Interessante intervento di Mons. Caffarra

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“Libera Chiesa in libero Stato non basta più”


Monsignor Caffarra: superata la cultura della separazione. Prodi sbaglia se divide peccato e reato

Monsignor Caffarra, la Chiesa è accusata di invadere la sfera della politica. I vescovi non sono mai stati così influenti come ora, neppure ai tempi della Democrazia cristiana. Non è forse così?
“Le rispondo con un passo del cardinale Newman: “Il mondo si accontenta di mettere in ordine la superficie delle cose. La Chiesa cerca di rigenerare le profondità stesse del cuore”. È il Vaticano II a impegnare la Chiesa a essere “realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia”; per questo rivendica la libertà di esprimere il suo giudizio morale sulla realtà umana; poiché la sua missione la abbraccia tutta. Se per influenza si intende il fatto che il magistero della Chiesa entra sempre più profondamente ed estesamente nel vissuto umano, allora sì: la Chiesa è sempre più presente; ed è un bene, visto che in Occidente l’uomo si trova a fronteggiare pericoli che mai aveva corso prima d’ora. Se invece si intende che la Chiesa opera nelle istituzioni pubbliche in contrasto con le proprie finalità e in modo scorretto, lo escludo”.
Il capo dei vescovi italiani Ruini ha parlato di “pallottole di carta”. È un’espressione un po’ forte? O anche lei ha avvertito un fuoco di sbarramento da parte del mondo laico?
“Più che fuoco di sbarramento, noto in molte persone di cui ho stima una grave fatica a elaborare la nuova concezione di laicità di cui abbiamo bisogno. Oggi non possiamo più limitarci al concetto di laicità che abbiamo elaborato in un certo contesto storico; perché il contesto in cui vive l’uomo occidentale è cambiato, e il vecchio concetto non risponde alle domande nuove”.
Quali sono i pericoli che l’Occidente si trova a fronteggiare? Il nichilismo, il relativismo etico, il confronto con l’Islam?
“L’Islam è un reagente. La vera questione è che l’uomo per la prima volta ha il potere di ridefinire i contenuti essenziali della sua stessa umanità, ritenendo che non esista nessuna verità circa il bene dell’uomo che non sia il prodotto del consenso sociale; pensando e vivendo la propria libertà come il potere di determinare la verità di sé, e di ridisegnare la sua propria natura. Ma nulla è più contrario di questa visione ai dati originari del vissuto umano. La gente in questa situazione diventa sempre più pubblicamente religiosa, nel bene e nel male (penso ai fondamentalismi). Ora, pensare che il tutto si debba ancora risolvere con la separazione tra religione e vita pubblica, chiudendo la fede nel privato della coscienza dei singoli, è un residuo del passato. La cultura della separazione mi pare obsoleta. Ripetere oggi “libera Chiesa in libero Stato” è troppo poco”.
Libera Chiesa in libero Stato non è solo un detto cavouriano, ma anche il titolo dell’ultimo saggio di Sergio Romano. Il sottinteso pare essere: la Chiesa è invadente.
“Il libro di Sergio Romano è tra le letture in programma per le vacanze di Natale. Per ora mi sento di dire questo: non si tratta di rinnegare il risultato di secoli di elaborazione del concetto di laicità. Ma ora occorre un nuovo sforzo culturale, già sollecitato proprio sul Corriere dal patriarca di Venezia Scola. La religione è sempre meno confinata nel privato e si esprime sempre più nella dimensione pubblica. Questa novità non va ignorata ma incoraggiata”.
Esiste in Italia un pregiudizio anticattolico?
“Credo si possa notare un’attitudine anche (non solo) pregiudiziale di inimicizia verso la Chiesa cattolica. Sì, credo proprio lo si possa dire”.
Nei giornali, nelle case editrici, nelle università?
“Nei giornali soprattutto. Quando un cristiano propone la risposta a un problema ed esibisce questa proposta argomentandola razionalmente, senza entrare nella dimensione della fede, il solo e semplice fatto che questa proposta sia fatta da un cristiano, tanto più se prete o vescovo, impedisce pregiudizialmente a tante persone di verificare serenamente la consistenza dell’argomentazione razionale”.
Lo dice il prete, quindi è sbagliato.
“È così”.
Le risponderanno che talora è vero il contrario.
“Ma di quali strumenti moderni di formazione del consenso dispone la Chiesa? La Chiesa non ha una tv che possa competere. Ha un piccolo giornale, molto ben fatto ma non certo tra i più letti. Anche se poi, come nel caso del referendum, quando la Chiesa si è affidata solo alla certezza che stava dicendo il vero sul bene e sul male, avendo contro tutti, ma proprio tutti, i poteri del secolo, si è visto com’è finita. Ecco il vero potere della Chiesa: rispondere con verità alla grande domanda dell’uomo, alla sua richiesta di senso”.
L’unità politica dei cattolici non c’è più. C’è però un progetto, il “partito cristiano”, attribuito a un bolognese come Casini, che le assomiglia molto. È un progetto interessante?
“Darei un giudizio politico. Un vescovo non è competente; non deve pronunciarsi. Definire un bene o un male la fondazione di un partito, questa sì sarebbe una scorrettezza”.
Eppure una scelta di campo tra i due schieramenti la Chiesa sembra averla fatta, per il centrodestra.
“Leggendo la stampa di destra si scopre che i vescovi sono rossi. Leggendo la stampa di sinistra pare che i vescovi siano di destra. Questo mi succede anche qui a Bologna. Molti bolognesi dicono che non sanno bene come collocare il loro arcivescovo, e questo è bello; perché io non sono né di destra né di sinistra. Sto dalla parte dell’uomo e della sua dignità”.
Non la preoccupa la virulenza con cui si contrappongono i due schieramenti? O la riforma proporzionale può favorire il dialogo?
“Non entro nella questione della legge elettorale. Quel che mi preoccupa è che entrambi gli schieramenti mi sembrano culturalmente molto poveri, non così coinvolti in una prospettiva culturale consapevole dei grandi problemi. Questa fragilità culturale può insidiare gravemente il bene comune”.
Prodi scrive, nel libro pubblicato dalle edizioni Paoline, che “peccato e reato non possono coincidere, pena il ritorno allo Stato teocratico“.
Il professor Prodi affronta un punto essenziale. Esistono tre testi di san Tommaso secondo cui la legge dello Stato deve permettere molti comportamenti che la legge morale vieta; la legge dello Stato non deve chiedere comportamenti che solo le persone virtuose possono compiere; la legge dello Stato deve proporsi solo la pace e la giustizia sociale. Se il professor Prodi con questa sua affermazione intendeva riprendere l’idea di Tommaso, che peraltro si può agevolmente ritrovare in Leone XIII, in Pio XII, nel Vaticano II, allora mi trova del tutto consenziente. Se invece il professor Prodi intende sostenere una demarcazione netta tra la sfera pubblica e quella privata; se intende sostenere che nella sfera privata ciascuno persegue la concezione del bene che più gli aggrada, mentre nella sfera pubblica valgono solo le regole basate su principi di giustizia formale e procedurale; allora non sono d’accordo. La comunità civile e politica non è tenuta assieme solo da norme razionali convenute, ma anche e soprattutto da una concezione condivisa di vita buona. Negare questo non significa opporsi allo Stato teocratico ma dare prova di ingenuità“.
Perché?
Per tre motivi. I soggetti che decidono le regole pubbliche non possono prescindere dalla propria concezione di vita buona. Non credo esista una persona che possa attribuire ai beni umani una rilevanza esclusivamente soggettiva; esiste un universo di valori morali che precede le regole pubbliche. Vi sono poi forme di vita (supposta) buona che, a causa dei beni e gerarchia dei beni che perseguono, generano attitudini incompatibili con l’osservanza delle regole. Né questa visione porta alla imposizione intollerante di una concezione di vita buona a preferenza di altre. La conoscenza del bene infatti progredisce solo attraverso il confronto tra argomenti, che è serio se tutti, Chiesa compresa, possono parteciparvi (ecco la vera laicità), se il confronto è guidato dalla certezza che esista una verità circa il bene. Se invece la condizione sufficiente per determinare le regole di una società fosse il solo patto delle parti, il dialogo diventerebbe volontà di imporre il proprio punto di vista sull’altro“.
È quanto dice Ratzinger: la legge di Dio viene prima di quella degli uomini.
“Sì. Dire poi che ciascuno è libero nella sua vita privata di commettere tutti i peccati che vuole, purché non violi le regole pubbliche, è incredibilmente ingenuo. Perché chi commette abitualmente certi peccati finirà per commettere almeno qualche reato”.
È d’accordo con il giudizio preoccupato della Cei sulla riforma costituzionale, in particolare sulla devoluzione?
“Cito dalla Centesimus Annus (47): “La Chiesa non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o costituzionale”. Ecco un altro campo in cui sarebbe scorretto che un vescovo entrasse; devo tacere”.
Parliamo di aborto. Da una parte la Chiesa è accusata di intromissione. Dall’altra, il fatto che chieda la presenza nei consultori di volontari antiabortisti pare significare che abbia accettato di fatto la legge 194 e si muova per evitare il male maggiore. È così?
“La legge 194 esiste. Giustizia impone che la si applichi, limitando al massimo i suoi aspetti negativi ed esaltando al massimo i suoi pochi aspetti positivi. La legge c’è; facciamo di tutto perché non ci siano aborti. Fermo restando che l’aborto è comunque e sempre un omicidio, e il diritto quindi all’obiezione di coscienza”.
Cofferati dice che la Chiesa l’ha lasciato solo nell’emergenza sgomberi.
“Il sindaco ha parlato delle parrocchie. Ebbene, le assicuro che le nostre parrocchie fanno più del possibile per rispondere a ogni bisogno, dal dare da mangiare a centinaia di poveri ogni giorno al dare un tetto a chi non l’ha. La notte tra sabato e domenica scorsi è stata particolarmente rigida. Uno dei miei parroci ha trovato due persone, marito e moglie, coricate contro la sua chiesa, e li ha portati a casa sua. I nostri parroci sono i più presenti dentro i drammi delle persone nelle periferie. Non fanno certo il bene per sentirsi elogiare, ma i fatti sono fatti”.


di Aldo Cazzullo
Corriere della Sera, 2 dicembre 2005