Ratzinger e il relativismo culturale…

Ratzinger in parrocchia a tutto campo

Il Cardinale spiega l’educazione, il male, le illusioni europee e la pretesa cristiana…

Santa Giustina (Belluno). “Eminenza, eminenza” lo chiama il professore del liceo alle prese coi suoi studenti svogliati. “Eminenza, eminenza” si sbraccia la direttrice del carcere. “Eminenza eminenza” lo interroga il sacerdote che lo ha accompagnato in automobile. Se l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra aveva scelto l’oratorio per liberarsi del nichilismo postmoderno, il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, elegge la parrocchia di Santa Giustina per mettere in guardia dal relativismo culturale. Relativismo che poi non è solo affare di colti opinionisti “perché è quello dei luoghi comuni che passano attraverso la tv o nei nostri discorsi sui posti di lavoro”, dice il giornalista Antonio Socci cui il cardinale ha affidato l’introduzione del dibattito. “Ormai – osserva Socci – si pensa che tutte le religioni si equivalgano perché tutte porterebbero allo stesso dio. Ma nel cristianesimo non è l’uomo a immaginarsi Dio, ma Dio a farsi carne e ad entrare in relazione con noi”. E riferendosi alle recenti discussioni in materia di bioetica ha chiesto: “La verità è costituita dalle decisioni della maggioranza? Non c’è forse un criterio di giustizia più grande?”.
Per rispondere agli spunti di Socci e alle domande dei parrocchiani, sabato 16 ottobre l’occasione è offerta dalla presentazione del libro del cardinale “Fede, verità, tolleranza”, ma, come dice lo stesso Prefetto, “non mi sono preparato per una introduzione, a questa ha già pensato in modo egregio il dottor Socci. Quindi farò solo un paio di annotazioni, poi sarei felice di entrare in dialogo con voi”. E nel paio di annotazioni Ratzinger include le seguenti osservazioni: “Fino al 1989 il problema era la relazione fra fede e politica, oggi, cadute le ideologie, la sfida più grande ci è imposta dal relativismo e dallo scetticismo”; “il cristianesimo non è frutto di una interiorizzazione, ma è un incontro con uno che viene e ci trova, si tratta di un avvenimento che chiede di essere comunicato”; “è bello l’impegno sociale dei cattolici, ma stiamo attenti a non perdere l’anima”; “oggi le questioni fondamentali dell’esistenza (la nascita, la vita, la morte, l’aldilà) sono lasciate a una soggettività superba che non ammette la possibilità di una verità”; “invece la verità esiste perché Dio non ci ha lasciati soli”.
C’è qualcosa di strano nel fatto che il cardinale, solitamente così riservato e parco nei suoi incontri pubblici, sia qui, in un paesino a venti chilometri da Belluno, ospite di un giovane centro culturale intitolato a papa Luciani. C’è qualcosa di insolito nel fatto che il professore del paese racconti al cardinale i suoi problemi coi ragazzi “che già nei primi giorni di scuola sembrano così svogliati, così vuoti, eminenza. Eminenza, per lei cosa significa educare?”. C’è qualcosa di bizzarro, eppure sembra tutto così normale per chi consideri la Chiesa come qualcosa di più che non un ufficio per l’emanazione di precetti di buona creanza. “L’educazione – risponde Ratzinger – è l’arte più complessa e più importante perché è l’arte di guidare l’uomo alla scoperta della sua libertà. Non si può ridurre a comunicazione intellettuale ma occorre mettere in gioco l’affetto per chi ci sta innanzi. Il vero maestro conduce l’allievo a liberarsi dai preconcetti per aprirsi alla verità”.
“Eminenza – lo chiama il direttore del centro culturale – prima, mentre la accompagnavo qui in macchina, mi ha detto che ‘l’Europa non si vuole bene’. Non ho capito, eminenza, che cosa intendesse”. Ratzinger allora descrive il senso di colpevolezza che il Vecchio continente si porta addosso, del fatto che tenda ad incolpare dei suoi errori il cristianesimo, dell’illusione che, tagliando le proprie radici, si avrà finalmente un futuro di pace e prosperità. “Invece – dice – il tentativo della cultura laica e illuminista di rinnegare la nostra storia non conduce ad altro che all’autodistruzione della nostra identità. La storia dell’Europa non sarà mai una storia senza peccati, ma sarà sempre una storia costruita sulle radici cristiane”.
“Eminenza, eminenza”, si alzano altre mani fra i parrocchiani. C’è spazio anche per questioni più ardue: “Eminenza, sono uno studioso di filosofia: che rapporto c’è fra Dio e il male?”. Sorride e risponde: “Il male esiste solo se erode il bene. Dio non ha creato il male, che non esiste in sé ma in quanto negazione dell’essere”.
Come a scuola, non solo quelli delle prime file si sono persi. “Eminenza, sono la direttrice del carcere locale. Lavoro con i galeotti, guardi che il male esiste”. Riprende il filo del discorso: “Parlare del male come non essere non significa che non è niente perché la negazione, come lei testimonia, esiste eccome”.  Usa un esempio: “È come un cancro. Non fa parte dell’organismo, dell’essere, ma esiste in sua contrapposizione, esiste in quanto negazione, come forza distruttrice, come anticreatura”.
La libertà ha bisogno della religiosità. Tocca al pensionato: “Eminenza, che dobbiamo fare con quelli che ci vogliono togliere il crocifisso in nome della tolleranza?”. “E’ evidente che la fede suppone la tolleranza, perché la fede può nascere solo da un sì libero. Ma chi invoca la soppressione dei simboli religiosi, è lui l’intollerante”.
Eminenza, e i fatti di oggi, e Buttiglione, e gli intellettuali laici curiosi delle ragioni della fede? Cita Toqueville: “‘Il dispotismo non ha bisogno della religione, la libertà, sì’. Mi sembra che, in questo momento, in cui la libertà è così gravemente minacciata, anche da parte di alcuni laici si è compreso che la democrazia non è semplicemente garantita dalla costituzione, dalle regole e dalle strutture politiche, ma che tali strutture funzionano solo se sono sostenute da un fondamento religioso, anche non necessariamente cattolico”. Sono passate due ore. “Ci sono altre domande?” chiede il moderatore dell’incontro. “Eminenza, eminenza”. (eb)


Il Foglio 19 ott. 04