Mons. Maggiolini: lo Stato discrimina i coniugi

Lo Stato aiuta i conviventi e sposarsi non conviene più


di mons. Alessandro Maggiolini
*Vescovo emerito di Como

L’articolo 31 della Costituzione della Repubblica Italiana assicura di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi. Se la lingua italiana è lingua italiana, ciò significa che sposarsi conviene, poiché vi sono le agevolazioni economiche e le altre provvidenze (e lasciamo da parte l’italiano un po’ ammuffito) e l’adempimento dei compiti relativi. Poi si va a vedere la legge fondativa italiana e ci si accorge che gli sposi guadagnano a non sposarsi e a separarsi, se sono già congiunti. Dal punto di vista economico – stiamo a questo – lo Stato discrimina rispetto alle convivenze. Discrimina non agevolando l’unione, ma rendendola più gravosa. Anche la direzione di normative recenti sa di accanimento nei confronti della famiglia. Si ponga il caso dell’ultima legge finanziaria che al tormentato capitolo famiglia stabilisce che i figli debbano essere a carico di entrambi i coniugi al 50%, e che comunque non possono essere a carico del coniuge con il reddito inferiore. Questa norma non vale nell’ipotesi di una coppia di semplici conviventi. Meglio mettersi insieme alla rinfusa per pagare meno tasse.
L’iniziativa quanto meno incongruente arriva, dati alla mano, da due legulei sposati consiglieri della Liguria, che hanno presentato alla Giunta una mozione per il rispetto della Costituzione che la maggioranza di centrosinistra ha respinto. Da Nord a Sud della nazione la situazione è la stessa. Il nodo ben arruffato è uno: il cumulo dei redditi, che si applica alle coppie convolate a nozze, ma non a quelle conviventi che non risiedono nella stessa casa, a meno che, beffa nella beffa il matrimonio non sia stato celebrato con rito esclusivamente religioso, quindi senza la contestuale congiunzione degli effetti civili.
Vi sono diseguaglianze anche maggiori. Queste scattano sui servizi per i figli dalla prima infanzia in poi. Si ponga il caso per ottenere un posto all’asilo nido: si deve affrontare una impresa titanica di strutture a numero chiuso, alle quali si accede fino a esaurimento di posti. Ebbene, poiché le graduatorie si basano anche sul reddito, la famiglia che complessivamente guadagna 41.000 euro, avrà minori chances, per esempio, della madre che ne guadagna 16.000 e ha un figlio a carico. In farmacia per esempio, il diritto all’esenzione dei ticket sui farmaci scatta con un reddito di 36.000 euro, perciò i due coniugi non potranno usufruirne, al contrario dei due «non coniugi». I conti non sono logaritmici; anche per l’accesso all’edilizia convenzionata là dove il reddito complessivo deve aggirarsi sui 38.000 euro. La simulazione degli uffici regionali liguri, per esempio, dove la tassa è di 14.000 euro di reddito senza casa di proprietà, dice chiaro che il figlio della coppia sposata con reddito complessivo di 41.000 euro perché la sua tassa sarà a quota 20.000 oltre il limite fissato. Ma se la coppia non fosse sposata e il figlio a carico di uno dei due partner sarebbe garantito.
L’esemplificazione può continuare. E dimostrerebbe che la famiglia «normale» – naturale – sarebbe sempre in perdita. Se gli italiani sposati hanno già imparato a evitare accuratamente la comunione dei beni, si pensi solo che le agevolazioni sulla prima casa sono negate ai nuclei familiari in cui un coniuge ne possieda già una, a meno che la coppia non abbia scelto, appunto, il regime di separazione dei beni. Un fenomeno triste si sta diffondendo: le finte separazioni. Non fosse altro che per l’assegno di mantenimento per il coniuge che è detraibile dal reddito imponibile ai fini fiscali.
Dove si vede la trappola delle finte deduzioni delle tasse. Macché deduzione!


Il Giornale n. 14 del 2007-04-09 pagina 10