Ruini e i Teo-Marxisti

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Perché don Camillo non scomunica i teo-con ma i teo-marxisti


La caduta del muro avrebbe dovuto, dice Ruini, mettere in crisi anche “quelle posizioni teologiche, culturali e pastorali che all’interno della Chiesa si ispiravano al marxismo”. Ma qui “si é registrata una particolare fatica e lentezza a prendere coscienza del significato e della portata degli eventi del 1989″…


di Giuliano Ferrara

Roma. Nella prolusione al VI Forum degli intellettuali cattolici, il cardinale Camillo Ruini che è stato l’ideatore di questi appuntamenti, ha fornito una risposta ai temi della guerra culturale che si sta sviluppando, in seguito al trauma dell’11 settembre. “Il trauma provocato da un terrorismo che si richiama a un’altra religione, per quanto in maniera impropria e illegittima, ha detto il presidente della Cei, ha stimolato, se non altro per reazione, un risveglio religioso identitario nelle nazioni di matrice storica e culturale cristiana, tra cui l’Italia, sia a livello di popolo sia in una parte significativa della “cultura laica”. Sulla reazione che tali posizioni (come quelle assunte dal presidente del Senato Marcello Pera e dal nostro giornale) hanno provocato nella cultura cattolica, il giudizio di Ruini è piuttosto articolato: “All’interno della Chiesa e della ‘cultura cattolica’, di fronte a questa forma di riscoperta dell’identità cristiana si registrano sensibilità e valutazioni differenziate: è frequente la denuncia dei rischi, certamente reali, che essa venga strumentalizzata e porti a uno snaturamento della fede autentica, a una sua riduzione a ideologia. Non sempre, pertanto, vengono percepite le opportunità che essa offre e le sfide che essa implica, sia culturali sia propriamente pastorali, e in ultima analisi a livello di fede vissuta”.


La sua conclusione, però, è piuttosto netta. Ricordando, contro chi, anche fra i cattolici, tende a ridurre la fede a esperienza personale che “la fede cristiana stessa, fin dalle sue origini, si rivolge certamente anzitutto al cuore e alla coscienza dell’uomo, ma ha anche una ineliminabile dimensione pubblica”, ne deduce che “l’atteggiamento più congeniale all’indole e alla missione del cristianesimo, oltre che meglio conforme alle necessità attuali dell’Italia, come dell’Europa e dell’intero occidente, sembra piuttosto quello di rispondere positivamente alle richieste, implicite nel risveglio identitario”. L’idea centrale è che “la fede cristiana possa alimentare, in un’ottica non confessionale, ossia pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e Stato, una visione della vita e alcuni fondamentali valori etici che forniscano la base dell’identità delle nostre nazioni: si ha così, tendenzialmente, il superamento della fase storica del laicismo e del secolarismo. In questo contesto, anche per la cultura cattolica l’idea della ‘laicità’ appare da sola del tutto inadeguata alla nuova congiuntura storica”. In un’altra relazione introduttiva del dibattito dei 150 intellettuali cattolici presenti al Forum, il francese Remy Brague avava parlato dei cosiddetti “cristianisti”, di coloro cioè che, pur non credendo alla divinità di Gesù Cristo, credono però al valore culturale del cristianesimo, e li aveva definiti “alleati”, invitando i cristiani ad essere contenti che queste persone esistano. Se si tiene presente che, precedentemente, i settori che si autodefiniscono “cattolici democratici” avevano denunciato invece queste posizioni come indice di “clericofascismo”, si vede come la posizione del cardinale vicario di Roma, pur nella sua ricerca di equilibrio, sia piuttosto netta.


Anche Repubblica, dando conto del suo discorso, notava come l’indicazione dei rischi di strumentalità fosse sostanzialmente superata dall’esplicito invito a “rispondere positivamente”. La chiave di questa riflessione, forse, si trova in un altro passo della prolusione, per lo più sfuggito ai commentatori. Ruini ricorda, in un excursus storico, come “il marxismo, che negli anni Settanta era sembrato conquistare in molti paesi, tra cui l’Italia, una specie di egemonia, per poi indebolirsi nel decennio successivo, dopo l’89 si è quasi dissolto: è stato questo l’aspetto più rilevante di quel complesso fenomeno che va sotto il nome di fine delle ideologie”. La caduta del muro avrebbe dovuto, dice Ruini, mettere in crisi anche “quelle posizioni teologiche, culturali e pastorali che all’interno della Chiesa si ispiravano al marxismo”. Ma qui “si è registrata una particolare fatica e lentezza a prendere coscienza del significato e della portata degli eventi del 1989”, e forse la pretestuosa polemica con il “clericofascismo” viene da lì.


Il Foglio (7/12/04)