Pio XII inviso ad Ebrei e cattoprog

Gli attacchi a Pio XII nascono nella Chiesa

 Le polemiche giunte in questi giorni da una parte del mondo ebraico, dopo che Benedetto XVI ha “osato” firmare il decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, non si deve dimenticare che vengono da lontano.
Gli attacchi a Papa Pacelli, infatti, iniziarono all’interno del modo cattolico un decennio prima che in quello ebraico. Erano frutto di quel cattoprogressismo che non perdonò mai al Pontefice l’opposizione al progetto di apertura a sinistra concepito da Alcide De Gasperi…

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Al direttore – Si propone di archiviare come non pertinenti le argomentazioni polemiche su quella che viene letta come l’ennesima provocazione di Benedetto XVI, che ha osato firmare il decreto sulle virtù eroiche di Pio XII, il cosiddetto “Papa di Hitler” e del “silenzio” sulla tragedia del popolo ebraico. Tale proposta è destinata a non essere presa in considerazione, non tanto a causa dei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo, perché, se fosse solo per questo, la questione sarebbe facilmente risolvibile: alla lunga, la logica renderebbe evidente l’incongruenza di una religione che si occupa degli affari interni a un’altra.
Il film sulla leggenda nera di Pio XII continuerà ad andare in onda perché frutto di un’antica partita interna al mondo cattolico.
Lo ha spiegato il rabbino americano David G. Dalin in appendice al volume di Burkhart Schneider, “Pio XII”. “Quasi nessuno degli ultimi libri su Pio XII e sull’Olocausto” spiega “parla di Pio XII e dell’Olocausto.
Il vero tema di questi libri risulta essere una discussione interna al cattolicesimo circa il senso della chiesa oggi, dove l’Olocausto diviene semplicemente il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre come arma contro i tradizionalisti”.
Gli attacchi a Papa Pacelli iniziarono all’interno del modo cattolico un decennio prima che in quello ebraico. Erano frutto di quel cattoprogressismo che non perdonò mai al Pontefice l’opposizione al progetto di apertura a sinistra concepito da Alcide De Gasperi. Correva l’anno 1952: Pio XII aveva capito che l’ambigua visione degasperiana, ispirata al progressismo di Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier, rappresentava la strategia cattocomunista il cui strumento poteva essere solo un partito a due teste come la Dc: una bigotta e perbenista e l’altra eterodossa, in rivolta contro l’autorità romana.
La cattiva politica è frutto della cattiva teologia. E la cattiva politica, di rimando, cerca sempre di influire sulla teologia allo scopo di modificare la realtà della chiesa. Si capisce dunque che la ritorsione cattoprogressista contro Pio XII, dal piano politico, doveva salire a quello teologico. Tanto più che quell’ambiente aveva più di un conto in sospeso con quel Papa.
Nel 1950, con l’enciclica “Humani generis” aveva messo in guardia il gregge cattolico dalle teorie eterodosse di teologi come Rahner, Teilhard de Chardin, de Lubac. Prima, da cardinale, aveva individuato nel pensiero di Maritain la chiave della deriva sinistrorsa e nichilista del pensiero cattolico.
La difesa dei novatori, in perfetto stile rivoluzionario, partì dalla calunnia personale per cercare di erigere un castello teologico. Ci provò Mounier accreditando come reazione agli errori del cardinale Pacelli le atrocità commesse dai rivoluzionari spagnoli contro i cattolici. Dal canto suo, Maritain diceva di avere “una certa paura del cardinale Pacelli”.
Pio XII divenne l’emblema della chiesa costantiniana da abbattere per far luogo alla Nuova Chiesa dello Spirito. Giuseppe Alberigo raccontò a Repubblica che nel 1953, su istigazione di “un padre benedettino pio e assai famoso”, pregò perché Pio XII morisse presto in quanto era “un peso per la chiesa”.
L’aggressione personale non rappresenta nulla di nuovo sotto il cielo cattoprogressista.
E mostra la vera anima degli adepti di questa neoreligione, scissi tra la caccia al male assoluto e il compromesso con il male necessario.
Per questo gli attacchi a Pio XII non cesseranno in fretta e troveranno linfa dentro al mondo cattolico.
 
Il Foglio 22 dicembre 2009
 
 
Gumpel: «Fino al 1939 gli archivi sono già aperti: perché nessuno li consulta?»

Dal suo studio a Roma, nella sede della Curia generale della Compagnia di Gesù, padre Peter Gumpel – il relatore della causa di beatificazione di Pio XII – commenta positivamente la notizia che il «suo» Papa è «venerabile». Non è solo legittima soddisfazione: il gesuita tedesco legge questo passo come un segnale importante verso il raggiungimento della verità storica.

«Sono sempre più convinto – spiega – della santità di questo grande Papa e certamente se avessi scoperto nell’Archivio Segreto vaticano qualsiasi documento che potesse minare la sua causa di beatificazione, sarei stato il primo a denunciare la cosa». Padre Gumpel ha vissuto con amarezza la reazione di alcune frange del mondo ebraico all’ulteriore passo in avanti verso la beatificazione di Eugenio Pacelli.

«Prima di tutto vorrei dire che non tutto il mondo giudaico è contro la beatificazione, ma solo una parte di esso. Penso ad esempio agli ebrei americani, che in maggioranza sono grati per quanto Pio XII si prodigò per salvare il maggior numero di vite umane. E poi mi chiedo come mai – ora che gli archivi vaticani sono aperti fino al febbraio 1939 – non si accede a questi documenti. Si conoscerebbe un Pacelli nunzio in Baviera e segretario di Stato sotto Pio XI molto diverso da quello raffigurato da Rolf Hochhuth nel suo dramma Il Vicario».

Gumpel aggiunge un particolare: «Ci sono tanti documenti inediti in difesa di Pio XII nelle cancellerie di molti Paesi. Mi chiedo: perché questi testi non vengono studiati?». Gumpel ricorda i tanti discorsi pubblici di Pacelli contro il nazismo e il razzismo, come «l’allocuzione natalizia del 1942», e fa sua la tesi dello storico e biografo di Winston Churchill, l’inglese Martin Gilbert di origini ebraiche che il cosiddetto «silenzio di Pio XII» permise di salvare molti più ebrei di una esplicita condanna.

Anche il domenicano Ambrosius Eszer, il religioso che per conto della Santa Sede ha condotto un’ulteriore indagine sulla causa di beatificazione di Pio XII, gli ha confermato la sua convinzione: «Nel luglio scorso mi ha scritto una lettera, dove si legge: "Ho finito il mio lavoro presso l’archivio della Segreteria di Stato e ogni nuova ricerca potrà confermare la posizione attuale della Santa Sede su Pio XII"». Gumpel snocciola i tanti aspetti poco conosciuti sulla vita del Pontefice a favore degli ebrei: «È morto povero, lui principe romano, perché usò buona parte delle sue fortune per salvare il maggior numero di ebrei perseguitati e nascosti nei conventi. Mi tornano alla mente le tante "missioni ufficiose" nella capitale della fidata suor Pascalina Lehnert.

Mai si ricorda quanto Pacelli fece prima della deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943. Si pensi al fatto che Pio XII si dichiarò disposto a recuperare dell’oro da consegnare al rabbino capo di Roma Eugenio Zolli. O la protesta informale che il Papa fece per la deportazione degli ebrei nel 1943 all’ambasciatore Ernst von Weizecker. Una testimonianza – quest’ultima – da me raccolta dalla viva voce della principessa Enza Pignatelli Aragona». L’augurio finale di padre Gumpel è che, dopo questo importante attestato, «presto o tardi papa Pacelli venga elevato agli onori degli altari. Non so dire quando, perché non sono né un profeta né un indovino. Ma sono sicuro che avverrà e Pio XII potrà essere venerato prima come beato e poi come santo».

Eszer: «I miei dieci mesi di ricerche supplementari confermano: il Vaticano difese gli ebrei»

Dieci mesi di ricerca presso la prima sezione dell’archivio della Segreteria di Stato, esplorando 27 faldoni per appurare come Pio XII, attraverso la sua rete diplomatica e il suo provvidenziale silenzio, si fosse mosso a favore degli ebrei durante la Shoah. È la conseguenza del supplemento d’indagine richiesto, solo pochi mesi fa, dalla Santa Sede e da Benedetto XVI al padre domenicano tedesco Ambrosius Eszer, prima di dare il via libera al decreto sull’eroicità delle virtù di Papa Pacelli.

E l’indagine di padre Eszer – che ha studiato le carte relative a lettere e a messaggi arrivati in Vaticano tra il 1939 e il 1945 – ha permesso di dissipare ogni eventuale dubbio sulla beatificazione di Pio XII. Dal suo convento di San Paolo nel cuore di Berlino, padre Eszer, 77 anni, insigne studioso e già relatore generale alla Congregazione per le cause dei santi, commenta con grande soddisfazione la notizia che Eugenio Pacelli è ufficialmente «servo di Dio»: «Sono contento, perché proprio la recente indagine mi ha permesso di vedere quanto la Santa Sede e di riflesso Papa Pacelli si siano prodigati per gli ebrei». E aggiunge un particolare: «Quando si apriranno gli archivi penso si scoprirà ancor di più quanto la luce del Pastor Angelicus meriti di brillare per quanto, a volte nel silenzio e fuori dai riflettori, si è prodigato per arginare il dramma della Shoah».

Il domenicano, nell’arco di dieci mesi, ha verificato molte delle corrispondenze degli episcopati (soprattutto quello tedesco e dei Paesi occupati dal Reich): «Sono stato scelto io – sorride p. Ambrosius – anche perché quasi tutti i documenti sono in lingua tedesca, dai ritagli di giornale alle lettere autografe». E tra le tante fonti, edite e no, padre Eszer ne ricorda alcune molto significative: «Mi ha sorpreso la diplomazia nascosta e parallela, soprattutto in Paesi come Cecoslovacchia o Ungheria, messa in atto dalla Santa Sede per salvare tante vite.

Penso alla vigorosa lettera di protesta dell’arcivescovo di Breslavia Adolf Bertram indirizzata ad Hitler, in cui il cardinale si oppose a separare nei matrimoni misti i cattolici dagli ebrei, scongiurando così la deportazione di questi ultimi». Ma emergono particolari anche sul ruolo dell’Italia nel Patto d’acciaio: «Strano a dirsi, ma la presenza dell’Italia nell’Asse ha permesso di mitigare la ferocia nazista verso gli ebrei.

Mi ha colpito nella mia verifica scoprire una lettera preoccupata di Mussolini al gerarca fascista Cesare de Vecchi sul fatto che Hitler desse poca importanza al rischio di proteste dei cattolici tedeschi fedeli a Roma, perché costituivano solo un terzo della popolazione». In generale, conclude il domenicano, «quanto ho verificato conferma quanto già pubblicato nei 12 volumi degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, editi dai gesuiti Angelo Martini, Burkhart Schneider, Robert Graham e Pierre Blet». Cioè che il presunto «silenzio» di Pio XII era obbligato per non compromettere ulteriormente la situazione degli ebrei.

 
Filippo Rizzi
Avvenire 22 dicembre 2009
http://www.avvenire.it/Cultura/Pio+XII+oltre+i+dubbi_200912220836442500000.htm