Per lo stesso motivo che ha originato il caso mediatico dei giorni scorsi.

Riepiloghiamolo insieme. La notizia è rimbalzata giovedì nelle redazioni dei giornali: «Clonate cellule staminali su misura da embrioni umani», «scorta genetica per curare le malattie», «la scienza più veloce del referendum», titolavano molti quotidiani. Oggetto del pressoché corale entusiasmo, l’annuncio di un esperimento portato a termine da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pittsburgh, negli Stati Uniti e da quella sudcoreana di Seul seguiti a ruota dall’ateneo di Newcastle, in Inghilterra: la creazione di 11 linee di cellule staminali embrionali ottenute tramite clonazione umana. In pratica: il materiale genetico (Dna) di cellule della pelle di 11 pazienti malati è stato inserito in altrettanti ovuli privati del loro nucleo originario. Questi ovuli così “fecondati” sono diventati veri e propri embrioni (capaci di evolversi in feti, se trasferiti nell’utero), con lo stesso patrimonio genetico dei donatori del Dna. Cloni umani, insomma, da cui, una volta raggiunto lo stadio di maturazione detto di “blastocisti” (cioè dopo 4-5 giorni) sono state estratte cellule staminali. Queste, nelle speranze degli scienziati, potrebbero un giorno essere trapiantate negli stessi pazienti donatori, per rimpiazzare cellule di tessuti malati.

Lasciando da parte le considerazioni etiche sulla clonazione umana – nell’esperimento sono stati sacrificati più di centro embrioni – resta un punto dolentissimo, vista la necessità di dare un’informazione corretta ai cittadini che devono decidere cosa fare il 12 giugno: il messaggio passato dai media, secondo il quale le terapie con staminali embrionali sarebbero dietro l’angolo. Solo questione di tempo e di un po’ di tentativi. Oltre che essere falso, il concetto permette di aggirare la domanda più pertinente e concreta cui va data risposta: è ragionevole investire su un tipo di ricerca (quella sulle embrionali) che a fronte di complicazioni etiche gravissime rappresenta ancora una totale incognita per la medicina? O non è forse più ragionevole – dati risorse e fondi per forza di cose limitati – privilegiare la ricerca con le staminali adulte, da cui finora provengono tutti i risultati che hanno acceso tante speranze?

Per aiutare a capire pubblichiamo un documento divulgato da un’importante associazione di bioetica americana con sede a Washington, Do no harm. The Coalition of Americans for Research Ethics, in cui sono affiancate, appunto, le malattie per le quali sono stati ottenuti fino a oggi risultati terapeutici, più o meno rilevanti, attraverso le cellule staminali: adulte per il primo elenco, embrionali per il secondo. La fonte del documento è il testo Monitoring Stem Cell Research, elaborato dall’autorevole Comitato di bioetica del presidente Bush e pubblicato nel gennaio 2004. «Abbiamo monitorato – scrive nell’introduzione Leon Kass, presidente del Comitato – i recenti sviluppi della ricerca con le cellule staminali adulte ed embrionali, ricerca sia applicata sia di base. Obiettivo del nostro rapporto è aiutare i lettori (in particolare i non specialisti) ad apprezzare le ragioni dell’entusiasmo sulle cellule staminali e a prendere coscienza della difficile strada che dev’essere ancora percorsa». Difficile, sì: ma diventa tutta in salita se si rovesciano i dati della realtà.


(C) Avvenire, 31-5-2005