MINISTRO DA BRIVIDI

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DEMAGOGIA VERDE

Pecoraro Findus

Ieri tutti i giornali riportavano con evidenza l’allarme lanciato dall’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti: il prossimo inverno rischiamo buio e gelo. Peggio che nel 2005. Anche il decreto firmato dal ministro Bersani il 30 agosto per massimizzare le importazioni di gas il prossimo inverno parlava di «situazioni critiche di domanda di punta eccezionale che potrebbero verificarsi verso la fine dello stesso periodo invernale». L’allarme, insomma, sembra non essere lanciato solo da Conti, ma da un ministro del governo Prodi. Ma il ministro Pecoraro Scanio, per gli amici «don Alfonsino», dice che fa caldo, così ci vuole lasciare tutti al freddo e al buio. Le scellerate “non scelte” del ministro dell’Ambiente metteranno l’Italia a secco di energia. Qualcuno fermi il leader del Sole che Ride, il super-uomo che si definisce «né etero né omo», ma che ha un curriculum zeppo di insuccessi…

1) PECORARO FINDUS
2) Storia del ministro bisex col debole per le manette

1)

PECORARO FINDUS

di VITTORIO FELTRI

Ieri tutti i giornali, compreso Libero, riportavano con evidenza l’allarme lanciato dall’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti: il prossimo inverno rischiamo buio e gelo. Peggio che nel 2005. Molti italiani forse non ci hanno fatto caso. D’altronde non ci si preoccupa mai di quanto avverrà in futuro. Ma qui il pericolo è imminente e sottovalutarlo è da incoscienti. Fra un mese o due comincerà il freddo, come ogni anno, e hanno voglia gli ambientalisti – esperti più o meno improvvisati – di urlare che l’Italia si sta desertificando perché la temperatura è generalmente aumentata. Quando in dicembre il termometro scende, e si avvicina allo zero o addirittura va sotto, si trema e basta. Grado più grado meno conta poco. E ci si affida ai termosifoni quale unico rimedio. Tuttavia se è fondata la previsione dell’Enel, e non abbiamo ragione di dubitarne, potrà capitare di mettere la mano sui caloriferi e di fare una sgradevole scoperta: spenti. Ciò perché il dicastero dell’Ambiente, retto dal verde Pecoraro Scanio, ha deciso di ridurre l’approvvigionamento di gas. Motivo? Il ministro si difende così: abbiamo soltanto applicato la legge. E uno pensa: ma che razza di legge è quella che ci obbliga a vivere da pinguini senza averne il fisico, quindi esponendoci a polmoniti e malattie respiratorie varie. È vero che un tempo, non remoto, il riscaldamento era un privilegio di pochi. La gente comune si arrangiava con la cucina economica, il camino e lo scaldaletto; ma è altrettanto vero che eravamo pieni di geloni e crepavamo più allora di pleurite che oggi al sabato sera, dopo la discoteca. Ogni epoca ha i suoi guai, ma andarseli a cercare è da fessi. Anzi da verdi. Ai quali non bastava vietare la realizzazione del Tav, di strade e autostrade, tanto per citare alcuni esempi; ora ci impongono intorno a Natale e Capodanno di trasformarci in ghiaccioli, solo perché a loro fa schifo importare più metano dall’Algeria e dalla Russia. È un’idiozia. Tanto più che il combustibile mica lo paga Pecoraro Scanio o i suoi fans imbesuiti, bensì noi con l’aggiunta di tasse che provocano brividi ad ogni ricevimento di bolletta, indipendentemente dal clima. È necessario però un accertamento prima di dare del bischero al signor ministro: ha sbagliato lui a tagliare gli ordinativi e a prosciugare le riserve – con quel che ciò comporterà – oppure ha sbagliato l’amministratore delegato dell’Enel a lanciare l’allarme? Non siamo in grado di dare una risposta scientifica. A occhio e croce mi sembra che Conti la sappia lunga nella sua materia, per cui gli crederei. Mentre sulla competenza di Pecoraro Scanio non scommetterei più di mezzo litro di petrolio. Occorre precisare: se effettivamente il Paese rimanesse a secco di energia, anche per brevi periodi, sarebbe un disastro per l’economia già asfittica: fabbriche ferme, metropolitane bloccate, tram paralizzati. Valeva la pena di buttarsi in una sfida del genere? Da notare che non saremmo in questa situazione di emergenza se solo, un paio di lustri orsono, non avessimo smantellato le costruende centrali nucleari a seguito di un referendum suicida fortemente voluto, e reclamizzato, dalla sinistra al completo, inclusi i socialisti (chissà se Claudio Martelli rammenta). Cosa si aspetta a rimetterle in piedi? Mistero. Il ministro confida nel Sole. Sogna pannelli su ogni tetto. Lui sogna invece di governare.
LA VICENDA
LA COMMISSIONE VIA (Valutazione di impatto ambientale)
È la commissione ministeriale preposta alla valutazione dell’impatto ambientale delle decisioni sulle grandi opere che, con il parere 953 del 12 luglio scorso, ha bocciato l’impianto di stoccaggio a Settala, in provincia di Milano. Il no è arrivato venti giorni prima che Pecoraro Scanio rimovesse l’organismo tecnico e con esso tutte i lavori che aspettano di essere valutate.
500 MILIONI DI METRI CUBI IN MENO
L’impianto della Stogit a Settala avrebbe assicurato agli italiani 500 milioni di metri cubi di gas sventando il pericolo di black-out paventato dall’amministratore delegato dell’Enel Fulvio Conti. LA MOTIVAZIONE
Il portale quotidianoenergia.it pubblica la relazione con le motivazioni di tale decisione. Nel documento si legge che il progetto «non muta in alcun modo la parte impiantistica attualmente in uso, non richiede la perforazione di pozzi aggiuntivi, non occupa superfici aggiuntive». Tutto a posto, insomma. Ma a bloccare l’operazione, si legge, è stato un cavillo burocratico: la mancata comunicazione alla popolazione locale dello stoccaggio del gas di riserva.
GIUDIZIO INUTILE
L’amministratore delegato di Enel aveva più volte ribadito l’inutilità di un nuovo parere della Via sul stesso impianto sul quale si era già espressa.
TUTTO RIMANDATO
La relazione aggiunge che «l’informazione alla popolazione inoltre, proprio per la ormai “storica” presenza della centrale di stoccaggio nell’area, potrà permettere all’eventuale futuro Gruppo di Via l’acquisizione di ulteriori informazioni su eventuali criticità in essere sul territorio». Tutto rimandato alla futura commissione che non si è ancora insediata: la nomina è stata fatta il 10 agosto e i commissari ancora non hanno ripreso la loro attività
LIBERO 13 settembre 2007

2)

STORIA DEL MINISTRO BISEX COL DEBOLE PER LE MANETTE

Il leader del Sole che Ride ha un curriculum zeppo di insuccessi. Si definisce «né etero né omo»

di MATTIAS MAINIERO

Don Alfonsino rimarrà per sempre un mistero. È ministro, è potente. Tv e giornali fanno a gara per intervistarlo. Piace alle donne e agli uomini, almeno quelli che proprio uomini non sono. È il capo assoluto dei Verdi, dopo che ad uno ad uno è riuscito a far fuori Manconi e Mattioli, Scalia e Ripa di Meana. È un uomo di successo, don Alfonsino Pecoraro Scanio, laureato in giurisprudenza, giornalista pubblicista e politico. Eppure il suo curriculum è costellato di insuccessi. Nel 1995, dopo aver tentato di fare l’avvocato nello studio paterno, si mise in testa di diventare sindaco di Salerno. Prese 375 voti e neppure un posto in consiglio comunale. Passò un anno e decise di fare il portavoce nazionale dei Verdi. Fu eletta Grazia Francescato. Passò qualche altro tempo e annunciò che avrebbe sfidato Antonio Bassolino nella corsa a sindaco di Napoli. Corse e perse. Si candidò anche al Parlamento europeo. Due volte. Due bocciature. Don Alfonsino dei Misteri e degli Insuccessi ha però un pregio indiscutibile: sa dire benissimo no. No al ponte, al tunnel, agli inceneritori, al nucleare, alle autostrade, alle antenne, all’albero di Natale, alla plastica, a meno che non sia quella dei profilattici, che distribuisce gratis nelle scuole. È riuscito persino a dire no a Pannella, pur essendo, in gioventù, radicale e seguace di Pannella. L’UOMO DELLE BOCCIATURE
Don Alfonsino ha una capacità negatoria infinita. E questo – in un Paese in cui l’ambientalismo spesso è solo negazione assoluta, chiusura verso tutto ciò che è nuovo e ossequiosa obbedienza all’intolleranza – può anche trasformare un quarantottenne politico di insuccesso in un uomo che è stato consigliere comunale, provinciale e regionale, deputato e due volte ministro. L’importante è bocciare con convinzione, cassare in modo netto, ostacolare, abrogare, respingere, impuntarsi in nome della sopravvivenza del mondo, spesso neppure minacciata sul serio. Con estrema convinzione nonché cognizione di causa, Alfonsino Pecoraro Scanio pronunciò anche il suo no al ministero dell’Agricoltura, un dicastero che doveva essere abolito per referendum. Era tanto convinto che poi, nel 2000, governo Amato II, è diventato ministro dell’Agricoltura. Che volete farci: è il migliore a dire no, Alfonsino, ma ogni tanto si confonde. Non gli piacciono gli organismi geneticamente modificati. Però, se modificassero un neonato, se lo facessero nascere in vitro e con qualche gene ritoccato, lui sarebbe d’accordo. È il capo indiscusso degli ambientalisti. E il suo bacino elettorale è in Campania, la regione più inquinata d’Italia (gli avversari dicono: inquinata anche per colpa sua e dei suoi no). È contrario al sistema tutto italiano della raccomandazione. In questo è davvero inflessibile. Se vede appena l’ombra di un possibile imbroglio è il primo ad insorgere. È un puro senza eccezioni. A Montecitorio, nel primo anniversario di Mani Pulite, si presentò con una torta. Come ciliegina usò i ferri da carcerato. Pannella insorse e lo soprannominò “Mister Manetta”. Purissimo, questo Pecoraro Scanio. Lui, all’amico dell’amico, non farebbe mai un favore. I fratelli sono un’altra cosa.
ALFONSO TIENE FAMIGLIA
Perché dovete sapere che don Alfonsino da Santa Maria di Castellabate, provincia di Salerno (13 marzo 1959), ha una sorella e pure un fratello minore, Marco. Il giovane germano (tre anni più piccolo di lui) faceva il calciatore. Ha giocato con l’Ancona, il Cagliari, il Genoa e il Lecce. Nel 1995 si ritirò dal calcio agonistico e si chiese: «E ora che faccio?». Gli venne un’idea: farò il politico. Chissà, forse avrà anche pensato: «Se c’è riuscito Alfonsino, perché non dovrei riuscirci anche io? In fin dei conti sono stato un bravo calciatore». Detto e fatto: Marco, entrato tardi in politica, presto divenne senatore della Repubblica italiana. Senatore per il partito del fratello, dopo aver fatto il consigliere provinciale a Salerno, nella terra sua e del fratello. «Un’operazione – ha scritto Giancarlo Perna – appena appena più complessa di quella con cui Caligola fece senatore il suo cavallo». A Napoli usano paragoni meno storici: Marco, dicono, ha sempre calpestato i campi verdi. Non poteva che diventare un senatore Verde. E forse per questo (anche per questo) il partito degli ambientalisti egemonizzato da Pecoraro Scanio in Italia veleggia su percentuali minime. In Europa tutti gli altri partiti ambientalisti oscillano fra il 10 e il 15 per cento. Un risultato in linea con la storia di don Alfonsino degli Insuccessi, il Signor No che sparava a zero contro tutti e a volte le sparava anche un po’ troppo grosse. Anni fa, Pecoraro Scanio fu categorico: mi incatenerò – disse – al Municipio di Napoli fino a quando i problemi napoletani non saranno risolti. Poi qualcuno dovette fargli notare che certi problemi erano antichi e molto difficili da risolvere. Così, Mister Intransigenza, per non trascorrere il resto della vita ancorato a Palazzo San Giacomo, cambiò idea. Quello, però, non fu un insuccesso: i giornali parlarono di Pecoraro e Pecoraro fu contento. Lui è sempre contento quando lo invitano a parlare e quando parlano di lui. Per questo – calcolo fatto da Claudio Sabelli Fioretti tre anni fa deve aver rilasciato 2.627 dichiarazioni all’Ansa in tutta la sua vita politica (anche sette in un giorno, persino nel mese di agosto). Per questo, forse, appena arrivò al ministero dell’Agricoltura fece sostituire le normali lampadine con lampade fluorescenti a basso consumo. Per questo ha proposto l’istituzione di un Museo della Scuola del mandolino e ha suggerito agli italiani di adottare una pecora sarda per proteggere la specie dall’estinzione. Una pioggia di iniziative colorate, pirotecniche.
CONFUSIONE BESTIALE
Don Alfonsino è una cascata di fantasia, è la Piedigrotta di Montecitorio: ha proposto di proclamare la pizza patrimonio dell’umanità, ha fatto una campagna a favore del presepe napoletano e contro l’uso dell’albero di Natale, ha nominato il cantante Gigi D’Alessio patrono del pesce azzurro. Una volta, visitando una stalla modello, lui ministro dell’Agricoltura riuscì persino ad inventarsi che un bue era una mucca. Quando gli fecero notare che quello proprio un bue era e non una mucca, se ne uscì con una storica frase: «Non sono andato a guardare sotto il toro». Don Alfonsino – scusateci la piccola volgarità – sotto non guarda mai molto. Ama i divieti, ma quando ha a che fare con quel che c’è sotto diventa possibilista. Io, ha spiegato alla vigilia del Gay Pride del 2000, «sono meridionale e mediterraneo, credo che la vita vada goduta fino in fondo». Poi, senza il permesso dei meridionali e dei mediterranei, ha aggiunto: «Non sono né etero né omo. Scelgo l’assoluta libertà sessuale. Ho infatti avuto fidanzate e fidanzati». Dichiarazione che scatenò, da parte dei cronisti, la caccia al fidanzato. Molti si convinsero che ce n’era almeno uno in Parlamento. Malignità. Don Alfonsino sulla sua vita privata ha fatto calare una specie di saracinesca: prima ha parlato, poi è stato attentissimo a non far trapelare indiscrezioni. Tranne una. Se mi sposerò, ha raccontato, «sarà con una donna, perché sono cattolico». E sarà allora che Mister Insuccesso raggiungerà l’ultimo fallimento: lui, un po’ etero e un po’ omo, non sarà riuscito ad essere neppure bisessuale fino in fondo.

LIBERO 13 settembre 2007