Poveri figli onnipotenti

di Rodolfo Casadei (Tempi)


Privati dell’identità di genere, incapaci di libertà, schiavi dei propri bisogni narcisistici:

sono i figli senza padre come quello della coppia di lesbiche pubblicizzata dal corriere della sera. cosa succede quando si disconosce
l’ordine simbolico? parla Claudio Risé

“Non è una notizia dell’ultima ora. Ci sono già centinaia di donne in Italia che hanno creato situazioni di questo tipo. C’è un’organizzazione di famiglie parallela che funziona tranquillamente, e un sito internet, ‘mennotincluded’ (uomininoncompresi) che soddisfa da tempo queste richieste”. Claudio Risé non mostra nessuno stupore quando gli si parla della storia di Tina e Terry, le due lesbiche della provincia di Bergamo che hanno avuto un figlio ricorrendo all’inseminazione artificiale (in Belgio) e a cui il Corriere della Sera ha concesso l’onore di un articolo con richiamo in prima pagina. Da psicanalista che da sedici anni si occupa di psicologia del maschile e di psicopatologie derivanti dalla crisi della figura paterna, è molto aggiornato sulle realtà culturali che riguardano questi temi. Domandare lumi su questo caso di eliminazione fisica della figura paterna e su ciò che essa sottintende all’autore di libri come “Il padre l’assente inaccettabile” e
“Il mestiere di padre” (San Paolo Editore) è quasi un obbligo.


Professor Risé, come vede il futuro di Michele, figlio di Terry compagna di Tina?

Auguro a Michele tutta la felicità possibile, ed un futuro pieno di gioia. A voi di Tempi dico, però, che la casistica che abbiamo è preoccupante. Questo genere di ‘nuove famiglie’ esiste già da tempo, possiamo parlare di un’ampia sperimentazione da cui abbiamo tratto molte conoscenze. Questi casi hanno cominciato a prodursi, con ritmo crescente, nei paesi anglosassoni e del Nordeuropa alcuni decenni fa, e oggi noi sappiamo che il bambino, privato dell’avere due genitori di sesso diverso, risente di una serie di problemi. In modo particolare il maschio che nasce in una coppia di donne ha forti problemi di identità. Robert Bly, psicologo americano, ha raccontato in un famoso libro il sogno di un giovane che era cresciuto all’interno di una coppia di lesbiche e non aveva mai conosciuto il proprio padre. Il ragazzo aveva sognato di essere in un branco di lupe che correvano nella notte; esse arrivano a un fiume, si chinano verso l’acqua per bere, e l’acqua rimanda la loro immagine; il giovane fa la stessa cosa, si china sull’acqua per bere, ma l’acqua non gli rimanda nessuna immagine. è un sogno assolutamente trasparente. Crescendo in un branco di lupe, il giovane lupo non riconosce la sua identità specifica, perché non ha avuto un padre che gli abbia trasmesso la propria maschilità: l’identità di genere non si è potuta formare. Questo è uno dei fenomeni più ricorrenti, che risultano anche dai casi che ho visto in psicoterapia.

Una psicologa ha affermato che in quella coppia tutto andrà per il meglio se una delle due donne deciderà di ‘fare il papà’. è realizzabile a livello psichico una cosa del genere?

Naturalmente no, perché il papà è un individuo di genere maschile che porta nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Questi discorsi dimenticano che la realtà dell’uomo non è solo un aggregato di cellule viventi, ma rientra – e questo la psiche ce lo ricorda continuamente – all’interno di un ordine simbolico a cui la personalità guarda costantemente per potersi sviluppare, per manifestare un’affettività equilibrata, una capacità progettuale, ecc. Il padre è un individuo di genere maschile che rimanda alla simbolica del maschile e del paterno, che continuamente alimenta le intuizioni ed i gesti affettivi verso i figli. Questo sapere simbolico e antropologico naturalmente una donna non può averlo, perché è una donna e non un maschio, così come un maschio non può avere il sapere simbolico antropologico materno perché non è una donna.

C’è un nesso fra le psicopatologie che lei tratta e questa crisi dell’ordine simbolico, della figura paterna nel mondo contemporaneo?

La negazione dell’ordine simbolico, a cui corrisponde quello della natura, è l’origine centrale della psicopatologia contemporanea. Le nevrosi moderne sono il prodotto del tentativo dell’uomo di rendersi in qualche modo misura di tutte le cose, prescindendo da un ordine simbolico di cui il singolo individuo oggi non ha più sentito neppur parlare, perché è stato negato da tutto il processo di secolarizzazione e dalla cultura dominante, relativista e materialista, da esso prodotto. Questa privazione di un ordine simbolico cui riferirsi illude l’uomo di poter realizzare senza ostacoli i propri bisogni narcisistici, e i propri sogni di onnipotenza, categoria in cui mi pare ricadano questi figli più o meno fabbricati.

La relativizzazione o addirittura l’abolizione del padre sono state giustificate nel nome della libertà. Meno padre, più libertà. L’esperienza clinica conferma o smentisce questa posizione?

La smentisce totalmente. I figli senza padre, di cui quelli fabbricati da coppie di donne sono solo l’ultimo esempio, soffrono di una profonda mancanza di libertà. Oggi il principale problema delle nuove generazioni è quello di non saper riconoscere i propri desideri, di non poterli distinguere dai bisogni narcisistici. Ciò avviene perché il desiderio nasce dalla libertà, che loro non hanno raggiunto, perché chi dà la libertà è appunto il padre. I due codici, quello simbolico paterno e quello simbolico materno, sono fortemente diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che amorosamente separa il figlio dalla madre e quindi ne costruisce la libertà, gli dà la libertà del soggetto umano, accompagnandolo con proposte di visione del mondo e di stile di vita. è il padre che intervenendo nel rapporto educativo con il figlio e proponendo una visione del mondo, offre al figlio la libertà di accettarla o di rifiutarla, e in questa contrapposizione costruisce – spesso sul sacrificio parziale della sua relazione affettiva col figlio – la possibilità del figlio di essere un uomo libero.

Se la crisi della figura paterna è così dannosa sia a livello di equilibrio personale che per le sue conseguenze sociali – le statistiche parlano di patologie sociali legate all’indebolimento della famiglia – chi ci guadagna dall’abolizione della figura del padre?

Ci guadagna il modello culturale dominante, che è relativista e materialista. è un modello effettivamente antipaterno, perché è fondato sulla soddisfazione del bisogno attraverso il consumo, e quindi sulla negazione di qualsiasi visione del mondo dotata anche di contenuti trascendenti rispetto al bisogno, anche narcisistico, e al consumo. Il padre oggi è una figura deviante (‘il vero avventuriero’, come ricorda Charles Peguy) rispetto a questo modello che si gioca tutto sul piano orizzontale, e non lascia nessuna apertura verticale, verso il piano della trascendenza, della ricerca e dell’incontro con Dio, che è tipicamente il piano paterno. è il piano in cui il padre mette il figlio e la figlia. Però la società secolarizzata non apprezza, anzi è fortemente disturbata da questa dimensione verticale, perché è una dimensione fondamentalmente non materialista, anticonsumista, e, appunto, di libertà, di persone difficilmente condizionabili da poteri forti.

In questo panorama di eclissi del padre, poi, arrivano eventi come l’agonia e il funerale del Papa, il padre per definizione, con milioni di persone che accorrono. Come si combinano le due cose?

Sono due eventi perfettamente omogenei, anzi, è lo stesso evento: l’eclisse del padre causa nelle persone umane una grande nostalgia. Per cui nel momento in cui un grande padre come è stato Giovanni Paolo II, o come è stato don Luigi Giussani, muore, si produce una grande emozione collettiva, proprio perché l’inconscio non solo personale, ma collettivo, è perfettamente consapevole dell’insostituibilità della figura paterna.

Ma infine, è la società che sta distruggendo il padre o sono i padri che stanno distruggendo se stessi?

Questa società, e il modello antropologico che la regge, è stata costruita sopratutto dagli uomini, di solito anche padri. Nei miei libri racconto il processo attraverso cui questo modello di cultura e di produzione sociale si è sviluppato. Di esso portano grandi responsabilità i padri, che nell’Ottocento e nel primo Novecento hanno dimissionato dalla loro funzione educativa scegliendo l’affermazione economico-sociale. Questa rinuncia alla paternità è continuata nel Novecento in modi più complessi, essenzialmente attraverso l’adesione dei padri ai modelli dei grandi totalitarismi, che di nuovo li sostituivano sostanzialmente, perché la funzione educativa veniva delegata allo Stato totalitario, comunista o nazionalsocialista. Questa abdicazione è continuata nella società dei consumi, dove di nuovo i padri hanno scelto la carriera, e l’immagine, al posto dell’educazione dei figli. Negli ultimi anni però è iniziato un vasto movimento di revisione e ripensamento maschile e paterno, in cui questi errori sono stati individuati e tendono ad essere corretti. Anche se troppo lentamente rispetto alla vastità dei danni prodotti.

Da Tempi num. 17 del 21 aprile 2005

http://www.tempi.it/notizia_dett.aspx?idnews=13