Irlanda: non solo abusi…

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La dittatura del relativismo
e l’Irlanda

L’Irlanda è tutt’oggi una nazione profondamente cattolica, ma sulle pagine dei giornali viene presentata come il paese della arretratezza culturale e sociale, a causa della sua opposizione al Trattato di Lisbona, della sua legislazione pro-life (nel 1983 la Costituzione è stata addirittura emendata per affermare che il feto possiede il diritto alla vita fin dal suo concepimento) e degli abusi su minori che hanno trovato radici – purtroppo! – anche in una minoritaria parte del clero e dei religiosi. In fondo – è questa la tesi sommersa che si vuol far passare – l’Irlanda è così arretrata perché è profondamente cattolica.
Non si dimentichi, però, che per la vulgata della “dittatura del relativismo” tutto ciò che è cattolico è sempre anti progresso e anti umano.
Ed ogni opportunità serve a riaffermarlo…

Narriamo un caso di sana caparbietà irlandese.

 Caparbietà irlandese

Gente davvero caparbia gli irlandesi.
Mentre l’Avvocato Generale dello Stato Paul Gallagher, lo scorso 9 dicembre, difendeva strenuamente la legislazione irlandese antiabortista davanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a Dublino la Corte Suprema, con una pronuncia unanime, riconosceva ad un donatore di sperma il diritto di visitare il proprio figlio allevato da una coppia di lesbiche.
Cosa centri questo caso con i giudici di Strasburgo è presto detto.
La vicenda comincia quando un quarantunenne omosessuale decide di donare il proprio sperma ad una coppia di lesbiche, sue care amiche, per consentire loro di coronare il desiderio di maternità. Viene pure stipulato un contratto in cui le donne riconoscono al padre biologico la possibilità di vedere il figlio ed essere considerato dal bimbo un «favorite uncle», uno zio prediletto. Dopo due anni, rotta l’amicizia con l’inconsueto “zio”, le due donne decidono di trasferirsi in Australia e portare con loro il bambino. Segue l’azione legale dell’uomo per impedire che gli venga negato il diritto di visitare il proprio figlio naturale. E qui sorgono i problemi. Nell’aprile 2008, l’Alta Corte irlandese, giudice di primo grado in materia, dà ragione alla coppia lesbica sulla base di un ragionamento giuridico del magistrato John Hedigan, il quale, guarda caso, è stato per quasi dieci anni membro della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in quota irlandese. Ormai condizionato dalla giurisprudenza di quella corte internazionale, il giudice Hedigan ha ritenuto, infatti, di riconoscere alla coppia di donne lo status giudico di una «de facto family», con la conseguente applicazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La sentenza viene impugnata ed il caso giunge davanti la Corte Suprema che lo scorso 10 dicembre (giorno successivo alla discussione della legge antiabortista davanti alla Corte di Strasburgo) riforma la decisione che dava ragione alle lesbiche, sotto due profili: uno relativo al riconoscimento delle famiglie di fatto ed uno riguardante i rapporti tra la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e legislazione irlandese.
Il giudice Susan Denham, membro della Corte Suprema, ha ribadito, infatti, che la regola d’oro costituzionale della famiglia formata da un uomo ed una donna regna suprema («reigns supreme») nell’ordinamento giuridico irlandese e che nessuna parvenza di riconoscimento può essere data a forme di convivenza diverse da quel «constitutional golden standard» che è appunto il matrimonio tra persone di sesso diverso.
Sempre secondo la Denham, «la coppia di lesbiche non può considerarsi una famiglia e pertanto il loro rapporto con il bambino non può essere considerato prevalente rispetto al rapporto tra lo stesso bambino e il proprio padre naturale», né «può essere ignorato l’indubbio beneficio che il figlio può trarre dalla relazione con il proprio padre».
Ma il colpo ferale alla sentenza di primo grado favorevole alle donne l’ha dato il Presidente della Corte Suprema, John Murray, sul punto dei rapporti con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Murray, infatti, ha contestato decisamente che nel caso di specie si potesse invocare l’applicazione dell’art. 8 di quella convenzione. Ma è andato oltre nel suo ragionamento. Ha colto, infatti, l’occasione per precisare che proprio per le particolari modalità con cui la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è stata introdotta nel sistema giuridico irlandese, «i magistrati irlandesi possono – in punto di principio – persino ignorarla». Può valere, tutt’al più, come un mero strumento interpretativo («interpretative tool»), con un valore persuasivo che si pone ad un «livello puramente economico, sociale o morale».
I giudici di Strasburgo sono avvertiti!

di Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=16942

www.culturacattolica.it – lunedì 21 dicembre 2009