La Curia di Genova e le polemiche sulla Messa di S. Pio V

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Comunicato Archidiocesi di Genova


Precisazioni in merito ad una eventuale promulgazione di “Motu proprio” per facilitare l‘applicazione dell’Indulto sull’uso del Messale così detto di San Pio V



27 novembre 2006


Poiché recentemente nell’Arcidiocesi sono circolati commenti anche fuorvianti, a proposito di una eventuale promulgazione di Motu proprio per facilitare l’applicazione dell’Indulto sull’uso del Messale, così detto di San Pio V, si ritiene pastoralmente utile chiarificare quanto segue:
 
1)     il Papa, in forza della sua suprema autorità, ha la facoltà di porre in essere atti giuridici e pastorali universalmente validi e vincolanti;


2)     la celebrazione legittima e fruttuosa dell’Eucaristia richiede la piena comunione ecclesiale, di cui – in ultima istanza – è garante il Sommo Pontefice che personalmente ha ricevuto dal Signore Gesù Cristo la missione di confermare i fratelli nella fede (cfr. Lc. 22, 32; Mt 16, 17-19; Gv 21,15-18); quindi, è proprio il Vescovo di Roma a presiedere, con grande misericordia e gioia, la carità universale, non smettendo mai di cercare l’unità di tutti coloro che credono in Cristo;


3)     il Concilio Vaticano II non ha abolito o chiesto di abolire la Messa di San Pio V; piuttosto ne ha chiesto la riforma dell’ordinamento come risulta in modo chiaro dalla lettura della Costituzione sulla Sacra Liturgia, capitolo III, numeri 50-58 (cfr. EV 1/86-106);
4)     l’ampliamento dell’indulto riguardante la liturgia cosiddetta di San Pio V, non equivale in alcun modo a sconfessare il Concilio Ecumenico Vaticano II, né il Magistero dei Papi Giovanni XXIII e Paolo VI;


5)     lo stesso Papa Paolo VI – che nel 1970 promulgò il Messale Romano, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II -, concesse personalmente a Padre Pio da Pietrelcina l’Indulto per continuare a celebrare, anche pubblicamente, la Santa Messa secondo il rito di San Pio V, sebbene, dalla Quaresima del 1965 fosse in attuazione la riforma liturgica;


6)     già il Papa Giovanni Paolo II aveva offerto, il 3 ottobre 1984, con la Lettera “Quattuor abhinc annos” – della Congregazione per il Culto Divino (cfr. EV 9/1034-1035) -, la possibilità ai Vescovi Diocesani di usufruire di un Indulto, onde poter celebrare la Santa Messa usando il Messale Romano secondo l’edizione del 1962, promulgato da Papa Giovanni XXIII. Inoltre lo stesso Pontefice, col Motu Proprio: Ecclesia Dei adflicta, (2 luglio 1988 cfr. EV 11/1197-1205), stabiliva, tra le altre cose, in forza della sua autorità apostolica: “… dovrà essere ovunque rispettato l’animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l’uso del Messale Romano secondo l’edizione tipica del 1962”;


7)     nella Chiesa sono in vigore – ad incominciare dal IV secolo -, differenti liturgie o riti che, pur rispondendo a tradizioni e sensibilità diverse, esprimono la stessa fede cattolica; tale varietà è segno tangibile della vitalità della Chiesa cattolica;


8)     il Concilio di Trento non volle unificare con atto d’imperio i riti allora esistenti nella Chiesa latina; infatti, in base al principio stabilito dallo stesso San Pio V – che su richiesta del Concilio attuava la riforma -, le chiese e gli ordini religiosi che da almeno due secoli avevano il loro proprio rito di veneranda tradizione, poterono conservarlo. Col passare degli anni, di fatto, il Rito romano si affermò ma mai in modo esclusivo; emblematico il caso del Rito ambrosiano diffuso in alcune valli del Ticino (denominate “Valli Ambrosiane”), in tutta l’Arcidiocesi di Milano ma, anche qui, con eccezioni: Monza, Trezzo, Treviglio;


9)     due espressioni valide della stessa fede cattolica  – quella di San Pio V e quella di Paolo VI – non possono essere presentate come “esprimenti visioni opposte” e, quindi, tra loro inconciliabili;


10) in ambito liturgico, le decisioni e l’operato dei Papi – segnatamente Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – e dei Concili – Tridentino e Vaticano II – non possono essere presentati in modo conflittuale e, tanto meno, alternativo fra loro.


http://www.diocesi.genova.it/documenti.php?idd=1605


Vedi qua sotto il motivo della precisazione


LETTERA APERTA AL PAPA CONTRO IL RIPRISTINO DELLA MESSA TRIDENTINA
E IN DIFESA DEL CONCILIO VATICANO II


33661. GENOVA-ADISTA. “Dietro al ripristino del messale di Pio V si cela, e nemmeno tanto, il progetto di un ritorno alla ‘Chiesa-cristianità’ di stampo medioevale”: scrive così don Paolo Farinella, prete di Genova, in una “Lettera aperta al papa Benedetto XVI contro il ripristino della messa in latino del 1570 e in difesa del Concilio Ecumenico Vaticano II” che intende inviare al papa, entro il prossimo 2 dicembre, con almeno 10mila firme di sostegno.
“Sembra proprio – scrive – che il papa Benedetto XVI stia per promulgare un Motu proprio con il quale concederebbe l’indulto non di celebrare la Messa in latino (possibilità già esistente), ma di ripristinare il rito della Messsa detta ‘di Pio V'”, operando così una sorta di “sconfessione” di Giovanni XXIII e Paolo VI. Del resto, la questione della riforma liturgica è di importanza fondamentale perché rimanda alla concezione stessa che la Chiesa ha di sé e del proprio ruolo nel mondo. “È ben noto – prosegue – che la Messa in latino secondo il rito riformato del Concilio di Trento è un pretesto, un vessillo ideologico per portare a termine un progetto più ampio di ‘restaurazione’ antistorica, per chiudere in modo definitivo e inglorioso il Vaticano II, dichiarandolo un semplice incidente della storia”. Per questo don Farinella chiede a Benedetto XVI non solo di “desistere dal concedere l’indulto in deroga al Concilio”, ma anche “di adempiere al suo mandato di rafforzare il popolo di Dio nella fede, facendo un pubblico ed espresso atto di ossequio nel Concilio Ecumenico Vaticano II”.
Pubblichiamo di seguito la forma brevis della lettera a Benedetto XVI. Il documento si può sottoscrivere sul sito internet del portale Arcoiris, al link appelli.arcoiris.tv/proconciliovaticano, dove si trova anche il testo integrale della lettera. L’obiettivo, dice don Paolo, è quello di raggiungere le 10mila adesioni entro la prima settimana di dicembre.
Al papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, già teologo di professione
Sembra che lei voglia promulgare un “motu proprio” per ripristinare il rito della “Messa di Pio V” del 1570 in vigore fino al 1962, cioè fino al Concilio Vaticano II. Con questo indulto lei vuole venire incontro a qualche decina di fondamentalisti irriducibili che si sono separati dal gruppo che fa capo al vescovo scismatico e scomunicato Marcel Lefébvre, rientrati nella Chiesa cattolica, ma a condizione che non sia loro chiesta alcuna adesione formale al magistero e alle riforme conciliari. Di fatto, lei sconfessa sia il Concilio che i papi del Concilio: papa Giovanni XXIII che lo indisse e papa Paolo VI che lo concluse e lo attuò, i papi più grandi del sec. XX.
Fin dalle origini della Chiesa la legge della preghiera è stata l’espressione della fede e la Messa che è l’atto centrale della vita ecclesiale è sempre stata riformata, aggiornata e modificata perché la fede del popolo di Dio si potesse esprimere consapevolmente. Alcuni asseriscono che la riforma voluta dal Concilio con il passaggio dal latino alle lingue nazionali e dall’altare rivolto al muro all’altare rivolto al popolo non è lecita e costituisce un abuso, anzi una rottura della costante tradizione “cattolica” della Chiesa. Costoro non hanno sufficiente spirito di discernimento e di conoscenza della storia della Chiesa e della storia liturgica in particolare, perché se ne avessero saprebbero che il rito di Pio V è frutto del riordino/riforma di quello precedente e che a sua volta fu riformato almeno quattro volte prima della riforma globale del concilio Vaticano II, attuata da Paolo VI.
Il problema non è la messa in latino (oggi anacronistica), il vero problema sta nel fatto che la Messa di Pio V è una bandiera issata dai tradizionalisti per esigere la sconfessione totale del Concilio Ecumenico Vaticano II e specialmente del papa Paolo VI che essi ritengono scismatico e ispirato dal diavolo. Denigrare consapevolmente il Concilio e i suoi papi è la missione e il compito pastorale di questi “campioni della fede”. Ripristinando per loro il vecchio rito abrogato da Paolo VI come dimostra il documento che alleghiamo, lei si fa complice e fautore di uno scisma ancora più grande perché i discepoli di Lefebvre non accetteranno mai l’autorità del Concilio contravvenendo al Codice di diritto canonico dove sancisce che il Concilio esercita il magistero “in modo solenne sulla Chiesa universale” (CJC, 337 §1).
Lei è il papa e noi ne riconosciamo l’autorità, ma nello stesso tempo le diciamo che lei non può fare quello che vuole e non può contraddire un Concilio né tanto meno abrogarlo come sta facendo con la concessione “in esclusiva” della Messa di Pio V. Concedendo l’indulto a tutta la Chiesa, lei si esonera dal chiedere, come è suo dovere e obbligo, la dichiarazione di fedeltà al magistero del concilio. Da questo momento tutti si sentiranno in obbligo di chiedere indulti speciali sotto l’arma del ricatto di uno scisma, come egregiamente sta facendo il vescovo-stregone Milingo. Lei stesso in suo scritto autobiografico ha attribuito le colpe della crisi della Chiesa alla riforma liturgica, mettendosi sullo stesso piano di un politico italiano, Umberto Bossi, rappresentante di un partito xenofobo, il quale attribuisce tutti i mali dell’èra moderna, dalla rivoluzione francese alla globalizzazione niente meno che al “Concilio che ha girato gli altari”. Non è, ci creda, in buona compagnia.
Noi affermiamo la nostra fedeltà al Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui ci gloriamo di essere figli e custodi, ne accettiamo le riforme che riteniamo incompiute e superate perché per noi il Concilio è stato chiuso in fretta senza che abbia potuto affrontare i nodi irrisolti di oggi: la sopravvivenza della terra; la povertà di tre quarti dell’umanità; l’acqua sorgente di vita per tutti i popoli, lo sviluppo compatibile; la guerra bandita; il ritorno al “principio” della Parola; la struttura della Chiesa popolo di Dio; il contenuto e lo stile dell’autorità come servizio; i criteri di scelta dei vescovi; la teologia come comunione di teologie, i laici e le laiche soggetti attivi della Chiesa; l’autonomia e la libertà delle comunità in materia organizzativa e cultuale; i titoli e le onorificenze incompatibili con la fede; quali ministeri per quale Chiesa; i ministeri coniugati e celibatari; la Chiesa è la donna; gli ordinariati militari; il rapporto con “i regni di questo mondo” (concordati?); la formazione permanente del personale di Chiesa.
Di fronte a queste sfide che aprono il terzo millennio e che attendono la Chiesa come testimone del Lògos incarnato nella storia (Gv 1,14), volere ritornare al passato ripristinando formule e riti di altri tempi e fuori tempo, è sintomo di paura, peccato di superbia e sfiducia nello Spirito Santo che oggi non parlerebbe più come ha parlato nel passato, nonostante Cristo sia “lo stesso ieri e oggi e nei secoli” (Eb 18,3).
Noi le chiediamo di non pubblicare l’indulto che giustificherebbe il disprezzo di chi già disprezza il Concilio, ma le chiediamo di pretendere da vescovi, cardinali e cristiani un atto di adesione formale all’intero magistero del Concilio, cominciando lei a dare il buon esempio. In caso di pubblicazione dell’indulto che ripristina la Messa di Pio V, noi staremo in ginocchio, ma con la schiena dritta non lo attueremo, ma lo combatteremo in nome della nostra coscienza e del rispetto dovuto al Concilio ecumenico e ai papi suoi predecessori. Noi esigeremo con lo stesso trattamento una messa più partecipata e più condivisa con il nostro popolo. Oggi più che mai vale il grido di Cristo agli apostoli spaventati, fatto proprio da papa Giovanni Paolo II nel giorno d’inizio del suo pontificato: “Non abbiate paura!” (Mc 6,50). Noi non abbiamo paura!
Genova, 12 novembre 2006
Paolo Farinella, prete


Archivio anno 2006 > Adista Notizie N°85