Stalinismo: fu vero comunismo

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Non fu una deviazione, né un tradimento. Stalin dette vita a un sistema ideologico-politico coerentemente maxista-leninista. E in Italia, Paese che Stalin voleva invadere, Togliatti guardò sempre a lui come a un punti di riferimento obbligato.

Lo stalinismo è la concezione ideologico-pratica del marxismo in Occidente che tenne unita la maggioranza del gruppo storico dirigente del Partito comunista italiano. Ebbe natura complessa e articolata.


Ha avuto il suo cultore ed esecutore di maggiore spicco in Palmiro Togliatti, che modellò sulle sue convinzioni organizzative e culturali il partito italiano come avanguardia e sentinella del partito bolscevico dell’Unione Sovietica. Questa natura si fondò innanzi tutto nella smisurata potenza accumulata dal dittatore georgiano, che ebbe il suo culmine nel Terrore fisico negli anni ‘30-38 del secolo scorso con i processi che sterminarono l’intera opposizione antistalinista e realizzarono un regime di violenza sistematica antireligiosa. Il suo carattere totalizzante non si accontentò delle esecuzioni capitali di massa con una media di mille soppressioni fisiche al giorno per “attività antisovietiche” e tre milioni di detenuti in “campi correzionali di lavoro”. Queste tragiche misure avevano per lo stalinismo una peculiare funzione economica: fornire una massa di lavoro non pagato per l’esecuzione di mastodontiche opere strutturali di comunicazione e minerarie, sicché il loro costo economico fu solo soprattutto quello derivante dalla detenzione e morte e dal mantenimento di una polizia specializzata nella repressione. Altre componenti organiche di questo sistema furono l’uso della fame e di carestie appositamente programmate per controllare e realizzare il calo sistematico della popolazione che, infatti, diminuì di dieci milioni tra il 1932 e il 1939, cioè dopo la collettivizzazione nelle campagne e la distruzione della media proprietà agraria dei cosiddetti kulaki. Ad essi si aggiunga lo sradicamento materiale e culturale di intere nazioni come quelle dei tatari di Crimea, dei cabardino-balcari, dei tedeschi del Volga.


Nativo dell’Ossezia, una regione a sud della Georgia, Stalin fu uno dei più grandi “russificatori” dell’immenso impero sovietico che andava dalla Moldavia all’Azerbaigian, ai margini della Mongolia. In quanto primo commissario del popolo alle nazionalità, egli fu fautore e creatore della Regione autonoma ebrea, collocata nel Nord inospitale del paese, nel Borobidjan: ma nello stesso tempo programmatore d’un secondo Olocausto di quattro milioni di vittime.


Fu un sistematico nemico della religione cattolica e individuò nel Vaticano la “centrale capitalistica antisovietica”. Nel febbraio del 1922, decretò l’annientamento pratico della Chiesa greco-cattolica ucraina, “unita” alla Chiesa di Roma, concentrata soprattutto nel sud e nella Polonia annessa dopo il patto russo-tedesco del 1939. Tentò invece di integrare la Chiesa ortodossa nel sistema statale tenendola sotto ferreo controllo, emarginandola sistematicamente dalla vita sociale, senza peraltro escluderla dal massacro e dalle persecuzioni. Soltanto nel 1922 vennero fucilati cento tra preti e monaci, oltre allo stesso cosmopolita Veniamin di Pietrogrado. Una lettera collettiva di protesta e denunzia dei vescovi reclusi nelle isole Solovki venne clamorosamente resa nota nel 1926.


Lo stalinismo si caratterizzò per una particolare e vasta diffusione e promozione mondiale della cultura marxista riveduta e selezionata, purgata da ogni accenno all’autonomia operaia ed alla democrazia della sua rappresentanza.


Di cultura poco più che mediocre derivatagli dalla frequentazione per alcuni anni del seminario ortodosso di Tiflis, Stalin ostentò d’essere il custode universale della teoria di Carlo Marx e del settecentesco “secolo dei lumi”, cimentandosi personalmente in contributi a largo raggio, dalla storiografia alla linguistica, alla genetica.


La famosa concezione secondo la quale lo stalinismo sarebbe stato rispettoso degli accordi di Yalta, cioè degli accordi di spartizione consensuale del mondo fra gli Alleati vincitori della seconda guerra mondiale, è un’interessata menzogna. Stalin alimentò, anche con la sua vastissima rete di spionaggio, un dettagliato piano d’invasione dell’Italia, penetrando da Gorizia, dilagando in meno di quarantott’ore per tutta la pianura padana, mentre sull’Appennino tosco-emiliano era attestato l’esercito clandestino del Pci, pronto ad aprire le porte del resto d’Italia. Recenti verbali di provenienza dell’Archivio di Matyas Rakosy, il repressore della rivolta ungherese del 1956, informano che, il 9 gennaio 1951, si svolse a Mosca un “vertice cruciale” che durò tre giorni e tre notti per aggiornare il piano d’invasione. Stalin vi partecipò personalmente assieme ai marescialli Rokosovskij e Vailevski e al generale Stemenko. La condotta staliniana nei confronti dell’Italia fu sempre attentamente considerata e calibrata sui rapporti di forza militare esistenti nel nostro Paese. L’attacco non fu mai accantonato e venne sempre sostenuto con l’espansionismo politico dell’Urss e dei paesi dell’Est. La concezione stalinista, con l’aggiunta della teoria della “sovranità limitata” di Breznev, dominò l’intero mondo comunista fino al 1991 con l’epoca di Michail Gorbaciov, costretto a dimettersi nel dicembre dello stesso anno. Finora nei regimi ex sovietici, nessuna persona è stata processata come responsabile dei crimini di natura stalinista.


In Italia, di recente, il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, ha dichiarato: «Stalin non e nostro padre». Pietro Ingrao, già leader della corrente di sinistra democratica dell’ex Pci, ha ammesso nel maggio di quest’anno: «non ho saputo rompere in tempo con lo stalinismo e ora l’età mi restituisce il peso del più grande errore della mia vita».


Bibliografia


Si devono alla storiografia di scuola democratica anglo-americana le più informate ricostruzioni e analisi dello stalinismo e dei suoi metodi planetari, compresa la sua disfatta. Fra la vastissima bibliografia tradotta in italiano, segnalo:


Richard Pipes, La rivoluzione russa, Mondadori, 1994.
Robert Conquest, Il secolo delle idee assassine, Mondadori, 2001.
Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno, Mondadori, 1992.
Milovan Gilas, Conversazioni con Stalin, Feltrinelli, 1978.
Mandelstam Nadezda, L’epoca e i lupi. Memorie, Mondadori, 1971,
Roy Medvedev, Lo stalinismo, Mondadori, 1972.
Aleksandr Solženlcyn, Arcipelago Gulag. 1918-1956, 3 voll., Mondadon, 1999.


di Massimo Caparra © il Timone n. 35, luglio/agosto 2004