L’Europa vuole la Turchia, che guarda sempre più a Orinte

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Dietro la paura

Tra teorie complottiste e falsificazione della storia, la Turchia affila le armi contro “l’invasione barbarica” dell’Occidente. Viaggio nella diffidenza che nutre il popolo…


Avvocati che imprecano contro presunte maglie crociate, libri che parlano di fondamentalismo cattolico e teorie da fare invidia ad autori di romanzi fantasy, che vedono Vaticano e Patriarcato di Costantinopoli alleati per stappare Istanbul dalle mani dei turchi. Non è uno scherzo e nemmeno l’esternazione di un pazzo. Nella Turchia del terzo millennio questi sono argomenti giudicati reali e stanno passando i confini del fenomeno isolato. Se da una parte la vittoria del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp, gli islamici moderati di Erdogan) alle ultime elezioni ha fatto riscoprire un modo più intenso di sentirsi musulmani, dall’altra parte meccanismi di reazione all’ingresso in Europa, uniti a istanze ultra nazionaliste, hanno favorito lo sviluppo di sentimenti anti occidentali, spesso tradotti in sentimenti puramente anti cristiani.
La richiesta di Baris Kaska, eccentrico avvocato di Smirne, di annullare la partita fra Inter e Fenerbahce a causa della «maglia crociata» indossata dalla squadra milanese, ha fatto balzare sulla sedia molti tifosi italiani. Quella che all’estero viene giudicata come l’esternazione di un mitomane alla ricerca di un momento di gloria, in Turchia è la norma, spesso legittimata dall’opinione pubblica. Basti pensare ai processi per offesa all’identità nazionale, che portano alla sbarra chi propaganda tesi diverse da quelle diffuse dall’ordine costituito o chi cerca di convertire i turchi a una fede che non sia l’islam. Nel paese della mezzaluna uno degli avvocati più noti è Kemal Kerincsiz, famoso per aver trascinato davanti ai giudici il premio Nobel Orhan Pamuk, la scrittrice Elif Shafak e il giornalista armeno Hrant Dink, ucciso un anno fa a Istanbul, apparentemente per mano di un fanatico, proprio perché non sufficientemente rispettoso del concetto di identità turca.
Le idee di Kerincsiz sono note. È capace di trascinare la gente in tribunale perché bisogna difendere il paese da un oscuro disegno, ordito da papa Benedetto XVI e dal Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I, che sarebbero intenzionati a ripercorrere le imprese dei crociati e strappare Istanbul all’islam. Per questo, nel novembre del 2006, Kerincsiz ha organizzato una campagna contro la visita del Santo Padre, finanziandola personalmente e appoggiando un gruppo di ultra nazionalisti che pochi giorni prima dell’arrivo del Papa aveva occupato simbolicamente la Basilica di Santa Sofia. Nei quartieri più conservatori della megalopoli sul Bosforo i muri erano tappezzati da cartelli che recitavano: «Istanbul è turca e rimarrà turca».
Mannaggia alla libertà d’espressione
Quando parla con i giornalisti l’avvocato più temuto della Turchia spiega a chiare lettere quali siano i princìpi che ispirano la sua azione giudiziaria. In primo luogo la Turchia ha troppa libertà di espressione. La conseguenza è che ognuno si può permettere di insultare la propria nazione. Non solo. La Turchia, secondo l’avvocato, non va difesa solo da questi scrittori e intellettuali, ma soprattutto dall’Europa. Al pensiero che un giorno, forse, la sua nazione potrebbe essere membro dell’Unione, si irrita. L’obiettivo dell’Europa infatti è impadronirsi della Turchia e annientarla a cominciare dalle sue radici religiose. Una cosa che la “razza turca” non può permettere. Già, la razza turca. Secondo l’avvocato, la Turchia anziché guardare verso Ovest, dovrebbe volgere la sua attenzione verso Est, alle repubbliche dell’Asia centrale, dove si parlano lingue derivanti dal turco e dove gli abitanti sono di razza turca. Una sorta di grande continente nel segno della Mezzaluna su sfondo rosso, unito dall’ideologia del panturchismo, predicata dal padre della patria Atatürk, ovviamente estremizzata.
Teorie condivise anche da tanta gente comune. E a farne le spese sono i diversi, soprattutto quelli che praticano un credo diverso da quello musulmano. Il popolo turco del resto vive con la propria storia un rapporto perverso e conflittuale. La studia male, opportunamente revisionata a piacimento, ma soprattutto come un qualcosa che non si è esaurito nel passato ma lascia i suoi solchi, profondi, anche nel presente. Con una spiccata propensione alla dietrologia. Libri come Il fondamentalismo cristiano impazzano nei negozi dei quartieri più religiosi. Il libro Attentato al Papa è stato uno dei fenomeni letterari degli ultimi anni. L’autore, Yucel Kaya, ha immaginato la morte di Benedetto XVI durante il suo viaggio a Istanbul, ucciso dall’Opus Dei in combutta con i servizi segreti europei per gettare una cattiva luce sull’islam e la Turchia.
Nella vita di tutti i giorni, i riferimenti alla caduta di Costantinopoli, avvenuta il 29 maggio 1453, tornano in maniera ricorrente. Per i turchi questa data è un po’ come l’inizio di un nuovo modo di datare la storia, la sonora lezione impartita a tutta la cristianità che si è vista sottrarre la città più importante dopo Roma. Con le dovute differenze. Nei racconti della gente dei massacri perpetrati dalla truppe di Maometto II il Conquistatore non c’è traccia perché furono un’invenzione degli storici cristiani. Si ricordano fin troppo bene anche i momenti di conflitto. Avvenimenti come le Crociate o la battaglia di Lepanto del 1571, quando la flotta imperiale ottomana fu sgominata per la prima volta dalla Lega Santa. Date che nel resto del mondo si incontrano solo sui libri di storia e che spesso la maggior parte rimuove in breve tempo. Ma che in Turchia simboleggiano un passato con cui in molti non si vogliono evidentemente riconciliare e minano dalle fondamenta un presente in cui si sente il bisogno di fronteggiare l’invasione barbarica proveniente da Occidente. Per farlo i turchi affilano armi pericolose: diffidenza, ipotesi da fantascienza e falsificazione della storia.

di Ottaviani Marta
Tempi num.3 del 17/01/2008