Nell’ultimo Candido di Guareschi una stupefacente preveggenza…

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Malinconico ma profético. Ecco l’ultimo Guareschi


Chi crede di sapere già tutto su Giovannino Guareschi farà bene a prendere in mano, e a studiarsi con attenzione, questa nuova raccolta di Mondo Candido appena uscita da Rizzoli…

Chi crede di sapere già tutto su Giovannino Guareschi – uno scrittore un tempo escluso dal consesso civile, e oggi di gran moda – farà bene a prendere in mano, e a studiarsi con attenzione, questa nuova raccolta di Mondo Candido appena uscita da Rizzoli. Vi troverà un Guareschi che non conosce, e rimarrà stupito nel vedere come quell’uomo avesse anticipato, quasi cinquant’anni fa, (…) gran parte dei temi di dibattito dei nostri giorni. Ma andiamo con ordine. Il volume, innanzitutto. Raccoglie gli articoli e le vignette pubblicate da Guareschi sul Candido negli anni dal 1958 al 1960. Va detto subito che quello non era più il Candido di Guareschi. Nel senso che Guareschi non era più il direttore del settimanale, ma solo un collaboratore. Lo ricordiamo ai più giovani e a quelli che non sanno: Candido, il più famoso settimanale satirico della storia d’Italia, era stato fondato nel dicembre del 1945 da Guareschi e da Giovanni Mosca, e subito s’era imposto al grande pubblico per memorabili battaglie, come quella in occasione delle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana, nel 1948. Candido appoggiò la Dc, non tanto perché Guareschi fosse democristiano (era monarchico) quanto perché era evidente che solo una vittoria dello scudo crociato poteva fermare comunisti e socialisti, allora riuniti nel Fronte Popolare. Una vittoria dei “rossi” avrebbe portato l’Italia nell’orbita di Stalin, con le conseguenze che tutti possono immaginare. Fatto sta che Candido, grazie anche alle geniali vignette di Giovannino (come quella con il celeberrimo motto «In cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no»), contribuì in modo determinante alla sconfitta di comunisti e socialisti. Quel Candido ebbe un successo straordinario per un motivo molto semplice: perché erano straordinari i talenti di cui era zeppo. Un po’ come una squadra di calcio che si trova all’improvviso, e quasi per caso, ad avere in rosa setteotto fuoriclasse, Candido si trovò a poter contare, fra redattori e collaboratori, su geni assoluti come appunto gli stessi Guareschi e Mosca, come Indro Montanelli e Leo Longanesi, come Carletto Manzoni e Walter Molino, come Oreste Del Buono e Nino Nutrizio. Di quel Candido, Guareschi e Mosca furono condirettori fino al 1950; dopo quella data Rizzoli allontanò Mosca e Giovannino rimase solo al comando. Sempre con grande successo (anche la serie di Don Camillo nacque sulle pagine del settimanale) e con un crescente seguito di pubblico. Senonché, la vita di Guareschi è come spezzata in due da una brutta faccenda: la condanna al carcere per diffamazione nei confronti di De Gasperi. Accadde nel 1954. Non è il caso di ricostruire quella storia, tutt’altro che chiara. Fatto sta che – benché certo della propria innocenza – Guareschi non volle appellarsi alla sentenza, non cercò la grazia, non s’inventò complotti ai suoi danni, e reagì dicendo: m’avete condannato? E io in galera ci vado davvero. Così fece. Il 26 maggio del 1954 entrò nel carcere di Parma, per uscirne il 4 luglio del 1955. Restando, formalmente, direttore di Candido. Ma è chiaro che qualcosa si era rotto per sempre. Il 10 novembre del 1957 Guareschi abbandonò la direzione del settimanale, lasciando il posto ad Alessandro Minardi. Restò collaboratore, come detto: ma si sentiva ormai fuori, non tanto da Candido quanto da un mondo che non gli apparteneva più. Aprì un bar alle Roncole, di fianco alla casa natale di Giuseppe Verdi, e nel 1964 vi aggiunse un ristorante: il locale c’è ancora, ma non vi si mangia più, ci sono i figli Alberto e Carlotta che tengono desta la memoria del padre con una mostra permanente e mille altre attività. Senza Guareschi alla guida, il declino di Candido fu inevitabile e inarrestabile. Il 22 ottobre 1961 Giovannino decise di interrompere anche la collaborazione, e Rizzoli reagì con l’unica decisione che poteva prendere: chiuse il giornale. Quello di questo quinto volume di Mondo Candido è dunque un Guareschi crepuscolare, amareggiato, confinato dal mondo dell’editoria al ruolo di impresentabile. Ecco perché dicevamo, all’inizio, che è un Guareschi che pochi conoscono. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare a un Guareschi sul viale del tramonto. Era intristito, sì: anche le fotografie di quel tempo ci presentano un uomo ben più vecchio dei 52 anni che aveva (era nato nel 1908, e morì precocemente nel 1968). Era intristito ed era molto solo, emarginato da tutti o quasi. Però non aveva perso la sua lucidità. Anzi. Come spesso accade alle persone che soffrono, anche Guareschi nella sofferenza diventò perfino più lucido. E nelle pagine dell’ultimo Candido troviamo articoli e vignette che, con stupefacente preveggenza, anticipano molti temi divenuti attuali nel nostro tempo: la corruzione del mondo politico, l’antiamericanismo dell’Europa, la crisi della famiglia, la mercificazione del sesso, l’illusione di poter dominare la vita con la tecnica, e soprattutto la sottomissione di ciascun valore al dio denaro. Anche l’anticomunismo di Guareschi ha tratti profetici: c’è una vignetta del 1959 in cui si prendono di mira, in un colpo solo, il mito nascente (Cuba) e quello di sempre (la Resistenza). Si vede infatti Fidel Castro che rimprovera un suo giannizzero: «Solo cinquanta giustiziati in una giornata? Qui non si conclude niente di buono: bisogna fare venire dall’Italia una missione di esperti dei CLN!». In un’altra vignetta Guareschi sfotte, con largo anticipo sui tempi, l’ipocrisia dei radical-chic: si vede Nilde Jotti che passeggia impellicciata, e un comunista dice a un compagno «non ti pare una stonatura una pelliccia così borghese?». Si sente rispondere «No: basta saperla portare con spirito proletario». È un Guareschi malinconico, questo degli anni 1958-’60. Sembra pessimista. Ma há la vista lunga, molto lunga.


di Michele Brambilla
LIBERO 9 nov. 2006