Il prete si scopre giornalista d’assalto
Sciortino dirige la sua corazzata cattolica contro tutte le flotte possibili e immaginabili, con siluri, armi proprie e improprie. Perché fa così? Ci sono molte spiegazioni che si susseguono. Ne fornisco due…
di Renato Farina
La cosa più bella che dicono di lui i confratelli preti è questa: vuol piacere alla sua vecchia maestra. Il massimo per lui è stato sentirsi lodare davanti a tutti dall’insegnante delle elementari. Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia cristiana, viene da Delia, provincia di Agrigento, dov’è nato nel 1954. Dopo che prese possesso del favoloso regno dei Paolini, in Via Giotto a Milano, fece venire un’antica signora con il cappellino. Volle che tutti i redattori presenziassero all’avvenimento, non si sa se in fila per due, ma di certo sull’attenti. Il “picciriddu” ne aveva fatta di strada, e la maestra doveva godersi una parte di merito.
La storiella viene fatta circolare maliziosamente, per sottolineare il provincialismo e il complesso di inferiorità di cui sarebbe vittima il sacerdote, ciò che lo renderebbe introverso e vendicativo. Della seconda ne ho avuta personalmente prova, ma non tedio i lettori con le beghe personali che pendono in Tribunale. Però questa visita della maestra, probabilmente a sue spese, me lo rende simpatico. Più umano in un mondo clericale di marziani, dove i paolini, con le loro cravatte in tinta e le camicie azzurrine, sembrano tecnici di Star Trek. Oggi don Sciortino, dopo nove anni di direzione se non incolore come minimo rosina o giallina, ha dato smalto alla rivista. Basta moine da abatino settecentesco o ideologismi da teologo della Sinistra rivoluzionaria castrista. Adesso qui si bombarda a tappeto.
La corazzata
E dire che don Antonio Sciortino un giorno si trovò a dover rispondere a un lettore il quale sosteneva che il pugilato è immorale: picchiare è da bestie, non è uno sport umano. Il direttore di Famiglia cristiana, forte della laurea in teologia morale conseguita alla Gregoriana, la più prestigiosa tra le università pontificie (la guidano i gesuiti), gli diede ragione. Non si fa. La boxe non va praticata, soprattutto a livello professionistico.
Domanda. E allora perché lui mena? Don Sciortino lo fa da qualche anno a questa parte, anzi soprattutto negli ultimi mesi: da vero professionista. Destro, sinistro, bersaglio grosso, bersaglio piccolo, uppercut al centro. Anzi al mento. Ma dicendo al centro la metafora politica è più chiara. Sciortino dirige la sua corazzata cattolica contro tutte le flotte possibili e immaginabili, con siluri, armi proprie e improprie.
Perché fa così? Ci sono molte spiegazioni che si susseguono. Ne fornisco due.
1) Il direttore della (ex) mite rivista dei Paolini ha capito che se continuava a servire camomilla, forse sarebbe riuscita a garantirsi il mercato delle perpetue e dei don Abbondio, ma avrebbe dovuto attrezzarsi a essere venduta non solo nelle chiese ma anche nelle cappelle cimiteriali. Quel tipo di pubblico è in estinzione rapida. Senza un brivido di riscossa la china discendente si sarebbe trasformata in precipitosa caduta nell’abisso dei debiti (26 milioni di euro dal 1999, progetti di tagli, vendita già realizzata della storica tipografia di Alba). In un’epoca in cui il cattolicesimo è minoranza, tanto vale battersi e guadagnare alla battaglia qualche laico o ateo curioso. I numeri daranno ragione al coraggio detto anche sconquasso? Famiglia cristiana raggiunse ai tempi del mitico dan Giuseppe Zilli le due milioni di copie vendute, i 500 mila abbonamenti. Oggi veleggia intorno ai 600mila fascicoli diffusi, che è un bell’andare, ma la prospettiva non è più allegra rispetto a quella dei settimanali in crisi generale. Ma almeno se si deve proprio crepare, questo deve aver pensato Sciortino, almeno prima battersi. Ed è un fatto che in questo periodo in cui i settimanali politici (Panorama ed Espresso) cercano di campare con i soliti verbali forniti da magistrati compiacenti o con il gossip, Famiglia cristiana propone idee precise su cui convenire o no: ma chiare e tutte da discutere, certo nelle famiglie cristiane, ma anche in quelle mica tanto cattoliche.
2) Sciortino sarebbe sul piede di partenza. Avrebbe intorno due vice, don Giuseppe Soro e don Giusto Truglia, solidali con lui fino a quando non saranno chiamati a sostituirlo con dolore. Del resto, chi la fa, l’aspetti. Fu il delfino Sciortino a rimpiazzare con molti complimenti il suo Pigmalione don Zega, quando prima fu commissariato e poi affondato dal cardinal Ratzinger in persona. Prima di essere promosso a qualche altro incarico, magari curiale, Sciortino cercherebbe con il suo casino a tutto Azimouth un po’ di visibilità come deterrente al licenziamento, per la nota attitudine vaticana a evitare gli scandali.
Le battaglie
Mentre il Papa vede Tremonti, Famiglia cristiana (che pubblica e vende le encicliche del medesimo Papa) attacca il governo. Non c’è da preoccuparsi però. Non saranno tali quisquilie a farlo mandar via. In passato sì che Famiglia cristiana ha portato acqua, dalla fine della Democrazia cristiana in poi, alla sinistra. Nel 1996 fu decisiva nel versare abbondante rugiada a Prodi, in forma di gasolio per il suo pullman, con una linea culminata in un editoriale firmato da Bartolomeo Sorge, il gesuita più calvo e di sinistra della storia d’Italia. Allora Sciortino era vice di don Leonardo Zega. Ne prese la successione nel 1999. E da allora ha tenuto la barre del timone quasi sempre a manca. Con più prudenza negli ultimi anni. Sposando decisamente la Margherita, con una predilezione particolare per Rosy Bindi, ma senza enfasi. Esempio. Quando c’erano in ballo i Pacs, le unioni di fatto, chiamate in Italia “Dico”, Famiglia cristiana intervistò per due pagine la Bindi che difendeva le sue idee pro-Dico, e diede dodici righe al Papa che li scomunicava. Titolo di copertina ambiguissimo: «Meno Dico e piú famiglia». Si deve pur galleggiare. Semmai è su posizioni di etica sociale che Sciortino può traballare. Non per la politica…
Del resto negli ultimi mesi Sciortino ha dato botte a Berlusconi («strumentalizza il cardinal Ruini») e al Partito democratico («Pasticcio veltroniano in salsa pannelliana»), distribuito rimproveri a Casini e a Bossi. Attaccato i politici privilegiati in un’Italia dove si pagano tasse come in Svezia e i servizi sono da Bolivia. Da quando c’è al governo il centrodestra, ogni settimana sono contumelie: contro la maggioranza ma anche contro la minoranza (democratica). Se ormai in Parlamento Veltroni pensa a salvarsi la pelle, lasciando l’opposizione ad Antonio Di Pietro, il settimanale di Sciortino fa opposizione, quasi con gli stessi argomenti. Potrebbero scambiarsi i posti, e i discorsi sarebbero più o meno uguali.
Vedremo se saremo smentiti con un attacco a Di Pietro la settimana prossima: così sarebbe più dipietrista dell’originale.
Sull’enciclopedia internet Wikipedia sono state allineate le prese di posizione politiche contro il centro destra da parte di don Sciortino, sciolte qua e là tra le pagine. Eccole:
* le critiche alle leggi cosiddette ad personam
* l’atteggiamento verso la riforma della scuola proposta da Letizia Moratti
* le reazioni alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione
* il sottolineare la gravità del precariato permanente nel Paese
* le reazioni al famoso editto bulgaro contro Biagi e Santoro
* la posizione sfavorevole all’invio di militari italiani in Iraq.
Il culmine dello scontro con la Casa delle Libertà si toccò con un’inchiesta, tenuta in collaborazione con il Tg3 sull’ingerenza della mafia sulla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. L’inchiesta fu duramente contestata dall’allora ministro Pietro Lunardi.
Forse come premio per questa linea, fu conferito a don Sciortino dal presidente Ciampi il titolo di Grand’Ufficiale, il 2 giugno del 2005. Ma è preistoria. Allora colpiva solo per far piacere alla sinistra, adesso ’ndo colglie coglie.
Insomma: mena. Don Sciortino mena.
Libero 13 agosto 2008