La Cina si riarma paurosamente

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Rapporto dei servizi segreti italiani 


CINA: SUPERPOTENZA MILITARE…


I servizi segreti italiani analizzano la proiezione armata conseguente al boom economico del “gigante giallo”. Ecco come la Cina punta alla conquista del mondo


 

La Cina programma un futuro a medio-lungo termine di grande potenza globale in un quadro mondiale dal quale saranno uscite di scena le “Tigri di Carta” che hanno vinto la guerra fredda. Dopo aver messo in ginocchio le economie dell’Occidente, Pechino punta dunque a una supremazia mondiale anche in campo politico e militare. Modi e tempi di questa strategia sono delineati dal Sisde, i servizi segreti italiani che dipendono dal ministero dell’Interno, in uno studio a firma di Marco Giaconi comparso sulla rivista di intelligence Gnosis.
Giaconi collega il boom economico di Pechino con quella che definisce la sua «proiezione armata». Con inquietanti conclusioni. «Lo sviluppo economico di un Paese – osserva – ha sempre come naturale corollario la crescita del potenziale militare: la Cina, oramai quasi un retorico esempio di crescita, non fa eccezione. Il fenomeno ha diverse spiegazioni, non ultima l’esigenza di gestire al meglio i propri confini ed esercitare una pressione internazionale che diviene strumentale per i propri interessi. La crescita militare è dovuta anche alla evoluzione della ricerca tecnologica e scientifica, anch’essa corollario di una maggiore disponibilità di denaro, evoluzione che trova nel settore militare un suo spazio naturale di applicazione».
“IL POTERE SIEDE SULLE PUNTE DEI FUCILI” (MAO)
Diceva Mao Zedong che “il potere siede sulle punte dei fucili”. Nell’“Impero di Mezzo” fin dalla Lunga Marcia di quasi 70 anni fa appare strettissimo il rapporto tra lo Stato, il Partito e le Forze Armate. L’Armata Popolare di Liberazione rappresenta il collegamento tra la tradizione del comunismo come si è forgiato nella Lunga Marcia e l’attuale globalizzazione diretta dal Partito Unico.
Dal punto di vista dottrinale, è in corso una sintesi tra la “Quarta Modernizzazione” teorizzata da Deng Hsiaoping nel 1976, ovvero quella specificamente militare, e la “Terza Modernizzazione”, quella cioè dell’apparato tecnico-scientifico. «Si ipotizza di conseguenza – si legge nel dossier del Sisde – che le forze armate cinesi possano fungere da volano di innovazione tecnologica interna per la “Terza Modernizzazione” scientifico-tecnica, ottimizzando i costi di aggiornamento e garantendo l’accesso e il controllo a tecnologie altrimenti costose e che, soprattutto, creano una lunga dipendenza dall’estero». Un altro motto di Mao, non a caso, era “camminare sulle proprie gambe”.
La Cina sta dunque utilizzando le risorse pubbliche in maniera espansiva – e in debito – per finanziare l’innovazione scientifica e tecnologica tramite il sistema militare-industriale. Il maggiore sforzo finanziario è rivolto alla Marina e all’Aviazione, ma in particolare alla Seconda Forza di Artiglieria, la forza strategica che protegge la sicurezza dello spazio continentale dagli attacchi missilistici e nucleari.
Sul piano geopolitico – osservano sempre gli “007” italiani – «la razionalizzazione delle forze armate cinesi corrisponde alla scelta, da parte della dirigenza attuale del Pcc, di coniugare la sicurezza del sistema politico interno con una ragionevole proiezione delle forze in vista di una egemonia strategica in Asia, alla quale si riconnette una stabilizzazione della Cina come punto chiave del nuovo assetto futuro multipolare». È in questa direzione che vanno interpretate le scelte di sviluppo del prossimo piano quinquennale e gli investimenti per migliorare il livello di vita per i 900 milioni di abitanti rurali, che hanno pagato la crescita dell’8,8% del Pil annuo degli ultimi dieci anni con un sensibile impoverimento medio.
In altre parole, dopo la protesta del 1989 Pechino ha la necessità di riconvertire nelle campagne l’eccesso di investimenti nelle aree urbane per riequilibrare la società cinese e permettere una strategia, anche militare, di forte compattamento territoriale e nazionale (anche contro gli elementi di destabilizzazione a nord e a est, collegati al neoterrorismo jihadista) e proiettare la sua forza verso il Pacifico e l’area dell’Oceano Indiano.
DECISIVI IN MEDIO ORIENTE I RAPPORTI CON L’IRAN
Per finanziare il suo sviluppo, la Cina ha bisogno di raddoppiare entro il 2020 i propri consumi petroliferi, con un 60% derivante dalle importazioni. Ecco perché nel febbraio 2006 la multinazionale cinese del petrolio Sinopec ha concluso un contratto con l’Iran per sfruttare i campi di estrazione di Yadavaran per un totale di 100 miliardi di dollari.
Ma il collegamento tra la Cina e l’area del dollaro non permette alla dirigenza del Pcc di favorire solo l’Iran chiudendosi i mercati nordamericani, il che spinge ancora la geopolitica cinese verso il Pacifico e nella direzione di una egemonia regionale nell’area centroasiatica e siberiana, da gestire in collegamento con la Federazione Russa e i Paesi del “Patto di Shangai” (oltre alla Cina e alla Russia, il Kazakhistan, il Kirghizistan, il Tagikistan e l’Uzbekhistan).
La Cina, quindi, farà ogni sforzo per evitare sanzioni contro l’Iran e per diminuire l’ansia di Usa ed Europa riguardo ai piani nucleari di Teheran. La vittoria della Cina, sul piano geopolitico, sarebbe molteplice: gestire la chiusura strategica di Usa e Ue nell’area mediorientale, permettere all’Iran di ristrutturare la propria economia (e il suo ruolo centrale nel Medio Oriente e nel Golfo) e indebolire sia l’Arabia Saudita che il nuovo fulcro regionale della proiezione di potenza Usa, ovvero l’Iraq.
Il patto di un “accordo ventennale di cooperazione” tra Federazione Russa e Cina (luglio 2001) conferma questa linea strategica: la Cina utilizza il know how nucleare e militare russo per rafforzare la propria temporanea caratteristica di grande potenza regionale in Asia. Utilizza poi la Russia per accedere alle risorse siberiane di gas naturale e petrolio, le più strategicamente sicure e le meno “dannose“ per i rapporti privilegiati tra Pechino e Washington.
GLI INVESTIMENTI NELLA TECNOLOGIA
Alla metà del 2005, le spese cinesi per le tecnologie evolute hanno raggiunto circa un terzo della quota Usa, quindi metà di quella Ue, superando la quota del Giappone. In questo quadro risulta facile la lettura geopolitica degli “amici” e dei “nemici”… Se si fanno le proiezioni sulle percentuali di spesa militare da qui ai prossimi dieci anni, prevedendo un aumento del 10% della spesa militare in Cina (come avvenuto negli ultimi due anni) e rapportando queste spese cinesi a quelle Usa ferme intorno al 3% annuo, allora la Cina potrebbe arrivare a spendere il 75% del budget della difesa Usa entro il 2015. C’è dunque ampio spazio per una programmazione militare che faccia passare la Cina da media potenza regionale a grande potenza globale.
Gli aggiornamenti tecnologico-militari di Pechino riguardano in primo luogo la sua forza strategica missilistica, con l’introduzione di una nuova generazione di SLBM (missili balistici lanciati da sottomarini) al duplice scopo di fornire un nuovo strumento di minaccia regionale nelle due aree oceaniche vicine al subcontinente cinese e di produrre una copertura di “seconda salva” nucleare per un eventuale attacco da terra.
Per quanto riguarda la forza aerea la Cina sta acquistando aerei dalla Russia, sta producendo le proprie versioni del SU-27 SK, adattato per missili aria-aria a medio raggio, e sta sviluppando l’FB-7, un bombardiere a medio raggio per azioni contro le flotte avversarie. Per ridurre i costi, insegue la massima integrazione tra civile e militare, come il progressivo adattamento della flotta mercantile cinese ad attività anfibie che possano riguardare l’“estero vicino”: naturalmente è una indicazione per Taiwan.
Nell’ambito della dottrina strategica cinese, le attività tecnologicamente più sviluppate nel settore militare sono ormai chiare: l’applicazione delle cybertecnologie alle reti missilistiche e satellitari e l’elaborazione di una tecnologia autonoma di guerra elettronica che distrugga il sistema di comando-controllo-comunicazione degli avversari. Al centro di questo pensiero politico-militare c’è il concetto di rete: l’obiettivo primario degli strateghi cinesi è il raggiungimento della network superiority, che garantirà la vittoria nelle guerre del XXI secolo.
Ma qual è la strategia globale di Pechino? La valutazione primaria degli strateghi cinesi è che quando un Paese, come ha detto il generale Huang Shuofeng, «persegue l’egemonia e la crescita della spesa militare, rallentando lo sviluppo economico e portando alla instabilità politica e sociale», allora quel Paese tende al fallimento. Quindi gli scenari di strategia globale si riducono, per gli analisti cinesi, alle seguenti possibilità:
1) entrambe le potenze potrebbero essere distrutte da un evento come la guerra nucleare;
2) un Paese potrebbe costringere l’altro in una “posizione fatale”, senza via di uscita che il rapido declino o la sconfitta e l’annullamento economico-militare;
3) potrebbe generarsi, nel quadro multipolare successivo alla guerra fredda, una situazione di “coesistenza ineguale”, dove un Paese è dominato dall’altro;
4) i due Paesi potrebbero convivere e coesistere nella “promozione della prosperità”.
Nel quadro previsionale cinese, la Cina dovrebbe raggiungere il potenziale strategico britannico entro il 2010, mentre la Germania dovrebbe rimanere la terza potenza globale economica dopo Usa e Giappone per il prossimo decennio. Nella fase futura della “rivoluzione militare”, gli strateghi cinesi prevedono un lungo periodo di guerre regionali, diverse dalle “piccole guerre” consumate durante il confronto Usa-Urss. Le zone di attrito saranno il litorale dell’Asia dell’est, la zona eurasiatica e soprattutto l’Asia centrale e il Golfo Persico.


I numeri della superpotenza militare asiatica
La superpotenza militare cinese dà i numeri. Nella fase attuale, i membri delle forze armate cinesi risultano 2,3 milioni, finanziati con un totale (al 2004) di 24 miliardi di dollari Usa, pari a 200 miliardi di yuan. Questo secondo gli ultimi dati disponibili in area OSINT (“Open Source Intelligence”, la raccolta informativa attraverso fonti aperte cioè attraverso tutti i mezzi di comunicazione pubblica come la stampa, le televisioni, le radio, internet ecc.).
La forza aerea risulta formata da 470 mila avieri, con 2.556 aviogetti da combattimento e circa 400 aerei da attacco al suolo.
L’esercito, che conta 1,9 milioni di uomini, 14 mila carri armati, 14.400 pezzi di artiglieria e 453 elicotteri, è evidentemente pensato per “tenere“ il massimo spazio possibile sulla terraferma e fornire il supporto e le aree di sicurezza per lo svolgersi di incursioni ad alta tecnologia nel proprio quadrante strategico continentale: ritorna qui il modello storico della Lunga Marcia.
La Marina dispone di 250 mila elementi, 63 sottomarini (molti dei quali acquisiti di recente dalla Federazione Russa), 18 incrociatori e 35 fregate. Per il Sisde, nei prossimi dieci anni si potrebbe prevedere una crescita che porterebbe la Marina Militare cinese ad avere circa 300 navi, divise fra le varie tipologie. Una forza di mare che, evidentemente, sta passando da una logica di tutela delle acque regionali a un progetto di marina che operi come “braccio lungo“ della proiezione di potenza nel quadrante del Pacifico e del Mar Cinese Meridionale, fino all’Oceano Indiano.
Questa linea sembra la versione post-mao-ista della dottrina Nato e Usa “forward… from the sea”, che consiste – secondo la formulazione originale Nato – nell’utilizzo della Marina Militare per fare proprio quello che vorrebbero fare anche i cinesi: integrare e internazionalizzare la questione di Taiwan con il controllo globale dei loro oceani di collegamento. “In breve – si legge nel testo Nato – le forze navali disposte in avanti procureranno i collegamenti operativi essenziali e critici tra le operazioni in tempo di pace e le necessità iniziali di una crisi di maggiore entità o di una destabilizzazione regionale di particolare rilievo”.
Sul piano organizzativo, infine, il Pcc e la Commissione Militare Centrale (Cmc) hanno cercato, fin dal 2000, di ottimizzare il rapporto tra ufficiali e truppa, riducendo il numero dei graduati superiori del 15%, e di migliorare l’efficacia della catena di comando delle varie forze armate.


di Andrea Accorsi
La Padania [Data pubblicazione: 22/10/2006]