Parlamentari, tragedie e politica da avanspettacolo

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Gli onorevoli snobbano l’agente morto

Solo 120 parlamentari al dibattito sugli scontri. E hanno anche la faccia di commuoversi in tv.
Il caso Catania è l’ultima goccia: questa politica è diventata intollerabile.


di ANTONIO SOCCI

Provate ad accostare queste due notizie. Un Ispettore Capo come Filippo Raciti viene mandato dallo Stato a farsi massacrare per 1.200 euro al mese (questo era il suo stipendio con 20 anni di carriera). Un normale agente rischia la vita per circa mille euro. Nel caso in cui vengano ammazzati le famiglie restano con una pensione di reversibilità di quel misero valore. Da fame. Prendiamo ora la seconda notizia dalla copertina dell’Espresso di questa settimana: «Scandalo pensioni. Bastano cinque anni in Parlamento per maturare un vitalizio che va da 3.000 a 10.000 euro. Oggi lo ricevono 2.238 ex senatori ed ex deputati, possono sommarlo ad altri redditi e altre rendite e può essere preso già a 50 anni». Fra i privilegiati c’è – per esempio Toni Negri che nel 1983 era «detenuto per associazione sovversiva e insurrezione armata», fu eletto nelle liste di Pannella, mise piede a Montecitorio «solo per sbrigare le pratiche» e poi fuggì in Francia: ebbene oggi, stando ai dati dell’Epresso, «riscuote 3.108 euro di pensione parlamentare senza aver prodotto nemmeno una legge». La pensione, ovviamente, è solo uno dei tantissimi privilegi – del tutto immotivati – di cui godono i signori politici (peraltro superstipendiati). Non c’è da stupirsi se ai funerali dell’Ispettore la gente li ha fischiati, urlando: «Cacciateli!». Anche perché sappiamo bene che tutte le cause peggiori – come quelle degli ultras violenti e dei teppisti politici – trovano sponsor fra questi parlamentari. I quali del resto hanno pressoché disertato la seduta della Camera e del Senato sugli incidenti di Catania (circa 120 parlamentari presenti su un migliaio). In quella sede Alfredo Mantovano ha giustamente sottolineato che non è solo il no global Caruso sul Corriere della sera, ma anche il programma dell’Unione, a pag. 79, a prevedere la «riconoscibilità del poliziotto che svolge servizio di ordine pubblico». Questa follia piacerà ai no global e agli ultras degli stadi, ma inquieta molto i poliziotti che rischiano la pelle. Non è escluso che approvino questa legge. Del resto al Parlamento c’è una sala intitolata a Carlo Giuliani, ma non ce n’è una intitolata al Commissario Calabresi, né ce ne sarà una per l’Ispettore Raciti.
QUANDO È TROPPO È TROPPO
Trovo detestabile la demagogia e il populismo dell’antipolitica, ma il troppo è troppo. Prendiamo un altro caso di questi giorni, la denuncia del ministro degli Interni. È stata sintetizzata così dal Corriere della sera del 1° febbraio: «Troppi italiani consumano cocaina. L’allarme di Amato: spaventosa domanda di droga da adulti e giovani. Il ministro a Napoli commenta gli ultimi sequestri: una tonnellata di polvere bianca. “Difficile l’azione di contrasto della polizia”». Certo che è difficile l’azione della polizia.
Ma il Parlamento italiano che fa? Vara l’indulto e rimette in libertà tanti “bei personaggi”.
Non solo. Ricordate il programma “Le Iene”? Lo scorso ottobre una troupe si piazzò davanti a Montecitorio e con un trucco (non molto leale) scoprì che dei 50 deputati fermati ben 16 risultavano positivi all’uso di stupefacenti. Uno su tre. Certo non era un sondaggio scientifico. Può darsi che quei risultati fossero sbagliati rispetto al totale. Ma era giusto capire e approfondire. Invece la casta dei politici insorse, il garante per la Privacy bloccò la messa in onda del programma e la magistratura indagò la troupe di ItaliaUno. Ma non c’era il diritto di cronaca che vale quando si parla dei comuni mortali? L’ex garante per la privacy Rodotà tuonò dalle colonne della Repubblica contro “Le Iene” e contro la stragrande maggioranza degli italiani che al 93 per cento nei forum internet si erano scandalizzati per quella che ritenevano una «censura» e un atto di prepotenza del Palazzo. Rodotà se la prese con «l’antipolitica diffusa e profonda», condannò questa «vera e grave violazione della privacy» perpetrata dalle “Iene” e lodò il veto del garante perché – a suo dire – «ha impedito una iniziativa illegale». Ma c’era davvero violazione della privacy? Fu precisato che i test erano e restavano anonimi. Inoltre i dati che ne emergevano non riguardavano «le condizioni di salute» dei parlamentari, come tuonava Rodotà, ma solo il loro uso di droghe. Hanno diritto gli italiani di sapere se davvero sono governati da un Parlamento così “stupefacente”?
Per la legge – approvata dal Parlamento italiano – chi fa uso di droghe va incontro a sanzioni amministrative. Si ritiene che sia pericoloso che guidi l’auto, ma non che guidi il Paese? Certamente nel blitz delle “Iene” sono incappati deputati che non hanno niente a che fare con le droghe e hanno tutto il diritto di non vedersi coinvolti nella cosa. Ma i parlamentari avrebbero avuto un modo molto semplice per smentire le “Iene” e rassicurare il Paese: sottoporsi tutti al test antidroga come aveva proposto Casini. L’idea non è stata accolta.
UNA CASTA INTOCCABILE
Peccato. Avrebbero potuto difendere davvero la propria reputazione e quella delle istituzioni. Si può censurare un programma tv, ma la gente comune ragiona: se ci sono parlamentari che usano droga presumibilmente conoscono e frequentano degli spacciatori e, come clienti, oggettivamente li finanziano (e con loro il narcotraffico) così di fatto rendendosi estremamente ricattabili. Sarà solo qualche caso isolato, ma se fosse veramente un terzo del Parlamento ci si dovrebbe chiedere se è un Parlamento davero libero. E se è così che nel Palazzo si combattono le narcomafie contro le quali i poliziotti rischiano la vita. Sembrano domande legittime. Ma i politici non rispondono. D’altronde sempre i parlamentari, sondati con domande di cultura generale (di nuovo dalle “Iene”), si sono rivelati (almeno alcuni) spettacolarmente ignoranti. Si può accettare un così basso livello di competenza e un così alto livello di privilegi, in chi è chiamato a governarci? Si dirà che questi signori sono lo specchio del Paese. Non è vero. Lo sarebbero se funzionassero – oggi, in Italia – meccanismi di democrazia seri e certi. Ma così non è più. A tutti i livelli. Di fatto oggi non sono più gli elettori a scegliere i deputati, ma le segreterie dei partiti che li designano direttamente. C’è una perdita di sovranità colossale rispetto alla tanto vituperata prima repubblica. Aggravata dal fatto che sembrano ormai cadute in desuetudine le procedure democratiche all’interno dei partiti (congressi veri e a scadenza regolare, voti su mozioni diverse, opposizioni interne, sembrano non esistere più, soprattutto in certi partiti). È un fatto gravissimo che sembra lasciare tutti indifferenti, mentre, durante la prima repubblica, i giornali inveivano ogni giorno contro i congressi con tessere fasulle della Dc o contro il “centralismo democratico” del Pci.
IL PARADOSSO EUROPEO
Del resto viviamo in un Paese dove ancora oggi non sappiamo come veramente sia andato il voto del 9 aprile e se tutto è stato regolare. Viviamo in un Paese dove il governo che è scaturito da quei “risultati provvisori” ha immediatamente provveduto a rimangiarsi una serie di impegni presi con gli elettori (a cominciare dall’aumento delle tasse). Viviamo in un Paese dove il Parlamento se ne infischia allegramente dei risultati dei referendum: ultimamente si pretende di rivedere perfino la legge 40 (che è stata confermata dal clamoroso referendum del 2005). Il referendum sul finanziamento dei partiti continua ad essere aggirato e si prepara una nuova legge che perpetua l’abitudine. Infine viviamo in una Unione europea che se ne infischia se i propri cittadini bocciano (come hanno fatto) la Costituzione. I cittadini non contano veramente niente, sono sempre più spremuti dalle tasse, in cambio di servizi vergognosi. Anche i servizi essenziali. Gli italiani dramma che passa quasi inosservato sono ormai costretti a pagarsi quasi tutte le medicine, che costano un occhio della testa: chi non può spendere (metà delle famiglie in Italia vive con meno di 1800 euro al mese) non può più curarsi. E soffre e rischia. Ma il governo non se la prende con i suoi sprechi o con le case farmaceutiche e i loro prezzi, bensì con i farmacisti. Se la prende con i benzinai, non con le proprie tasse sulla benzina, né con i petrolieri (che alzano il prezzo della benzina quando aumenta il petrolio e non lo abbassano quando scende). Questa politica è intollerabile.
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LIBERO 7 febbraio 2007