L’ombra lunga della Cina sul Medio Oriente

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IL BISOGNO DI PETROLIO AVVICINA LA CINA A SAUDITI E IRANIANI. Mentre si estende la tensione in Medio Oriente, la Cina sembra schierarsi a sostegno degli attuali dirigenti sauditi ed iraniani. È quanto si deduce dalle più recenti mosse della politica estera della Cina, ma soprattutto dalla sua diplomazia petrolifera.

Trovare una soluzione alla carenza di energia è diventato una motivazione prioritaria per la dirigenza di Pechino ed in special modo nella gestione delle relazioni internazionali. In tutta l’Asia il problema dell’energia e delle materie prime sta diventando un fattore sempre più acuto. La situazione è critica soprattutto per forniture di elettricità (prodotta in impianti alimentati con olio combustibile derivato dal petrolio): interruzioni e lunghi black-out sono frequenti in India, Cina ed in altri paesi del sud-est asiatico e toccano sia gli usi civili che industriali.


L’Asia è la regione che più di ogni altra dipende dal petrolio del Medio Oriente e del golfo Persico in particolare: più del 60 % delle importazioni cinesi di greggio provengono da cinque paesi mediorientali e dell’Africa.


Lo scorso gennaio la Shell (e con lei la ChevronTexaco e la ExxonMobil) ha scoperto e dichiarato di non poter onorare un contratto che prevedeva il rifornimento di gas liquefatto australiano per la Cina del sud. La vicenda ha fatto emergere la vulnerabilità energetica della Cina. Da allora le iniziative diplomatiche cinesi per procurarsi energia si sono moltiplicate senza sosta.


A fine gennaio il presidente cinese Hu Jintao si è recato in Egitto, Gabon ed Algeria per discutere di approvvigionamenti petroliferi. Il 7 marzo la Sinopec (Compagnia Nazionale Petrolchimica della Cina – China National Petrochemical Corp) ha firmato un accordo con l’Aramco per la ricerca di gas naturale su una vasta area in territorio saudita; alcune settimane prima un accordo simile era stato firmato con il Qatar. Il 18 marzo l’agenzia di stampa cinese Xinhua ha annunciato che una società statale cinese la Zhuhai Zhenrong Corp , ha firmato un accordo del valore di 20 miliardi di dollari per l’acquisto dall’Iran di 110 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto a partire dal 2008 e per un periodo di 25 anni. A sua volta la Zhuhai Zhenrong Corp, che è una società puramente commerciale, fornirà il gas alla Società Nazionale Cinese del Petrolio d’Oltremare SNCPO (China National Offshore Oil Corp, CNOOC), compensando parzialmente le mancate forniture australiane. Infine, il 3 aprile scorso Bo Xilai, ministro cinese del Commercio, si è incontrato a Pechino con Ali Bin Ibrahim Al-nuaimi ministro saudita del petrolio e delle risorse naturali, discutendo sulla possibilità d’intensificare i rapporti bilaterali, magari in cambio di forniture e stabilizzazioni dei prezzi petroliferi.


È probabile che tali iniziative della dirigenza cinese, pur legittime e doverose, abbiano anche delle contropartite politiche. Questo spiegherebbe come mai per firmare dei contratti, è stato necessario organizzare visite di stato ufficiali. Non bisogna dimenticare che l’Arabia Saudita è la patria d’origine dell’ideologia wahabita, comune a tanti gruppi terroristici internazionali.


Anche gli aumentati rapporti commerciali fra Cina e Iran non vanno dimenticati. Tali rapporti sono stati potenziati proprio in un momento di difficile isolamento internazionale per l’Iran, dove la fazione più integralista si è di nuovo riappropriata di tutte le leve del potere forzando la costituzione stessa della Repubblica Islamica con macchinazioni elettorali e schiacciando i riformisti. In questi giorni l’Iran è anche sospettato di sostenere i gruppi sciiti più radicali che in Iraq hanno dato avvio ad una sollevazione contro le truppe della Coalizione.


Infine, questa settimana l’Iran ha annunciato che in giugno darà l’avvio alla costruzione di un reattore sperimentale ad acqua pesante che produrrà plutonio, che potrebbe essere impiegato a fini militari. Le società di Stato cinesi stringono dunque rapporti con l’Iran proprio quando la Repubblica Islamica è sospettata, come mai prima, di essere in procinto di dotarsi di armi nucleari. Da parte della Cina c’è una precisa considerazione economica: una prolungata impennata dei prezzi dell’energia mette a repentaglio la crescita dell’economia cinese. In tal caso il regime di Pechino rischia di essere scosso dalle forti tensioni sociali presenti nel paese e tenuti a bada solo grazie ai forti ritmi di crescita. Senza forniture di energia regolari ed a basso costo gli attuali dirigenti cinesi corrono un grave rischio personale.


È possibile ipotizzare che la Cina abbia rilasciato contropartite politiche all’Iran ed all’Arabia Saudita, dando vita ad un nuovo asse politico internazionale? Noi pensiamo di sì. Del resto, il 10 marzo scorso il “Quotidiano del Popolo” ha citato una frase molto rivelatrice di Wang Yi, vice ministro degli Esteri. Durante una lezione di politica internazionale, tenuta all’università di Pechino, agli oltre 1000 studenti che ascoltavano, egli ha dichiarato che la politica estera cinese deve essere “al servizio dello sviluppo economico della Cina”.


 


Maurizio d’Orlando


ASIANEWS – 13 Aprile 2004