Novecento italiano tra letteratura e massoneria

Massoni da antologia

Pascoli e D’Annunzio, Soffici e Quasimodo e Papini… Tra poeti affiliati alle logge e autori adepti dello gnosticismo, la letteratura italiana del ’900 sembra scritta col compasso…

Scrivere col compasso non è semplice, eppure sembra che una buona metà della letteratura italiana dell’ultimo secolo sia stata vergata proprio con tale scomodo strumento. Grembiulino e mezze maniche. Accademia della Crusca o Loggia del Grande Oriente. Volumi & massoni. Fuor di metafora: può essere interessante fare un censimento di quanti insospettati padri delle patrie lettere abbiano percorso – oltre a quelli accademici – anche i gradi d’iniziazione della Libera Muratoria, accostando alla militanza nei più prestigiosi sodalizi culturali anche l’iscrizione a sette e gruppi più o meno segreti. Proprio una storia esoterica della letteratura italiana del Novecento tenta ora di scrivere (pur con qualche eccesso di ideologia anti-moderna) Paolo Mariani in La penna e il compasso (Il Cerchio, pp. 164, euro 15); o almeno il suo è una sorta di «indice» degli autori più compromessi quanto ad appartenenza a logge massoniche, sette gnostiche, gruppi rivoluzionari.


Giovanni Pascoli, ad esempio, il mite poeta della Cavallina storna e del «fanciullino»: beh, framassone fatto e giurato. Il malinconico Zvanì risulta infatti iniziato alla loggia Rizzoli di Bologna il 22 aprile 1882, quando contava cioè 27 anni; anche se in seguito non pare che lo scrittore abbia reiterato i contatti e sembra anzi che in età più tarda si sia avvicinato alla fede cristiana. Però, secondo Mariani, «di elementi di esoterismo la sua poesia è piena, mentre la sua opera in prosa contiene una vera e propria concezione massonica dell’uomo e della storia», tanto che «esoterismo e gnosi risultano la chiave di lettura più aderente della sua opera anche se, paradossalmente, sono proprio la parte della sua produzione che è sempre passata sotto silenzio»: vedi la conferenza «L’Era Nuova», letta a Messina nel 1899, nonché la raccolta Poemi conviviali (1904) – con la composizione su Ulisse L’ultimo viaggio che è un’ode al nulla – e i meno noti Odi e Inni (1906) o ancora i Poemi del Risorgimento (1913). Tra i poeti esoteristi è senz’altro più scontata la presenza di Gabriele d’Annunzio: iniziato col nome di Ariel alla setta segreta dei martinisti (uno dei riti massonici più elevati) ed eletto honoris causa al 33° grado del Supremo Consiglio della massoneria nel 1920. Se già la sua impresa fiumana fu sostenuta dai Fratelli Muratori, gli echi dell’appartenenza alle logge si sentono ancor meglio nelle opere del Vate, anzi sensi iniziatici sono nascosti in ciò che la critica considera normalmente semplice «orpello prezioso, bizantinismo e retorica». Altro che artefice sommo della parola: i 5 libri delle Laudi (1903-1918), tra cui le famose Alcyone e Merope, sarebbero «una vera enciclopedia dell’esperienza iniziatica… un vademecum per chi si volesse inoltrare nel mondo delle scienze occulte», liberandosi così dal «servaggio» del cattolicesimo.


Se Giovanni Papini rivela egli stesso -nell’autobiografia Un uomo finito (1912) – il passaggio prima della conversione attraverso l’occultismo e l’uso dell’hashish, l’utopia gnostica della palingenesi (distruggere tutto per tutto ricostruire, nuovo e senza peccato) tocca in varia misura autori come Antonio Fogazzaro, Ardengo Soffici, Luigi Pirandello – pur non essendo documentate nei loro confronti particolari affiliazioni esoteriche. Come del resto succede con Antonio Gramsci, il pensatore marxista la cui opera – sempre per Mariani – sarebbe comunque «una espressione della cultura gnostica mondiale» in quanto «in tutti i suoi scritti egli si mostra convinto che il carattere centrale della modernità consiste nello sviluppo del fattore economico e ritiene che proprio agendo su di esso si potrà instaurare il rinnovamento risolutivo della civiltà». L’economia come «succedaneo della salvezza religiosa», fino a raggiungere «il regno della libertà» attraverso il processo dialettico che Marx ed Hegel avevano derivato – guarda un po’ – proprio dalla massoneria settecentesca. Torniamo però ai Muratori espliciti. Salvatore Quasimodo lo era, iniziato nel 1922 a soli ventun anni alla loggia «Arnaldo da Brescia» di Licata. Massone era anche il padre e Salvatore ne seguì le orme, anche se più tardi «forse andò “in sonno”, non frequentò più le logge»; né risulta che l’amico fraterno e cattolicissimo Giorgio La Pira fosse informato dell’affiliazione.


In ogni caso «la sua opera conserva in molti luoghi lo spirito massonico» e persino nell’assegnazione del premio Nobel nel 1959 non sarebbe assente l’influsso della «fratellanza». Anche nei richiami religiosi – sempre più radi peraltro con l’avanzare degli anni – Quasimodo sembra rifarsi a una divinità ben lontana da quella del cristianesimo, per appagarsi invece in obiettivi umanitari di stampo illuminista. E si arriva infine al contemporaneo Roberto Calasso, «uno degli esponenti più in vista in Italia della gnosi contemporanea». Nel suo saggio La rovina di Kasch «ci troviamo dinanzi a una visione del mondo che si qualifica per il nichilismo e l’implicita affermazione della totale assenza di significato della vita su questa terra»; per Calasso addirittura tutta la società moderna è costruita su una «gnosi», un «complotto», le «società segrete»: «La vita associata di oggi è stata fondata ed è fortemente condizionata anche da fattori di base, e trasversali, di cui la coscienza comune non si rende conto». Un gruppo di iniziati che governa il mondo, e naturalmente anche la letteratura. Sunteggia infatti Mariani la sua ricognizione: «La gnosi, come è stata invadente nella cultura italiana dell’Ottocento attraverso la massoneria, così ha costituito nel secolo successivo una presenza imprescindibile». Forse la dimostrazione da lui fornita non sempre è ugualmente convincente; tuttavia l’indirizzo di ricerca merita approfondimenti. Vuoi vedere che un Grande Architetto si nasconde nelle antologie del liceo?


di Roberto Beretta
Avvenire 22 febbraio 2004