L’Osservatore Romano e la Legge 194

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ABORTO & LA “ERODE S.p.A.”
 
Al “S. Camillo”
i genitori possono firmare
contro la rianimazione dei bimbi


Ai genitori che scelgono l’aborto terapeutico, si richiede una firma per dire “no” a terapie intensive, macchinari e tubi nel caso in cui l’intervento abortivo si concluda con la sopravvivenza del feto. In altre parole, se la stessa procedura fosse stata usata a Firenze, il piccolo di 5 mesi non sarebbe stato rianimato.  Per capire la gravità di quanto si fa al S. Camillo di Roma, non si deve dimenticare che oggi il 70% dei bambini che nascono a 24 settimane sopravvive se, per cause fetali o materne, la madre è costretta a partorire. Nel ’78 a 26 settimane ne sopravviveva meno dell’1%.
Ci associamo a quanto ha affermato l’On. Luca Volontè: “La cultura di morte non può proseguire oltre, il libertanianesimo dei radical comunisti ci sta portando alla più completa barbarie inumana, alla legalizzazione del «sabba satanico», alla uccisione per legge dei più deboli (eutanasia) e piccoli (eliminazione dei feti viventi)”.

Qualora ce ne fosse ancora bisogno, la conferma di come la legge 194 nasconda vuoti e incongruenze viene da quanto accade all’ospedale “San Camillo” di Roma. Qui, ai genitori che scelgono l’aborto terapeutico, si richiede una firma per dire “no” a terapie intensive, macchinari e tubi nel caso in cui l’intervento abortivo si concluda con la sopravvivenza del feto. In altre parole, se la stessa procedura fosse stata usata a Firenze, il piccolo di 5 mesi non sarebbe stato rianimato. Un consenso informato, insomma, con cui la donna decide per la non-rianimazione del piccolo. Un’ulteriore conferma perciò, di come la legge 194 crei dei passaggi percorribili per fare della normativa non uno strumento per evitare il ricorso all’aborto ma la copertura legale della soppressione della vita.


La stessa nozione di “aborto terapeutico” nasconde una categoria ampiamente discrezionale ed elastica, capace cioè di assorbire qualsiasi mutazione del costume e dell’etica. Ciò avviene in particolare nella parte nella quale si concede l'”aborto terapeutico tardivo”, oltre che in presenza di gravi rischi per la salute fisica della donna, anche in presenza di rischi per la sua salute psichica. Come dire che la donna ha l’ultima parola, decisiva, discrezionale, soggettiva e soprattutto definitiva, sulla morte o sulla vita del piccolo che porta in grembo.
Tornando a quanto accade in particolare al “San Camillo”, dove la direzione sanitaria ha preso le distanze da questa iniziativa ascrivibile, hanno precisato, alla responsabile del centro per le interruzioni volontarie di gravidanza dell’ospedale, Giovanna Scassellati, si spiega che non si tratta di una sorta di autorizzazione a dare la morte “tout court” a piccoli nati vivi dopo un intervento di aborto ma di un protocollo per casi estremi. A spiegarlo è la stessa Scassellati:  “Il consenso informato e il modulo per la rinuncia alle cure intensive nel caso il feto sopravviva all’aborto praticato tardivamente – chiarisce – lo applichiamo solo nel caso di gravi malformazioni del bambino. Se si tratta di un problema psichico della donna, che si accorge magari di essere incinta al quinto mese, cerchiamo di non praticare l’aborto”. Casi disperati, cioè, in cui il bambino non avrebbe comunque possibilità di sopravvivenza e le terapie servirebbero solo a “rimandare” il momento della fine naturale. Un modo per evitare cioè una sorta di accanimento terapeutico.
Gli esperti sono concordi nell’affermare che feti nati comunque prima della ventitreesima settimana di gestazione non hanno alcuna possibilità di farcela, tranne rare eccezioni, e dunque sarebbe opportuno optare per sole terapie compassionevoli.
È sulle “rare eccezioni” che viene spontaneo fissare l’attenzione. Rare eccezioni  come  quella pagata  dal  piccolo innocente di Firenze: la rarità di un organo che sfugge alla rilevazione dell’ecografia. Rarità per le quali si viene uccisi.


(L’Osservatore Romano – 11 Marzo 2007)


 


«San Camillo, il ministro Turco non ha mosso un dito»
 
di LUCA VOLONTÈ*
*Capogruppo del gruppo parlamentare dell’UDC


Sono passati 13 mesi dalle polemiche sulla indagine conoscitiva della Commissione Camera in materia di attuazione della legge 194, per la tutela della maternità e non per l’aborto, come invece ancora ci si ostina a chiamarla. Nelle nostre orecchie ci sono ancora i pregiudizi, le accuse incredibili di coloro che ritenevano quella indagine una vera e propria azione politica per abrogare il totem della 194. Femministe ottuagenarie, ministri in pectore radicali, scompaginate figlie dei fiori di sinistra ci bollarono come i «soliti oscurantisti». Addirittura si arrivò alla manifestazione di Milano della Cgil per la difesa della 194. Poi, l’escalation è proseguita con la tappa italiana del Convegno pro aborto della Fiapac, associazione favorevole alla kill-pill (ru486) con la presenza del Ministro Bonino. Ora siamo di fronte ai fatti omicidi e truculenti, barbari e incivili di Firenze e Roma. Gli ospedali Careggi e San Camillo, due storie identiche di omicidio di bambini, di violazione proprio di quella legge 194 e del suo articolo 7, dove si prevede l’oobligo di salvare il bambino se ha una possibilità di vita. Tutto ben teorizzato dal Signor Viale, medico sotto indagine per la propria sperimentazione contraria alla salute della donna e della stessa legge 194 a Torino. Ormai dalle sue parole e dalle tragiche ammissioni della dottoressa «fiapac» Scassellati, si desidera modificare e stravolgere la legge 194, largamente disapplicata nella sua prima parte, e introdurre la possibilità di «ammazzare» comunque il bambino se ci fosse il «consenso informato» della madre. Il bambino però non è proprietà della madre, né una malattia della madre, il diritto umano alla vita non può essere deciso da un altro: questa era la lezione di Norberto Bobbio, laico e non cattolico, che si è dimenticata. In più, si vuole cambiare la 194, abbattere il totem di una generazione politica, della stessa vera o falsa liberazione della donna, alla sola ragione di far risparmiare al sistema ospedaliero e uccidere i bambini. L’inciviltà non era mai giunta a tanto, ma la stesso «utero è mio» non poteva che portare da quelle parti radicalcomuniste alla conseguenza che il bambino è una proprietà privata e quindi eliminabile. Colpisce e amareggia che nessuno ancora abbia sporto denuncia a seguito delle candide e omicide ammissioni del S. Camillo, stupisce e raggela che il Ministro Livia Turco non muova un dito per far rispettare la legge e salvare così vite umane che ordinariamente vengono assassinate, col «permesso della madre». Come se appunto il bambino sia una cosa di proprietà della madre e non una persona con il proprio diritto umano. Discusso tra chi considerava il concepito un soggetto di diritti e chi lo vedeva tale solo a partire da una certa settimana, ora addirittura un bimbo precoce che vivo seppur dopo un aborto lo si vorrebbe uccidere. La cultura di morte non può proseguire oltre, il libertanianesimo dei radical comunisti ci sta portando alla più completa barbarie inumana, alla legalizzazione del «sabba satanico», alla uccisione per legge dei più deboli (eutanasia) e piccoli (eliminazione dei feti viventi).


IL TEMPO sabato 10 marzo 2007