Tutti gli incubi della rivoluzione

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Un saggio di Pellicani rintraccia nel momento sovversivo le radici totalitarie del comunismo. L’ideologia marxista adotta lo schema del millenarismo e si rivela come grande Gnosi.

«La novità politica più vistosa del XX secolo è stata l’istituzionalizzazione di un tipo di dominio che è stato definito “totalitario”. Tale dominio – scrive Luciano Pellicani nel suo più recente lavoro Rivoluzione e totalitarismo – non deve essere confuso né con il dispotismo […] né con la dittatura (monopartitica o militare)». Certo, il dispotismo e la dittatura fanno parte, insieme al totalitarismo, della stessa famiglia politologica – quella dei regimi monocratici -, ma il totalitarismo, tiene a precisare Pellicani, presenta tutta una serie di tratti specifici che, correlati, costituiscono la cosiddetta “sindrome totalitaria”.
Il primo di tali tratti è che il totalitarismo si configura come una rivoluzione permanente: «esso intende fare tabula rasa dell’ordine esistente (sia interno che internazionale) ed edificare un ordine del tutto nuovo». In realtà, è innegabile che la novità del totalitarismo sta esattamente nella sua volontà di novità: «esso vuole essere una cesura epocale, capace di dividere la storia in un “prima” (epoca della corruzione generale) e un “dopo” (epoca della rigenerazione morale)». Altra caratteristica del dominio totalitario è che «la rivoluzione che esso intende promuovere investe tutti gli aspetti della realtà umana» – non c’è una sola manifestazione della vita che non venga sistematicamente sottoposta al controllo insindacabile di quella istituzione che incarna la purezza della volontà rivoluzionaria, e cioè il Partito. La sua terza caratteristica il totalitarismo la trova in una presunzione soteriologica: «Esso è l’istituzionalizzazione di una dottrina di salvezza a carattere millenaristico, di una vera e propria Gnosi che contiene una diagnosi-terapia del “male radicale”» – da qui la rivendicazione da parte del dominio totalitario di una giurisdizione senza limiti sugli esseri umani. E, in effetti, «sentendosi investito di una missione di salvezza, si considera – e pretende di essere considerato – come un’autorità sacra, di fronte alla quale non è ammissibile altro comportamento che la cieca obbedienza». D’altro canto – e siamo qui al quarto tratto distintivo del totalitarismo – «esso, a differenza di altre forme di dominio monocratiche, non si contenta di ottenere l’obbedienza passiva dei sudditi; vuole anche la loro adesione incondizionata al suo progetto palingenetico e la partecipazione entusiastica alla costruzione del Regno finale». E i mezzi per operare una vera e propria conversione e una identificazione totale con l’ethos rivoluzionario lo Stato totalitario li ha nella propaganda, nell’indottrinamento, nel controllo più completo della scuola e di tutte le fonti di informazione, nel terrore di massa. E va da sé che, proprio perché si sente investito della missione di trasfigurare l’esistente alla luce di una dottrina millenaristo-soteriologica, il potere totalitario non può non essere che in uno stato di guerra permanente nei confronti della società civile con il risultato che ogni distinzione tra la politica e la guerra viene cancellata e tutte le relazioni sociali sono militarizzate.
Tutto ciò, afferma Pellicani, fa del sistema totalitario l’antitesi radicale del sistema pluralistico-competitivo. Questo si basa sull’autonomia, sia pure relativa, della società civile nei confronti dello Stato, sulla libera circolazione di tutte le energie sociali (interessi, valori, idee, progetti di vita ecc.), sulla strutturazione policentrica del potere politico e sulla laicità della cultura – il che ne fa una società aperta alla sperimentazione e alla innovazione, tramite quello strumento di scoperta del nuovo che è la competizione, vista come la più alta forma di collaborazione. Diametralmente opposto a siffatto modello di organizzazione è quello totalitario, basato su di una ideologia obbligatoria di Stato, sulla centralizzazione dei mezzi di produzione e di tutti i processi decisionali e sull’assorbimento della società civile dentro la gabbia di una gigantesca macchina buro cratica.
Alla luce di questo modello ideal-tipico del sistema totalitario, Pellicani afferma che «il fascismo italiano, per quanto abbia preteso di essere di essere totalitario e rivoluzionario, di fatto non lo è stato se non in modo assai imperfetto, poiché, una volta divenuto regime, ha adottato una politica di compromesso con le forze sociali, economiche e religiose della società pre-fascista». E aggiunge che soltanto la rivoluzione nazista e, a più forte ragione, le rivoluzioni comuniste possono e doblone venir considerate pienamente totalitarie, in quanto esse hanno istituzionalizzato quei tratti che costituiscono la specifica ed inconfondibile “sindrome totalitaria”.
Una tesi, questa di Pellicani, che si scontra con il pregiudizio favorevole che, per generazioni e generazioni, ha garantito alle rivoluzioni scatenate in nome del proletariato di essere giudicate con indulgenza addirittura da chi non si identificava con esse. Ma la cosa grave, fa amaramente presente Pellicani, è che da noi, in Italia (anche se non solo in Italia) c’è ancora chi si ostina a difendere le buone intenzioni del totalitarismo comunista – e cita Giuliano Procacci, Rossana Rossanda, Domenico Losurdo, Aurelio Lepre e Alberot Asor Rosa. Una posizione, quella di costoro, decisamente non ammissibile, «perché – afferma l’Autore – i crimini e gli orrori del comunismo non sono stati incidenti di percorso. Tutt’altro. Sono scaturiti, con inesorabile consequenzialità, dall’idea di partenza – una vera e propria hybris – di dischiudere le porte del Regno millenario della libertà adottando la politica della tabula rasa e dello sterminio di massa». In altri termini, la rivoluzione comunista – a dispetto dell’esaltazione prometeica dello sviluppo delle forze produttive, tipica della ideologia marxleninista – «è stata una reazione “zelota” contro la Modernità» la quale, prima di tutto e soprattutto, consiste «in un assetto istituzionale basato sul governo della legge , l’autonomia della società civile, la secolarizzazione e la libertà dei cittadini: tutte cose che il comunismo ha energicamente avversato e metodicamente distrutto con un radicalismo rivoluzionario persino superiore a quello del totalitarismo nazista, creato da colui che Furet ha definito il “fratello tardivo di Lenin”».
L’universo concentrazionario, in breve, è, ad avviso di Pellicani, il frutto maturo di quell’ergastolo mentale generato dalla presunzione fatale di essere in possesso delle chiavi della società perfetta. In conclusione, Pellicani – i cui studi sul fenomeno rivoluzionario moderno sono internazionalmente noti – offre delle solide ragioni perché non sia benedetta l’autoassoluzione di quanti persistono nel chiudere gli occhi davanti alle premesse degli orrori di quell'”Impresa satanica” che è stato il totalitarismo comunista.

Luciano Pellicani

Rivoluzione e totalitarismo
Marco Editore
Pagine 232. Euro 20,00


da Avvenire, 31-7-2004