Terroristi fanatici ma non disperati

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L’attentato di Mosca ripropone la domanda sul terrorismo suicida: come è possibile che qualcuno davvero – secondo lo slogan di Osama bin Laden – «ami la morte come voi Occidentali amate la vita»?

Si dice che questo terrorismo nasce dalla miseria economica: ma non è vero. Per quanto riguarda Hamas, «nessuno degli attentatori suicidi (intervistati nella fase di addestramento dal ricercatore pakistano Nasra Hasan) – in una gamma di età dai diciotto ai trentotto anni – corrispondeva al profilo tipico della personalità suicida. Nessuno di essi era senza istruzione, disperatamente povero, semplice di mente o depresso. La maggioranza apparteneva alla classe media e – a meno che si trattasse di latitanti – aveva un buon lavoro. Più di metà veniva da quello che ora è Israele. Due erano figli di milionari. Tutti sembravano membri assolutamente normali delle loro famiglie. Erano bene educati e seri, e nelle loro comunità erano considerati giovani modello». La maggioranza dei candidati al suicidio palestinesi – come ho potuto personalmente constatare in una ricerca compiuta in Palestina nel 1999 – appartiene alla buona borghesia dei Territori, e alcuni fanno parte della élite economica locale. Lo stesso discorso vale per Al Qaida e per l’11 settembre, i cui principali protagonisti avevano ricevuto un’educazione universitaria in Occidente.



Per la Cecenia – dove la maggior parte degli attentati suicidi è compiuta da donne –, una certa propaganda russa diffonde lo stereotipo di contadine manipolate, drogate o perfino violentate di fronte a una macchina da presa per eliminarle dal mercato matrimoniale di una società patriarcale e lasciare loro la sola alternativa del suicidio. Questa «spiegazione» appare lontana da tutto quanto si sa del terrorismo suicida in genere, e non corrisponde alle poche biografie di «martiri» cecene note. Lo stereotipo della contadina manipolata non è certamente applicabile a Zarina Alikhanova (1976-2003), la terrorista suicida dell’attentato del 12 maggio 2003 a Znamenskoye, uno dei più sanguinosi (sessanta morti). Nata in Kazakhistan da padre ceceno, funzionario del ministero degli Interni, e madre dell’Inguscezia, proprietaria di magazzini commerciali, Zarina è una studentessa modello in una elitaria scuola tedesca. La sua passione è il balletto, e una rapida carriera al Teatro dell’Opera di Alma Ata culmina nell’interpretazione in una produzione del Romeo e Giulietta di Sergey Prokofiev.



Tramite parenti di Grozny, entra in contatto con la guerriglia cecena, ne sposa un dirigente e – dopo la morte del marito nel 1999 – passa, con altre «vedove nere», al terrorismo. Zarina Alikhanova assomiglia molto agli esponenti della borghesia palestinese o araba che troviamo in Hamas o in Al Qaida, e molto poco allo stereotipo della contadina disperata. L’idea secondo cui le cause del terrorismo suicida sono prevalentemente economiche è semplicemente un’ulteriore manifestazione – smentita però dai fatti – del pregiudizio secondo cui i fenomeni che si presentano come religiosi non sono «veramente» tali, ma devono per forza avere cause di tutt’altra natura. Ignorare la profondità del fattore religioso, che porta a considerare certi obiettivi come non negoziabili aldilà di ogni logica «politica», può essere per Putin un buon argomento di propaganda, ma non contribuisce alla lotta contro il terrorismo.



di Massimo Introvigne


© il Giornale, 8 febbraio 2004