Testamento biologico: scorciatoia astuta e rapida all’eutanasia

UN TESTAMENTO MORTALE


Si chiama “living will“, e serve al cittadino per decidere quali cure vorrà ricevere in caso di malattia. Sembra innocuo, ma è il “cavallo di Troia” della compagnia della buona morte. Un modo per legalizzare l’eutanasia, senza chiamarla con il suo vero nome.


di Mario Palmaro


 

«Dobbiamo fare presto a ottenere l’eutanasia: altrimenti, c’è il rischio che Piergiorgio Welby muoia prima». La sconcertante affermazione è stata pronunciata durante un convegno trasmesso dalle frequenze di Radio Radicale, l’emittente della lista Pannella che propugna 24 ore su 24 l’aborto, l’eutanasia, i bambini in provetta come conquiste di civiltà. Finanziandosi – lo ricordiamo – con i 30 milioni di euro che le sono generosamente offerti dallo Stato italiano.
Dunque – spiegano i profeti della dissoluzione – vogliamo l’eutanasia per salvare la gente dalla morte. Tutto è lecito, per questa missione di “salvataggio”. Anche una scorciatoia, astuta e rapida. Ed ecco allora divampare nel nostro Paese la discussione sul cosiddetto “testamento biologico”. Lo chiamano anche testamento di vita, o direttive anticipate, o “living will“. Nomi diversi che si riferiscono a un unico oggetto misterioso, di cui sempre più spesso parlano Tv e giornali. È l’ultimo ritrovato della società che ha terrore di parlare della morte, e che vuole fuggire attraverso l’uscita di sicurezza dell’omicidio pietoso.


DI CHE COSA SI TRATTA
Il testamento di vita è un documento scritto (spesso un modulo firmato) attraverso il quale una persona rende esplicita la propria volontà circa i trattamenti e le cure che desidera le vengano (o non le vengano) assicurati. L’estensore del documento si riferisce a una situazione futura, magari soltanto immaginata, in cui il soggetto dovesse perdere la coscienza a causa di una malattia o di un evento traumatico. In pratica, si mettono nero su bianco delle intenzioni quando ancora si è in grado di farlo, chiedendo che quanto espresso produca i suoi effetti in un momento successivo, trascorsi giorni, o mesi o anche anni dalla data del “testamento” stesso.


L’ORIGINE STORICA
Non è un caso che si faccia ricorso al termine “testamento“. Esso sottolinea l’idea che le persone possano disporre non soltanto dei propri beni patrimoniali (“lascio la mia abitazione al mio caro nipote”…) ma anche del bene della vita, “cedendolo” di fronte allo sgradito sopravanzare di una malattia degenerativa o di un trauma da incidente grave. Così facendo si riduce la vita a una “proprietà personale”, in contrasto con l’idea classica, già nota al pagano Ippocrate (460-377 a.C.), in base alla quale la vita è un bene indisponibile, cui nessuno può rinunciare. Non solo: si parla di testamento perché il living will non è affatto il frutto di una sofferta riflessione morale della società moderna, ma più prosaicamente è una tipica invenzione medico legale di qualche avvocato anglosassone molto furbo. L’effetto principale del testamento di vita consiste infatti nel mettere al riparo i medici dal pericolo di azioni giudiziarie in sede civile da parte dei parenti insoddisfatti per un trattamento medico in fase cronica o terminale. Con questo “trucco” legale, infatti, il medico si libera della responsabilità e scarica ogni decisione sulla volontà del paziente. È lui che sceglie, è a lui che rimane in mano il “cerino” della libertà. Così, le assicurazioni degli ospedali e delle aziende sanitarie che tutelano l’operato dei medici possono finalmente stare più tranquille.


UN MONUMENTO ALL’AUTODETERMINAZIONE
Il living will è un monumento macabro alla libera volontà del paziente. Con esso si crea l’illusione che il malato diventi finalmente protagonista della sua vita, e che possa decidere senza “subire” le presunte angherie della medicina moderna. In realtà, egli viene caricato di un potere enorme, che lo obbliga a immaginare come si sentirà e che cosa penserà in una situazione immaginata e sconosciuta. In sostanza, gli si domanda: che cosa vorresti dal medico, se domani ti trovassi attaccato a un respiratore, o inchiodato a un letto nel reparto di rianimazione? Facile immaginare la paura e l’orrore che attanagliano tutti di fronte a un simile scenario, e la conseguente “volontà condizionata” con la quale si risponde a un simile quesito.


LA MUTAZIONE DELLA NATURA DELL’ATTO MEDICO
Le indicazioni fornite dal paziente nel living will sono da ritenersi vincolanti. Se così non fosse, il testamento avrebbe un valore meramente esortativo e, giuridicamente parlando, sostanzialmente insignificante. Questo vuol dire che, a causa del testamento di vita, il medico subisce una clamorosa riduzione delle sue facoltà di valutazione. Egli, infatti, dovrebbe poter agire sempre “in scienza e coscienza”, applicando rigorosi criteri deontologici che fanno dell’arte medica, un’attività per l’uomo e per la vita. Sta al medico valutare se in quel particolare caso clinico una certa terapia è proporzionata o sproporzionata, tenendo però sempre come bussola morale obiettiva il fatto che il medico stesso non può mai volere – né con azioni né con omissioni – la morte del paziente. Il living will, invece, sottintende l’idea che l’atto medico “giusto” non è definibile in senso oggettivo, ma in relazione alla richiesta del paziente-cliente. Si passa così dalla medicina ippocratica (c’è una verità sull’uomo e dunque sull’atto medico) a una “medicina dei desideri” (il medico fa quello che il paziente-consumatore gli chiede, senza giudicare se è bene o male in senso obiettivo).


IL LIMITE INTRINSECO DEL TESTAMENTO: O PERICOLOSO, O INUTILE, O DANNOSO
Non si può dire che in sé stesso il living will coincida con l’eutanasia, o che sia un “male in sé”. Tuttavia, chi lo giudicasse con indulgenza – come ad esempio ha fatto il Comitato Nazionale per la Bioetica – commetterebbe un imperdonabile errore. Infatti, andando all’essenziale, sono possibili soltanto tre ipotesi concrete nell’uso di questo strumento:
a) La prima, la più pessimista: il paziente chiede qualche cosa in un certo momento, ma poi, quando precipita nello stato di incoscienza, cambia idea. Poiché però non può più farsi intendere, nessuno può ascoltarlo. E il medico fa esattamente il contrario di ciò che il paziente in quel momento preciso vorrebbe.
b) La seconda, la più ottimistica: nel living will il paziente chiede al medico di astenersi dal compiere atti che sconfinino nell’accanimento terapeutico. In questo caso, il testamento di vita è del tutto inutile, perché chiede al medico di fare il buon medico. Chiede cioè di agire in modo corretto, conforme alla deontologia e alla legge. Ma questa richiesta è assurda, perché vorrebbe dire che i medici, se i pazienti non glielo chiedono prima, sono abituati ad accanirsi sui malati con trattamenti inutili e sproporzionati. Senza dimenticare che la stessa categoria dell’accanimento terapeutico è in sé ambigua e per molti versi discutibile.
c) La terza, la più realistica: nel living will il paziente chiede al medico di astenersi da atti che sono in sé doverosi – come ad esempio alimentazione e idratazione, e ogni altra cura o terapia ordinaria e proporzionata alle condizioni del paziente – allo scopo palese di accelerare la morte. Si tratta di una vera e propria richiesta di eutanasia. Aggravata dal fatto che non la si chiama con il suo nome, ma la si traveste da “volontà esplicita anticipata del paziente”. In questo modo l’eutanasia verrebbe legalizzata surrettiziamente, nella generale indifferenza dell’opinione pubblica.


CHI VUOLE IL TESTAMENTO? OVVERO, IL SOLITO CAVALLO DI TROIA
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla malizia del testamento di vita, consigliamo di fare una semplice riflessione: e cioè, di guardare bene in faccia chi sono coloro che si battono per la legalizzazione del living will. Ci si accorgerà allora che la gran parte di questi “difensori della volontà del paziente” sono espliciti sostenitori dell’eutanasia legale. Ben rappresentati da quell’Umberto Veronesi che, candidamente, ha ammesso che il testamento di vita è almeno un primo passo verso l’eutanasia. Ragione più che sufficiente per rispedire senza alcun indugio il living will al suo astuto mittente.



Il Timone, Anno IX, Gennaio 2007, n.59, p.10-11