MISTERYUM FIDEI. L’uso del Messale Romano

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BENEDETTO XVI E IL CORAGGIO DELLA VERITÀ

Il Motu proprio di Benedetto XVI ha ripristinato l’uso del Messale Romano anteriore al 1970, quello promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, che affiancherà il Messale pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, che è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. Quindi «non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito». «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto». «Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa».

Benedetto XVI, seguendo così i passi di Giovanni Paolo II, con una fermezza ricca di mitezza, compie un gesto innegabilmente riparatore sia per l’intolleranza usata verso il precedente Messale, sia per le profonde ferite arrecate alla comunità ecclesiale dall’infedeltà con cui in molti luoghi si è celebrato con il Nuovo Messale, il quale è stato addirittura inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, che spesso ha portato a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile…

1) Bravo Ratzinger, ora mi sento più a casa di ANTONIO SOCCI


2) Monsignor Fellay: questo è un giorno davvero storico di VITTORIO MESSORI


3) I timori… di BENEDETTO XVI

1)


BRAVO RATZINGER, ORA MI SENTO PIÙ A CASA

di ANTONIO SOCCI

È un grande Pontefice, Papa Benedetto, e avrà un’importanza storica per la Chiesa. E da oggi, col ritorno alla libertà di celebrare anche la Messa in latino, certi “progressisti” scateneranno una guerra feroce contro di lui. Magari inventandosi falsamente il ripristino della controversa preghiera sugli ebrei, che invece non c’è affatto. Sono tanti i segni del coraggio di quest’uomo, che è mite e gentile, ma anche deciso a «non anteporre nulla a Dio» e a «non fuggire davanti ai lupi». Di recente la lettera ai cattolici cinesi (per riunire le due chiese e reclamare libertà dal regime) e l’altroieri il simbolico riconoscimento del “martirio” degli ottocento abitanti di Otranto che furono decapitati nel 1480 dai musulmani invasori perché non vollero rinnegare Gesù Cristo. Ma soprattutto ha un grande peso questo Motu proprio con cui il Papa restituisce alla Chiesa, accanto alla messa in italiano, la sua bimillenaria liturgia latina che con un colpo di mano – era stata spazzata via nel 1969 contravvenendo alle regole della Chiesa stessa. La liturgia per la Chiesa racchiude tutto il suo tesoro, cioè «l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede». E dunque il Messale latino non poteva essere messo fuorilegge (infatti giuridicamente è sempre stata valido). Nel delirio post-conciliare l’intolleranza progressista riuscì a far credere che fosse stato messo al bando. Fu quello il tempo di una spaventosa apostasia di fedeli e un’apocalittica crisi del clero: dal 1965 circa 100 mila sacerdoti abbandonarono l’abito e 107.600 monache e suore lasciarono le loro congregazioni fra 1966 e 1988. Una tragedia senza eguali nella storia della Chiesa. Segno, per una mente cristiana, che Dio non aveva benedetto certi “rinnovamenti” che si dicevano “conciliari”, ma anzi ne era disgustato (Benedetto XVI infatti denuncia «deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile»).

«UNA TRAGICA ROTTURA»

Da cardinale, Ratzinger definì il colpo di mano contro la liturgia tradizionale come «una rottura» dalle conseguenze «tragiche». Un grande laico come Giuseppe Prezzolini, nel 1969 – l’anno della riforma liturgica – scrisse un editoriale intitolato: “La liquidazione della Chiesa”. Pur essendo agnostico, constatava amaramente la febbre rivoluzionaria che aveva fatto irruzione nella Chiesa riducendola a una caricatura delle «sette protestanti» e della «civiltà moderna». Fu soprattutto la grande cultura laica a denunciare l’immensa perdita rappresentata dalla cancellazione dell’antica liturgia cattolica che aveva letteralmente dato forma alla cultura europea. Due appelli pubbici, nel 1966 e nel 1971, uscirono in difesa della Messa di s. Pio V, come grande patrimonio spirituale e culturale. E furono firmati dalle più grandi personalità della cultura come Borges, De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, Bresson, Dreyer, Del Noce, Julien Green, Maritain, Montale, Cristina Campo, Mauriac, Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Contini, Devoto, Macchia, Pallottino, Paratore, Bassani, Luzi, Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e il pure direttore del Times, William Rees-Mogg. Fu inutile. Ormai la sbornia progressista (o meglio: “la dittatura del relativismo”) dilagava nella Chiesa e pretendeva di fare a pezzi la sua tradizione. Anni dopo fu boicottato perfino Giovanni Paolo II quando varò uno speciale indulto, addirittura con due documenti, nel 1984 e nel 1988, affermando che la Messa di san Pio V non era mai stata abolita e la si poteva celebrare col permesso del vescovo. Il Papa aveva esortato «i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero», ma parte dei vescovi fece il contrario e di fatto annullò l’importante atto pontificio. Certi vescovi hanno dato locali per pregare ai musulmani, ma li hanno negati per le messe tradizionali. Dunque oggi, alla luce di questi abusi d’autorità, Benedetto XVI vara un Motu proprio dove i diritti del popolo cristiano sono protetti da Pietro stesso e non rimessi all’arbitrio dell’episcopato.

Alberto Melloni, due giorni fa, sul Corriere della Sera, ha dato sfogo alla rabbia della fazione progressista, arrivando addirittura a definire il Motu proprio come «uno sberleffo villano al Vaticano II». È buffo. Uno “storico del Concilio” come Melloni ignora che durante il Concilio si celebrava proprio la liturgia a cui oggi il Papa ridà cittadinanza. E ignora che mai il Concilio Vaticano II ha messo fuorilegge questa liturgia: semmai fu l’atto dispotico del 1969 che andava contro il Concilio. Un altro buffo paradosso: questo gruppo di storici “progressisti” che hanno fatto di Giovanni XXIII il loro simbolo, oggi si oppongono proprio al Motu proprio che riconosce la validità del “Messale Romano di Giovanni XXIII” (infatti è l’edizione del 1962 che il Papa restituisce alla Chiesa). E sembrano ignorare il discorso di Papa Roncalli del 22 febbraio 1962, alla firma della “Veterum Sapientia”, dove fra l’altro, esaltando la liturgia in latino, spiegò che essa aveva un legame profondo con “la Cattedra di Pietro”. Il Papa aggiunse che la lingua latina «fu strumento di diffusione del Vangelo, portata sulle vie consolari quasi a simbolo della più alta Unità del Corpo Mistico. (…) E anche quando le nuove lingue delle singole individualità nazionali europee si fecero strada fino a sostituire l’unica lingua di Roma, questa è rimasta nell’uso della Chiesa Romana, nelle saporose espressioni della liturgia, nei documenti solenni della Sede Apostolica, strumento di comunicazione col centro augusto della cristianità».

MARIA INTERCEDE

Infine riaffermò la sua validità non solo per «motivi storici ed affettivi» ma anche perché «nel presente momento storico» è segno di unità fra i popoli e serve «all’opera di pacificazione e di unificazione». Anche per «i nuovi popoli che si affacciano fiduciosi alla vita internazionale. Essa infatti non è legata agli interessi di alcuna nazione, è fonte di chiarezza e sicurezza dottrinale, è accessibile a quanti abbiano compiuti studi medi superiori; e soprattutto è veicolo di reciproca comprensione». Cinque anni dopo la liturgia latina fu in pratica messa al bando. Melloni accusa oggi Benedetto XVI di aver «spezzato» una continuità ed aver esautorato i vescovi. Ma è vero l’esatto contrario: proprio il Novus ordo fu imposto nonostante la bocciatura della maggioranza dei vescovi. E fu la “proibizione” del Messale latino a “spezzare” la continuità millenaria della liturgia. Oggi questi strani progressisti si oppongono alla libertà che invece il Papa difende (dà la possibilità di celebrare in «due usi dell’unico rito romano»). E si oppongono ai diritti del popolo cristiano (difesi dal Papa). Essi rivendicano l’arbitrio di potere del ceto clericale. E poi parlano di democrazia nella Chiesa! Infine sono oscurantisti perché disprezzano un patrimonio che tutta la migliore cultura esalta.

Benedetto XVI ha affidato le nuove norme alla «potente intercessione di Maria». E le ha pubblicate nel novantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, in uno dei primi sabati del mese (giorno della Madonna di Fatima), un 7 luglio, lo stesso giorno in cui Pio XII, nel 1952, promulgò la “Sacro vergente anno“, dove finalmente consacrò la Russia al Cuore Immacolato di Maria come richiesto da lei a Fatima. Infine Benedetto XVI vara il suo Motu proprio dal 14 settembre, festa dell’Esaltazione della S. Croce, a ricordare la natura “sacrificale” della Messa che proprio nella riforma del 1969 era stata messa in ombra per avvicinarsi ai protestanti. Col rischio di perdere l’essenziale. Questo atto non è una concessione ai “lefebvriani”, ma il ritrovamento di un tesoro da parte di tutta la Chiesa.
www.antoniosocci.it


Libero 8 luglio 2007

2)


MONSIGNOR FELLAY: QUESTO È UN GIORNO DAVVERO STORICO


I lefebriani grazie Ratzinger «Ora parliamo della scomunica»

di VITTORIO MESSORI

Nello chalet di Menzingen, nel cantone svizzero di Zug, dove ha sede la casa generalizia della Fraternità sacerdotale San Pio X, il plico è arrivato già da qualche giorno. Nella busta, il motu proprio Summorum Pontificum, la lettera di introduzione di Benedetto XVI e un messaggio personale del cardinal Dario Hoyos Castrillòn. Destinatario, monsignor Bernard Fellay, superiore generale di, coloro che, dal loro Fondatore, sono detti abitualmente «lefebvriani», lo: schieramento tradizionalista che contesta pastorale e dottrina della Chiesa uscite dal Vaticano II. Con 481 sacerdoti, 90 fratelli laici, 206 religiose, 6 seminari, 117 priorati, 82 scuole, 6 istituti universitari, 450 luoghi di culto in 62 Paesi del mondo, almeno mezzo milione di seguaci convinti, la Fraternità ha costituito la maggiore spina nel fianco per Roma, che si è vista costretta a colpire di scomunica la gerarchia episcopale consacrata validamente ma illegittimamente da monsignor Marcel Lefebvre.
Dopo una prima lettura dei documenti giunti da Roma, monsignor Fellay ha accettato di anticipare al Corriere le sue reazioni. Che sono, va detto subito, ben più positive di quanto potesse prevedere chi conosca la complessità del dossier aperto da decenni con la Santa Sede.

Certo: la Messa non solo in latino, ma secondo l’antico rituale, è da sempre la bandiera lefebvriana più appariscente. Ma gli stessi dissidenti hanno sempre insistito sul fatto che la nuova liturgia eucaristica non è che l’espressione di un orientamento in molti punti inaccettabile assunto dopo il Vaticano II dalla Cattolica. Così, in certi ambienti tradizionalisti, si è spesso detto che un decreto come quello approvato ora da papa Ratzinger.non solo non sarebbe bastato ma poteva essere in qualche modo fuorviante, rafforzando gli equivoci.

Non è così stando a quanto ha voluto dirci monsignor Fellay: «Questo è un giorno davvero storico. Esprimiamo a Benedetto XVI la nostra profonda gratitudine. Il suo documento è un dono della Grazia. Non è un passo, è un salto nella buona direzione». Per il superiore lefebvriano, la «normalizzazione» della messa «non di san Pio V», precisa, «bensì della Chiesa di sempre», è «un atto di giustizia, è un aiuto soprannaturale straordinario in un momento di grave crisi ecclesiale».

Ancora: «La riaffermazione da parte del Santo Padre della continuità del Vaticano II e della messa nuova con la Tradizione costante della Chiesa – dunque la negazione di una frattura che il Concilio avrebbe introdotto con i 19 secoli precedenti – ci spinge a continuare la discussione dottrinale. Lex orandi, lex credendi: si crede come si prega. Ed ora è riconosciuto che, nella messa di sempre, si prega “giusto”». In ogni caso, da oggi, un solo rito, due forme egualmente legittime (dette di Pio V e di Paolo VI) per esprimere un’unica fede.

Per giungere a questo risultato, la resistenza di mons. Lefebvre e dei suoi è stata decisiva, già da cardinale Joseph Ratzinger pensava di avere un debito verso questi fratelli che esprimevano disagi che, almeno in parte, egli stesso condivideva. Mons. Fellay ammette il ruolo della sua Fraternità ma guarda oltre: «Sì, la Provvidenza ci ha permesso di essere strumenti per pungolare Roma e giungere sino a questo giorno. Ma siamo anche consapevoli di non essere che il termometro che segnala una febbre che esige rimedi adeguati. Questo documento è una tappa fondamentale in un percorso che ora potrà accelerare, speriamo con prospettive confortanti, anche nella questione della scomunica».
Nessuna delusione, quindi? «Direi di no, anche se meno soddisfacenti ci sembrano alcuni passi della lettera di introduzione, dove si avvertono condizionamenti di politica ecclesiale».

In ogni caso, il fatto è oggettivo e monsignor Fellay e i suoi ne sono pienamente consapevoli: non sono stati inutili, malgrado aspetti talvolta duri e censurabili, i quarant’anni di opposizione. Nei prossimi giorni, la Fraternità invierà una lettera del superiore generale a tutti i suoi fedeli del mondo che così inizia: «Il motu proprio pontificio ristabilisce la messa tridentina nei suoi diritti e riconosce chiaramente che non è mai stata abrogata. Così, la fedeltà a questa messa – per la quale molti preti e laici sono stati perseguiti e sanzionati per molti decenni – non è mai stata una disobbedienza».
La strategia del recupero della tradizione, iniziata da Giovanni Paolo II, pur costretto all’obbligata scomunica, coglie con Benedetto XVI un successo notevole, nella prospettiva dell’antico progetto ratzingeriano di una «riforma della riforma» e non soltanto quella liturgica. Le proteste di certi episcopati? Qualcuno fa notare che, stando a impietose proiezioni, entro vent’anni almeno un terzo delle diocesi dell’Occidente – compresa la Francia, che è quella che più disapprova l’iniziativa papale – dovrà essere addirittura soppresso per mancanza di clero. Difficile, dunque, per vescovi con forze ridotte al lumicino, far la voce grossa contro quei «lefebvriani» che, al contrario, godono di un flusso ininterrotto di vocazioni. La stessa diocesi di Parigi ha ormai un numero di sacerdoti diocesani (con un’età media assai avanzata e spesso sfiduciati) di poco superiore a quello degli invisi «tradizionalisti», i cui preti sono in maggioranza giovani, fortemente determinati, forgiati allo studio e alla disciplina da seminari di rigore implacabile.


Corriere della sera 08/07/07

3)


I TIMORI…


di BENEDETTO XVI

«…A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.

In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. […]

In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli»

(dalla LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI VESCOVI DI TUTTO IL MONDO PER PRESENTARE IL “MOTU PROPRIO” SULL’USO DELLA LITURGIA ROMANA ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970).

Per approfondire:

Lettera ai Vescovi che accompagna la Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2007/documents/hf_ben-xvi_let_20070707_lettera-vescovi_it.html


Testo latino del MOTU PROPRIO SUMMORUM PONTIFICUM
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum_lt.html

Traduzione italiana del Motu Proprio SUMMORUM PONTIFICUM
http://www.papanews.it/news.asp?IdNews=2038#a