Comunione SÌ o Comunione NO ?

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Perché la Chiesa non permette a tutti di comunicarsi?

Domanda di grande attualità.  Risponde Philip Goyret, professore di Teologia Sacramentale, Ecclesiologia ed Ecumenismo.

Il fatto che la Chiesa restringa l’accesso alla Comunione solo ai Cattolici e a certe condizioni è diventato argomento di dibattito in alcuni settori dell’opinione pubblica.
A volte, neanche gli Cattolici stessi sanno quali sono i motivi in base ai quali la Chiesa continua a seguire questa tradizione, che affonda le sue radici nelle prime comunità cristiane.
Per rispondere alla domanda, ZENIT ha intervistato il sacerdote Philip Goyret, professore di Teologia Sacramentale, Ecclesiologia ed Ecumenismo presso l’Università Pontificia della Santa Croce a Roma e direttore di Studi della stessa università.


Qual è il significato teologico ed ecclesiologico di una persona che riceve la Comunione e qual è il significato teologico ed ecclesiologico della ricezione della Comunione?


Professor Goyret: Noi Cattolici, oltre ai testi biblici (soprattutto la prima lettera di San Paolo ai Corinzi), crediamo nel profondo nesso esistente tra il corpo di Cristo, il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale.
Il linguaggio del Nuovo Testamento proclama questa realtà usando lo stesso vocabolo, “corpo”, per indicare sia il corpo storico e glorioso del Signore che il Suo corpo eucaristico e il Suo corpo ecclesiale.
Ciò va oltre un semplice gioco di parole, perché nutrendoci con il corpo eucaristico del Signore, che contiene sostanzialmente il corpo glorioso di nostro Signore nei cieli, ci consolidiamo come membra del Suo corpo ecclesiale.


Ricevendo la Comunione eucaristica, riceviamo il Corpo e il Sangue del Signore, il che aumenta nei nostri cuori l’intima unione con Lui: essere uniti a Lui implica anche essere uniti a coloro che sono uniti a Lui. Arriviamo così alla comunione ecclesiale. E’ ciò che la teologia esprime con la frase “l’Eucarestia edifica la Chiesa”. Attraverso la Comunione eucaristica siamo in comunione con il Signore e ci consolidiamo nella comunione ecclesiale.


Vedendo le cose dal punto di vista “negativo”, è interessante ricordare il significato originario della “scomunica”. Prima che si sviluppassero le sue conseguenze giuridiche, essere scomunicati significava – e significa ancora oggi – essere allontanati dalla Comunione eucaristica. Chi è escluso dalla comunità ecclesiale non può prendere parte alla Comunione eucaristica.


L’Eucarestia non è “automatica”. Gli effetti appena menzionati non ci sarebbero se la comunione venisse ricevuta da un marziano che non ha mai sentito parlare del Vangelo. Bisogna comunicarsi ricevendo l’Eucarestia per ciò che è, ovvero il Corpo e il Sangue di Cristo, con fede viva nella Sua presenza reale nelle specie.


Credere questo è una cosa molto delicata, perché significa credere nella verità completa rivelata in Cristo, perché è il Cristo completo che è presente nell’Eucarestia. La verità completa include tutto ciò che la Chiesa propone come dato rivelato, inclusa la chiesa stessa. Significa, inoltre, credere come facciamo noi Cristiani, non solo accettando intellettualmente una determinata conoscenza, ma anche adeguando la nostra vita ad essa. Per questo si parla di fede “viva”.


E’ per questo che il fatto di “essere in regola” con la Chiesa cattolica come condizione per ricevere l’Eucarestia durante una celebrazione cattolica non è una semplice questione “di regolamento” (come un club di tennis che non fa usare i campi a chi non è in regola con il pagamento della quota), ma un’esigenza intrinseca del sacramento per come è inteso dalla fede cattolica.


Tra la Comunione eucaristica e quella ecclesiale esiste, quindi, un rapporto che potremmo definire “circolare”: l’Eucarestia ci consolida nella comunione ecclesiale e la esige come condizione previa. La Comunione eucaristica causa la comunione ecclesiale.


Sono state mosse delle critiche al rifiuto di dare la Comunione ad un Cattolico o ai Protestanti, giudicandolo una misura che genera divisioni. Cosa ne pensa?


Professor Goyret: Per capire questo, basta sviluppare quanto detto in precedenza. La comunione ecclesiale come condizione previa per accedere a quella eucaristica consiste, in sostanza, nell’integrità della fede e nell’assenza di peccato grave. Nell’ottica cattolica, la prima cosa comprende, logicamente, il fatto di essere cattolico. Implica anche l’assenza di situazioni di peccato abituale (irregolarità familiari, posizioni teologiche incompatibili con la fede cattolica, condotte professionali opposte alla morale cattolica, ecc.), oltre ai peccati occasionali.


La norma morale e pastorale che i sacerdoti seguono distribuendo la Comunione è quella di negarla pubblicamente a coloro che sono notoriamente persone che non possono riceverla. Procedere in un’altra maniera implicherebbe ignorare il significato teologico ed ecclesiologico del quale abbiamo parlato prima.


Per i Cattolici, un’eventuale distribuzione della Comunione ad un non cattolico all’interno di una celebrazione cattolica dell’Eucarestia è una contraddizione: implicherebbe, infatti, una comunione ecclesiale che non esiste (nel suo senso più pieno). Qualcosa di simile accade nel caso dell’eventuale Comunione di un peccatore pubblico.


Evidentemente, queste idee presuppongono un’affermazione forte della fede nell’Eucarestia, non come semplice manifestazione esterna di un generico sentimento di fraternità cristiana, ma come il sacramento che contiene veramente l’intero Cristo, con il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua anima e la Sua divinità.


E’ importante percepire che la necessità della piena unità di fede tra i partecipanti all’Eucarestia è qualcosa che viene richiesto dal contenuto specifico di questo sacramento, ovvero la realtà sostanziale del Corpo di Cristo, perché in essa è necessariamente implicata la fede in tutto ciò che Cristo ha rivelato e che la Chiesa insegna. La Comunione eucaristica e quella nella verità, quindi, non possono essere separate. Su questa base, la Chiesa cattolica nega la Comunione eucaristica a chi non partecipa pienamente alla sua comunione ecclesiale, perché non può partecipare nel segno dell’unità piena chi non la possiede interamente.


In definitiva, dal punto di vista cattolico, l’accesso alla Comunione eucaristica senza la piena comunione ecclesiale è assurdo, perché non realizza l’aspetto significativo caratteristico della dinamica sacramentale, e quindi non ne è nemmeno la causa.


Bisogna aggiungere che il desiderio e la necessità spirituale di ricevere la Comunione sono una cosa profondamente personale, ma mai un fatto “privato”, proprio perché ci troviamo di fronte ad un bene ecclesiale (ecclesiale per eccellenza) del quale non siamo padroni. Non rispettare questa disciplina costituisce non solo una contraddizione per chi si comunica, ma anche per tutta la comunità ecclesiale.


Quali sono le principali preoccupazioni dei vescovi nel dibattito sull’accesso alla Comunione?


Professor Goyret: Non saprei dire con esattezza: ogni conferenza episcopale combatte le sue battaglie. Ad ogni modo, azzarderei a dire che la preoccupazione principale è far capire che la negazione della Comunione eucaristica (sia ai Cattolici in situazioni “pubbliche” che lo impediscono che ai non Cattolici) non è dovuta ad un atteggiamento di indolenza o di incomprensione, ma deriva semplicemente dalla coerenza con la nostra fede nell’Eucarestia.


Se andiamo più a fondo, ciò che spesso non ci permette di comprendere bene la questione è la scarsa formazione nella fede, aggravata dalla perdita del senso del peccato e delle sue conseguenze. Come è molto difficile spiegare il teorema di Pitagora a chi non conosce le regole della moltiplicazione, si può dire lo stesso del nostro tema nei confronti di chi è più lontano da Dio.


Potremmo terminare queste considerazioni con un esempio, più didattico che teologico, che nella sua semplicità fornisce una morale utile: mi riferisco al senso del dolore corporeo e alla nostra reazione di fronte ad esso. Quando lo sperimentiamo, vuol dire che qualcosa non funziona bene nel nostro corpo, che qualcosa non è in armonia con il resto. E’ il campanello di allarme che ci porta a ricorrere ad un medico ed eventualmente ad una cura. La semplice eliminazione del dolore non produce di per sé la guarigione; può comportare solo un sollievo, ma potrebbe anche farci dimenticare la necessità di una cura medica seria…. Il dolore, in definitiva, ha la funzione positiva di indicarci una disarmonia che deve essere curata.


L’applicazione della morale al nostro caso è evidente. L’impossibilità di celebrare insieme l’Eucarestia tra confessioni diverse è, in effetti, una situazione dolorosa, ma il voler fare qualcosa insieme non vuol dire che sia sempre la cosa migliore da fare. L’eliminazione del dolore di fronte alla divisione, senza l’eliminazione delle sue cause, non fa che peggiorare le cose. E’ necessario non perdere di vista il fatto che la disciplina della Chiesa che proibisce l’intercomunione non è la causa della divisione, ma la sua conseguenza. Le cause si scoprono e si rimuovono attraverso il dialogo della verità: un processo certamente più lungo e faticoso, ma che, se intrapreso con pazienza e perseveranza, prometterà risultati più sicuri.


Zenit