Multinazionali del terrore

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Andrea Morigi, Multinazionali del terrore, con una prefazione di Vittorio Feltri, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2004, pp. 174, € 11,90.
Pubblichiamo con il permesso dell’Autore la prefazione all’opera redatta dal direttore del quotidiano ” Libero” Vittorio Feltri.

Da tre anni a questa parte sono stati congelati conti bancari e fondi per quasi 140 miliardi di dollari, senza che si sia riusciti a fermare l’attività terroristica di Al Qa’ida.


La rete terroristica di ispirazione islamica continua ad alimentare il jihad con attività criminali – il contrabbando, il traffico di droga e di armi – ma trae la maggior parte dei suoi finanziamenti da affari leciti – il commercio d’oro e di pietre preziose – o addirittura apparentemente rispettabili e praticamente intoccabili, come i mercati azionari.


Centinaia di inchieste giudiziarie condotte in tutto il mondo hanno evidenziato una “zona grigia”, composta di società fantasma o di copertura fondate da gruppi ultrafondamentalisti per raccogliere denaro da destinare alla preparazione di attentati e al mantenimento delle strutture logistiche della rete di Osama bin Laden.


Ora il volume di Andrea Morigi, giornalista economico del quotidiano “Libero” va oltre e si avventura nel terreno del sistema bancario islamico e dei fondi d’investimento ispirati alla shari’a, la legge coranica, scoprendo un legame preciso tra il mondo della finanza e la “guerra santa”.
È il testo sacro dei musulmani, del resto, a prescrivere la donazione di parte dei proventi del lavoro e del commercio come tassa per il culto (zakat). E se per culto si arriva a intendere, come fanno numerosi commentatori, anche la lotta contro gli “infedeli”, il meccanismo conduce naturalmente a versare le proprie elemosine a scopo omicida.


Non solo in linea teorica, dato che negli Stati Uniti almeno due importanti gruppi finanziari islamici, l’Amana Mutual Fund Trust e gli Azzad Funds, invitano apertamente a fornire il proprio sostegno economico ad associazioni che chiedono di sostituire il governo americano in un califfato o sono coinvolte in operazioni terroristiche.
E, in qualche caso, lo stesso governo americano paradossalmente vi contribuisce con consistenti agevolazioni fiscali, dichiarando detraibili dalla dichiarazione dei redditi le donazioni compiute a favore di enti benefici. Quello delle organizzazioni umanitarie è uno strumento ormai sperimentato, utilizzato da oltre un decennio per alimentare i mujhaeddin bosniaci e i talebani dell’Afghanistan, ma tuttora in voga nel fundraising mascherato che offre “solidarietà” ai guerriglieri ceceni e ai “martiri suicidi” palestinesi.


Apparentemente, i progetti finanziati si limitano alla costruzione di moschee e di scuole coraniche. Da quei centri religiosi, tuttavia, parte un’imponente offensiva culturale e, a volte, armata.
L’intreccio tra la “carità” e la diffusione violenta dell’islam appare, nelle pagine del libro-inchiesta di Morigi, un elemento chiave.
Dall’estrazione del petrolio si originano ingentissimi capitali, investiti per la maggior parte in quote azionarie industrie occidentali – e non invece per lo sviluppo economico e sociale dei Paesi arabi – da quella stessa élite fondamentalista nota come la “catena d’oro”, che mette a disposizione della beneficenza islamica una porzione consistente degli utili guadagnati in Borsa.
Come risultato, secondo l’autore, “le finalità politiche del terrorismo coincidono e si confondono per molti versi con quelle non-profit”, perché “il terrorismo genera paura e la beneficenza tranquillizza, equilibrando così l’immagine violenta dell’islam nell’opinione pubblica. Ma sia il primo sia la seconda hanno in alcuni casi un’unica origine”.


 


Pubblichiamo con il permesso dell’Autore la prefazione all’opera redatta dal direttore del quotidiano ” Libero” Vittorio Feltri:


Quando Silvio Berlusconi ha sostenuto la <superiorità della civiltà occidentale> su quella islamica rispetto al tema della libertà, ero tra quelli che hanno applaudito. Un’osservazione ovvia, mi pareva. Non si tratta di umiliare uomini e popoli, di ritenersi personalmente migliori di altri, solo perché nati in una certa parte del mondo. No: era il riconoscere che dal cristianesimo e dall’umanesimo liberale era venuta una valorizzazione dell’individuo e dei suoi diritti sconosciuta altrove. Del resto, persino nei cosiddetti Paesi arabi moderati la democrazia, la libertà di voto è un sogno. Per fortuna: altrimenti i semi-dittatori tipo Mubarak d’Egitto lascerebbe il posto ai Fratelli musulmani, i quali sono parenti stretti di Al Qa’ida e di Osama. E sai che goduria una democrazia di questo tipo. Poi il Cavaliere, come da prassi, ha smentito, annunciando: un’invenzione dei giornalisti.


Ora questo libro di Andrea Morigi invece assegna una superiorità della civiltà islamica su quella occidentale in una materia in cui credevo gli occidentali in genere e gli svizzeri in particolare fossero maestri: la finanza. Mi auguro che spunti Berlusconi a dire che è l’invenzione di un giornalista, e lo provi. Del resto lui stesso (come rimproveratogli da Oriana Fallaci ne “La rabbia e l’orgoglio”) ha soci musulmani e gli vanno benissimo (a lui, non a noi). Qualcuno potrà anche alzare il ditino, e spiegare quanto sia prevenuto il Morigi. Ma temo che non ci siano argomenti che tengano contro una realtà amarissima. Spiego quanto ho capito.


In questo volume ricco di documenti inoppugnabili la verità è chiara: gli arabi ci hanno fatti fessi. Maneggiano dollari ed euro con abilità straordinaria. Mentre gli gnomi di Zurigo e i loro colleghi delle piazze borsistiche e bancarie da Milano a Sidney puntano a moltiplicare il denaro con il denaro per ingrassare le proprie casse e creare problemi ai figli nello spartirsi il bottino ereditario, i loro omologhi musulmani sono superiori. Per loro il soldo serve certo al lusso personale, e conosciamo le loro manie da satrapi. Ma l’accumulo è piegato ad uno scopo terrificante: la presa del potere dell’Islam. Tutto è in funzione di una penetrazione dei nodi vitali del capitalismo americano ed europeo, per condizionarne le scelte (uno), e per pompare risorse, attraverso la cosiddetta carità islamica, alle organizzazioni terroristiche (due). Insomma: l’Occidente si è lasciato incaprettare. Noi siamo obbligati dai meccanismi del capitalismo ad accettare capitali provenienti dal mondo arabo, se no dovremmo chiudere bottega. E il collasso economico dell’Occidente sarebbe una sciagura irreparabile, e l’Islam ci invaderebbe in un baleno. Se però continuiamo a coltivare rapporti con costoro e li lasciamo fare, forniamo ai terroristi la corda per impiccarci. Non sembrano esserci vie d’uscite.


Morigi lascia intravedere qualche via di fuga. Controlli ferrei, progressiva espulsione di finanzieri sospetti, pressioni sui governi arabi per rendere se non impossibile almeno difficile le regalie al giro di Osama. Ma capisco bene dal tono di Morigi che sono palliativi. La macchina da guerra islamica si nutre parassitariamente succhiando sangue dal nostro lavoro. Si possono strappare alcuni tentacoli della piovra, ma ne spuntano altri.


Com’è potuto accadere? Dopo la guerra del Kippur ci fu un patto molto realistico stabilito da Henry Kissinger. Allora pareva intelligentissimo. Il segretario di Stato americano (era circa il 1974) spiegò all’Arabia Saudita e agli altri Stati della zona alleati agli Usa che capiva benissimo la loro volontà di sfruttare la situazione e moltiplicare gli introiti del petrolio. L’accordo doveva essere questo: noi lasciamo che facciate lievitare i prezzi, purché gli utili siano reinvestiti negli Stati Uniti. Alla lunga questa fu la fortuna degli Stati Uniti (alla lunghissima è la sua sciagura però, temo). La bilancia commerciale degli Usa è sempre stata in passivo, magicamente però i dollari si moltiplicavano. Gli arabi insomma erano considerati gente di famiglia, lo zio d’America che ci salva. Li hanno fatti accomodare in casa, e hanno lasciato che comprassero l’argenteria. Con abilità essi non si sono impossessati del 100 per cento di questa o quell’altra società, ma hanno distribuito le risorse strategicamente. In pratica hanno impedito l’emancipazione dal petrolio, condizionando la ricerca di fonti alternative – ad esempio. In più con gli utili hanno investito sì in Occidente, ma impiantando moschee e centri studi comandati proprio dai famigerati Fratelli musulmani. Morigi non parla di questo patto di Kissinger, non è materia del libro, ma illustra in maniera abbagliante un altro accordo. Quello dei sauditi con gli estremisti islamici. Consiste in questo: noi vi paghiamo, e lautamente. Dei denari fate ciò che volete. Basta che non ci rompiate le scatole in casa. Il patto per un po’ di anni è stato rispettato. Oggi vacilla. E l’Arabia Saudita è nel mirino degli americani per suoi legami con Osama bin Laden, e di bin Laden per i suoi legami con gli americani. Un disastro universale per loro e per noi.


Un paio di cose da fare intanto però ci sarebbero. Visto che non possiamo fare a meno dei denari arabi, bisognerebbe almeno imporre una trasparenza al sistema bancario, combattere i paradisi fiscali che nascondono varie schifezzuole oltre ai loschi guai di Parmalat e delle corruzioni democratiche, ma sono l’incrocio grazie a cui i dollari passano, senza possibilità di intervento, nelle tasche dei terroristi. I quali non lavorano solo con le armi, ma prima di tutto con l’occupazione del territorio (si sono comprati mezza Africa, fette d’Europa, specie a Milano) e la propaganda ideologica.


Appena questo libro uscirà dalla tipografia, mi premurerò di mandarne una copia a Oriana Fallaci. Aveva capito tutto. L’Islam è l’Islam. Quello moderato è legato a quello fondamentalista. Il primo è il modo con cui gli invasori si rendono presentabili, fanno affari. Poi ci conquistano con le buone o con le cattive.


Due parole infine su Andrea Morigi. Lavora a Libero sin dalla fondazione. E’ stato un colpo di fortuna (per me). L’ho assunto perché era attrezzato sull’economia. Era ed è vero: ma ha una dote sconosciuta a molti investigatori di borse e mercati: ha un ideale. Capisce bene che il soldo non è lo scopo di tutto. Se no si va alla malora, denari compresi. Occorre aver più caro qualcosa d’altro: la nostra tradizione cristiana, l’idea di libertà. E questo può portare persino a far meno affari, ma sarebbe il Grande Affare della nostra vita.


Vittorio Feltri