Tutti i don Camillo e i Peppone in marcia su Roma…

È ARRIVATA L’ORA
DEL
RITORNO DI DON CAMILLO


Don Camillo c’era il 18 aprile del 1948, suonava le campane vedendo minacciato il benessere della sua gente e la libertà. Oggi intuisce che c’è in giro un pericolo persino più grave. Lo sradicamento della famiglia, attraverso la sua parificazione alle unioni omosessuali. Nulla contro i gay, ma che lo Stato ne sancisca il legame, questo no…
Di certo don Camillo non sopporterebbe il nome in inglese: perché Family day? Meglio l’italiano “Giorno della famiglia”. Meglissimo il latino Dies familiae, che fa capire – anche per l’assonanza con il Dies irae –, che l’ora è drammatica… Ma arrendendosi un po’ alle mode linguistiche don Camillo preparerebbe per il 12 maggio  la marcia parrocchiale su Roma, programmando per la sua gente, senza ombra di dubbio, anche un’«ecologica» sosta culinaria a base di pane, salame, buon vino e sana allegria… Del resto ciò che si vuole manifestare è il diritto di vivere in una società a misura d’uomo, cioè come Dio comanda.

I vescovi italiani chiedono la mobilitazione del clero per portare un milione di persone a Roma in difesa della famiglia. Invece annunciano che loro – i vescovi – non ci andranno. Peccato. Ci sono molti buoni motivi, forse anche protocollari. Cardinali in prima fila, seguiti dagli arcivescovi, con o senza segretario, e poi quelli che baciano la mano: un casino, meglio astenersi. C’è un precedente, alla manifestazione di Madrid per la famiglia e contro il matrimonio omosessuale, scesero in piazza pure venti vescovi e un cardinale. Il fatto è che probabilmente il nuovo presidente della Cei teme prevalga sull’impeto positivo la malizia di chi farebbe l’elenco degli assenti – i nomi ce li ho sulla punta della lingua – palesando così posizioni, minoritarie, ma comunque contrarie alla linea di Ratzinger, Ruini, Scola, Bertone e ora del neo presidente Bagnasco. Peccato, non mi dispiaceva vedere dei cardinali esporsi, invece che al baciamano, a qualche sputacchio degli immancabili provocatori noglobal. È possibile si sia voluto evitare che poi si dicesse: il Vaticano contro la democrazia. Ma la democrazia è proprio questo coraggio di metterci la faccia, e di vedere chi ha più numeri. Non per stabilire la verità, ma le impostazioni delle leggi. I vescovi no, ma almeno ai preti chiedo per una volta di farsi riconoscere senza incertezze. Sarebbe bello svolazzasse qualche tonaca. Ma almeno non dico il colletto duro, che non è adatto alle manifestazioni, ma almeno la croce, un segno chiaro. Abbiamo bisogno di segni, di gente che non si nasconde. Se ci credete, fatelo. È una ricchezza per tutti. Tanto nessuno pensa che scasserete qualche vetrina o ruberete nei supermercati – si spera. Al massimo ci sarà un po’ di carta oleata in giro. Lucio Coletti scrisse che, tra i rifiuti della folla accorsa per il Giubileo, si raccolsero «quintali di preservativi usati». Impressiona il peso di quegli attrezzi. Che cos’erano: di piombo? Masochisti anche in quel campo? Nessuno li ha mai visti, la nettezza urbana ha smentito. Ma è diventata una leggenda come quella americana degli ippopotami nel Tevere. Comunque Lucio Coletti sopravvisse poco alla boutade. Spiacque a tutti, requiem aeternam, ma bisogna stare attenti: porta male parlar male del Papa. Dunque, il 12 maggio il popolo va a Roma con i suoi curati. Cattolici o solo fiduciosi nel verbo del Pontefice anche se poco credenti. Tutti lì. A me questa storia piace molto. Ha un sapore di tradizione e di lotta. Sento odore di popolo e di frittata. Don Camillo ci andrebbe. È così chiaro. Organizzerebbe tre o quattro pullman dalla parrocchia di Brescello. Sosta a Orvieto per vedere il Duomo o a Cascia dove c’è il santuario di Santa Rita, colazione al sacco, con salami e sottaceti, per gli abbienti pastasciutta alla casa del pellegrino. E via, giù a Roma per la manifestazione che si concluderà a Piazza San Giovanni, per una volta portata via ai compagni. Dice il segretario della Conferenza episcopale, il vescovo Giuseppe Betori: «I parroci sono invitati ad organizzare i loro parrocchiani». Sono bravi in questa attività. E stavolta non per la pia escursione a Caravaggio, a Loreto o a Pompei con picnic, rosario e benedizione delle auto e degli oggetti sacri, ma per spostarsi all’Urbe e concorrere alla democrazia, accettandola in pieno. Si diceva sempre che i cattolici non avevano senso dello Stato: anche don Camillo ce l’ha. Obbedisce al Papa e ai vescovi, ma sa esercitare i suoi diritti di semplice cittadino e manifesta il pensiero persino con qualche slogan. Del resto, c’è un precedente abbastanza dimenticato: il 18 aprile del 1948. Don Camillo c’era, suonava le campane vedendo minacciato il benessere della sua gente e la libertà. Oggi intuisce che c’è in giro un pericolo persino più grave. Lo sradicamento della famiglia, attraverso la sua parificazione alle unioni omosessuali. Nulla contro i gay, ma che lo Stato ne sancisca il legame, questo no. Sarà un pensiero molto tradizionale, ma finalmente ci saranno preti che si mobilitano in piazza evitando le bandiere rosse e quelle arcobaleno. Al G8 di Genova ce n’erano di preti e suore. Li capitanava don Vitaliano Della Sala, detto don Pistola. Mamma mia. Qui non si guida l’assalto alla zona verde e a quella rossa. Si dicono le proprie idee. Il sabato si marcerà su San Giovanni in Laterano, e chi può permettersi di pernottare nella Capitale, la domenica c’è da vedere il Papa in San Pietro. Incerta la venuta di Peppone. Probabilmente, se ci fosse ancora, praticherebbe il classico boicottaggio, con la propaganda murale e poi sgonfiando, prima dell’alba, le gomme dei torpedoni. Ma la moglie del capo comunista alla fine si iscriverebbe e pagherebbe la quota del pullman (qui si paga, non è gratis come per la Cgil), suscitando la somma rabbia del marito. Sarebbe una finta però: anche per Peppone la famiglia è sacra, nonostante il marxismo e Inessa Armand, l’amante di Lenin, predicassero il libero amore. La domanda è: ma esistono ancora preti alla don Camillo? Disposti a tutto. Anche alla piazza, a farsi capi popolo, a rischiare pernacchi da qualche spiritoso che magari butterà qualche secchio d’acqua dai terrazzi o qualche petardo dalle finestre. Giovannino Guareschi l’avrebbe fatto salire a sistemare la pratica con quattro sberle, ma oggi sarebbe impossibile e non accadrà, le botte sono un patrimonio dei pacifisti. Di certo don Camillo non sopporterebbe il nome in inglese: perché Family day? Meglio l’italiano “giorno della famiglia”. Meglissimo il latino Dies familiae, che fa capire anche per l’assonanza con il Dies irae, che l’ora è drammatica. Penserete che sto dando i numeri. Allora li do tutti. I sacerdoti diocesani in Italia sono circa 35mila, quelli religiosi (francescani, domenicani, gesuiti eccetera) sono 18mila. In tutto 53mila circa preti. Se vengono tutti e ciascuno porta venti fedeli, il milione è superato. I vescovi sono 369: quelli in cattedra sono 248, di cui 64 arcivescovi e un patriarca. Tra essi 7 cardinali. Poi ci sono quelli emeriti, cioè pensionati: sono 121. Almeno ai pensionati si potrebbe dare una deroga.


di RENATO FARINA
LIBERO 4 aprile 2007