Italia e immigrazione: subito 500 mila ”nuovi italiani”

Immigrati, la sinistra inventa un milione di italiani


Se il disegno di legge sulla cittadinanza licenziato ieri dal Consiglio dei ministri sarà approvato dal Parlamento, si annuncia una rivoluzione. Difficile negare che la società italiana cosiccome la conosciamo oggi sarebbe sottoposta a un massiccio processo di trasformazione …


 

 “Dis-fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Un Massimo D’Azeglio a testa in giù. Così rischia di passare alla storia Romano Prodi, dopo che con la bozza di riforma della legge sulla cittadinanza ha posto le basi per la progressiva erosione dell’identità nazionale.
Il provvedimento, che dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri dovrà passare al vaglio del Parlamento, riduce della metà (da dieci a cinque anni) il tempo di permanenza sul suolo nazionale necessario a diventare italiani e delibera che sarà cittadino anche chi nasce nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno residente legalmente da non meno di cinque anni. Qualora venisse approvata da entrambe le Camere, la nuova legge porterebbe, secondo le previsioni del Viminale, al raddoppio se non addirittura ad una triplicazione delle domande di cittadinanza. Nel 2005 sono state 10.200; nel 2006 le domande di cittadinanza potrebbero quindi attestarsi tra le 20 e le 30 mila unità. I numeri del Governo, tuttavia, sembrano approssimati per difetto. La Caritas, ad esempio, ritiene che siano 900 mila gli stranieri autorizzati a beneficiare della nuova legge, un numero -ha specificato l’associazione cattolica – che nel 2008 potrebbe raggiungere quota un milione e mezzo. Al computo totale, però, rimarrebbero ancora da sommare i figli “nati sul territorio da almeno un genitore legalmente in Italia da cinque anni” e i familiari ricongiunti, che peraltro, passato un altro quinquennio, avanzeranno allo Stato gli stessi diritti acquisiti. In merito di diritti occorre fare una precisazione. Dice infatti l’articolo 48 della Costituzione: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». L’acquisizione della cittadinanza italiana porta quindi con sè, automaticamente, l’acquisizione del diritto di voto. Un diritto completo, che nessuno può in alcun modo menomare e il cui esercizio non potrebbe perciò limitarsi alle sole elezioni amministrave, come un progetto di legge appena presentato dai Ds ha indotto taluni a ritenere.
Terminata la premessa, occorre proiettarsi al dopo e ragionare sulle possibili inquietanti conseguenze di un simile provvedimento. La prima, evidente, è che il bacino elettorale si allargherà notevolmente. Considerata la massiccia componente nordafricana della nostra immigrazione è inoltre da ritenersi che una porzione consistente di questi nuovi elettori sarà di fede musulmana. La sinistra pensa di poter incamerare la gran parte di questi voti. Possibile, ma non probabile. Aumentando considerevolmente nel numero, infatti, i cittadini italiani musulmani dotati del diritto di voto e di elezione avranno il consenso potenziale necessario a garantire un seguito a nuove formazioni politiche. Nulla poi vieterebbe di costituire un partito d’ispirazione religiosa. Sunnita o sciita, moderato o integralista non farà alcuna differenza: potrà essere fatto e sarà fatto.
Scopo di ogni partito, come noto, è dare rappresentanza alle istanze della comunità (sociale, geografica, economica o religiosa) di cui è emanazione. Dovremmo quindi aspettarci che tutte quelle richieste sin qui avanzate dai portavoce delle comunità musulmane d’Italia facciano capolino nei consigli comunali, provinciali, regionali e in Parlamento. L’elenco è lunghissimo e da solo dà la misura dei cambiamenti che sarebbe necessario apportare alle nostre leggi e alle nostre abitudini perchè siano compatibili agli usi e costumi islamici: il giorno di riposo lavorativo al venerdì, l’istituzione del giorno di festa in occasione delle principali celebrazioni religiose, l’ora di Corano nelle scuole, la libertà per la donna di indossare il burqa o di usufruire di spazi riservati nei luoghi pubblici. Occorre inoltre ricordare che le richieste in questione non sono sempre state espresse in termini positivi (desideriamo poter fare), ma sovente in termini negativi (desideriamo che voi non facciate). C’è stato, ad esempio, chi ha chiesto che nelle scuole e negli ospedali fosse rimosso il crocefisso o che non venissero insegnati agli alunni delle elementari i canti natalizi. Rimane, infine, il capitolo Moschee. All’articolo 19 la Costituzione stabilisce che “tutti” – quindi non solamente i cittadini – “hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Il diritto costituzionale, che valeva già per gli immigrati regolari non cittadini, sarà considerevolmente ampliato dalle possibilità politiche aperte dalla cittadinanza.
È un fatto acclarato che in diverse circostanze sono state le amministrazioni comunali, ovviamente nell’ambito delle leggi in vigore, a limitare la proliferazione delle Moschee. Forti concentrazioni di stranieri in una città consentirebbero perciò ai nuovi italiani di fede musulmana di essere più massicciamente rappresentati nei consigli comunali e quindi di ottenere con maggiore facilità i permessi e le autorizzazioni necessari per l’edificazione di nuovi edifici di culto.
Tutto considerato pare difficile negare che la società italiana cosiccome la conosciamo oggi sarebbe sottoposta a un massiccio processo di trasformazione che solo il rapporto numerico tra maggioranza e minoranze, in ossequio alle regole della democrazia, potrà in qualche modo arginare. Il problema, però, è che a cambiare sarà proprio la misura di questo rapporto. Localmente gli equilibri potrebbero mutare drasticamente: basti pensare ai comuni-dormitorio, dove già oggi per via dei minori prezzi d’affitto si concentrano grandi comunità di immigrati. A livello nazionale, invece, il rischio di colonizzazione sembrerebbe più distante. Ma solo in apparenza. Due fattori, infatti, potrebbero presto renderlo più incombente. Il primo e più importante è certamente l’effetto-calamita esercitato dalle politiche dell’attuale governo sui diseredati del sud del mondo. Il secondo potrebbe invece risiedere nelle pieghe di un meccanismo di voto, il voto degli italiani all’estero, che unito alla cittadinanza-veloce potrebbe fungere da utile strumento politico ai teorici dell’Eurabia. Ottenuta la cittadinanza, i nuovi italiani potrebbero infatti decidere di tornare ai paesi d’origine, continuando a esercitare da lì il diritto di voto. E a quel punto il processo di rimodellamento dell’Italia avrebbe due motori, uno interno e l’altro esterno, inesauribilmente alimentati dalla benzina di un’immigrazione a tempo determinato: quinquennale.

di Alessandro Montanari
La Padania [Data pubblicazione: 05/08/2006]