La monarchia saudita sfidata da Al Qaida

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L’attacco di al-Khobar in Arabia Saudita ripropone il problema delicatissimo delle relazioni fra il regno della dinastia Al Saud e i terroristi. Nella stessa amministrazione Bush si fronteggiano due scuole di pensiero.

Per la prima, l’ideologia wahabita dell’Arabia Saudita e quella ultra-fondamentalista di bin Laden sono solo due facce della stessa medaglia. Per la seconda, i sauditi hanno i loro peccati passati e anche presenti, ma non è impossibile una loro evoluzione in senso ostile al terrorismo, che l’Occidente dovrebbe favorire.
Chi ha ragione? Sulla scia della più rigorista delle scuole giuridiche islamiche, quella hanbalita, si afferma a partire dal XVIII secolo il wahabismo, ideologia ufficiale dell’attuale Arabia Saudita, come corrente puritana e ostile sia alle innovazioni importate dall’Occidente, sia alle confraternite mistiche del sufismo, accusate di avere introdotto forme superstiziose e idolatriche nell’islam. Il movimento fondamentalista nasce invece nel XX secolo sulla base di un’istanza tipicamente moderna e rivoluzionaria. Il fondamentalismo infatti non comprende solo un richiamo alla tradizione islamica, ma include sia un disprezzo dei poteri costituiti che gli deriva dalle ideologie rivoluzionarie occidentali, sia istanze di riforma sociale che non possono non prendere di mira vecchi establishment come quello saudita. Non mancano però anche momenti di collaborazione; il fondamentalismo condivide con i wahabiti un’interpretazione rigorista dell’islam e il desiderio di preservarlo da influenze «corruttrici».
Nel 1962 è fondata alla Mecca la Lega Musulmana Mondiale, del cui primo consiglio di amministrazione fanno parte importanti esponenti fondamentalisti, con un tacito accordo secondo il quale le principali organizzazioni del fondamentalismo si impegnano a coordinare i loro sforzi fuori della penisola arabica con i sauditi, e ricevono in cambio cospicui finanziamenti, ma rinunciano anche a essere direttamente presenti sul territorio dell’Arabia Saudita.
Questa alleanza tattica tra fondamentalismo e wahabismo è messa a dura prova dagli eventi dell’11 settembre 2001. Da una parte, l’attentato accresce i sospetti statunitensi sul ruolo di ambienti sauditi come fiancheggiatori del terrorismo. Dall’altra, attira l’attenzione sui tentativi messi in opera dalla stessa corrente ultrafondamentalista per destabilizzare la monarchia saudita. Quello di prendere il potere in Arabia Saudita per Osama Bin Laden storicamente è stato il primo obiettivo. Non lo ha mai abbandonato. Gli attentati anti-sauditi del 2003 e 2004 hanno convinto la casa regnante saudita che il pericolo incombe. Non solo: alcuni esponenti della famiglia reale si spingono ormai fino a rimettere in discussione la relazione strettissima fra la loro dinastia e la dirigenza religiosa wahabita, al cui interno sono presenti vari amici di Al Qaida. Negli ultimi mesi duemila ulema wahabiti ultratradizionalisti sono stati rimossi dalle loro posizioni, e alcuni arrestati.
La dinastia dei Saud è nata da un rapporto con il wahabismo, e staccarsi da queste origini è difficile. Tuttavia la casa reale ha i mezzi e il potere per imporre ai religiosi wahabiti non solo una presa di distanze dal terrorismo, ma perfino una riforma interna. La questione dei rapporti fra Arabia Saudita, fondamentalismo e terrorismo rimane complessa. Ma conviene impedire a Bin Laden ogni passo che lo avvicini al potere – e al petrolio.


Massimo Introvigne (C) il Giornale, 31 maggio 2004


http://www.cesnur.org/2004/mi_saudi.htm